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Il ruolo del Comune nei procedimenti unici in materia ambientale: fraintendimenti, derive e rischi di contenzioso

di Oreste Patrone

Categoria: Responsabilità ambientali

Uno degli equivoci più ricorrenti nell’ambito dei procedimenti autorizzatori unici in materia ambientale concerne il ruolo esercitato dal Comune. Non è raro che i contenziosi abbiano origine proprio in seno all’amministrazione comunale, la quale, nel tentativo di tutelare gli interessi della comunità locale, finisce talvolta per fraintendere il proprio ruolo istituzionale, assumendone uno improprio che si sovrappone a quello di altri enti dotati di funzioni specialistiche e tecnicamente qualificate per trasformarsi in un baluardo della difesa delle prerogative ambientali del territorio. Difesa, tuttavia, che spesso si traduce in un’opposizione aprioristica e priva di fondamento normativo e giuridico.

 

È opportuno chiarire fin da subito che la partecipazione del Comune alla conferenza dei servizi avviene non in qualità di soggetto politico o portatore di interessi generici, ma quale autorità pubblica dotata di competenze specifiche, espressamente individuate dalla normativa di settore. Lo scopo della conferenza, infatti, è quello di concentrare, in un’unica sede procedimentale, tutte le valutazioni di competenza degli enti coinvolti, al fine di pervenire a un provvedimento conclusivo che sostituisca a tutti gli effetti gli atti di assenso delle amministrazioni partecipanti, consentendo la realizzazione dell’intervento oggetto di autorizzazione.

Ciò comporta che ciascun ente è chiamato a esercitare le proprie funzioni istituzionali nell’ambito delle rispettive attribuzioni normative. Per il Comune, ciò si traduce prevalentemente nella verifica della conformità urbanistica ed edilizia dell’intervento proposto. Tuttavia, nella prassi, si osserva frequentemente una tendenza da parte delle amministrazioni comunali a disconoscere o talora a sminuire l’importanza di questo ruolo, per assumere invece una posizione di opposizione generalizzata, talvolta connotata da motivazioni ideologiche o da istanze di tipo meramente politico-territoriale.

Tale atteggiamento si manifesta in particolare in relazione a impianti considerati “sensibili” sotto il profilo ambientale – come gli impianti di trattamento rifiuti – verso i quali si registra spesso un rifiuto aprioristico e non sempre giustificato. È in questo contesto che si assiste all’utilizzo pretestuoso – e talvolta del tutto improprio – di argomentazioni ambientali che esorbitano dalle competenze comunali, sovrapponendosi a valutazioni riservate per legge ad enti dotati di adeguata competenza tecnico-scientifica, quali le ARPA e le Aziende Sanitarie Locali.

Accanto a ciò, un ulteriore elemento di confusione deriva dalla frequente commistione tra ruolo politico e funzione amministrativa all’interno dell’ente locale. Non di rado, infatti, le valutazioni tecniche espresse in sede di conferenza dei servizi risentono dell’indirizzo politico espresso dagli organi elettivi dell’ente, dando luogo a posizioni amministrative formalmente espresse dai responsabili dei procedimenti ma sostanzialmente orientate da una volontà politica. Tale sovrapposizione compromette l’autonomia e l’oggettività delle valutazioni tecnico-discrezionali richieste alla struttura amministrativa e produce una patologica strumentalizzazione del procedimento, in contrasto con il principio di imparzialità dell’azione amministrativa sancito dall’art. 97 della Costituzione e con quello, derivato, di separazione tra politica e amministrazione sancito dall’art. 107 del D.lgs. 267/2000.

 

L’esito di questa distorsione è duplice: da un lato, si determina un irrigidimento del procedimento amministrativo, che perde fluidità e razionalità decisionale; dall’altro, si pongono le premesse per un incremento del contenzioso, spesso fondato su vizi di forma e di merito derivanti proprio dall’assunzione indebita di funzioni da parte del Comune o dall’illegittima influenza dell’organo politico sulle determinazioni tecniche.

 

In questo quadro, l’uso del dissenso da parte del Comune — non supportato da una motivazione congruente con le proprie competenze — non soddisfa i requisiti del dissenso qualificato ai sensi dell’art. 14-quinquies L. 241/1990, e può essere superato o persino neutralizzato dalla determinazione conclusiva. In alcuni casi, può addirittura configurarsi l’ipotesi di invalidità ex art. 21-octies della medesima legge, per vizio di motivazione apparente o esorbitanza funzionale.

Il nodo centrale è rappresentato dalla scarsa consapevolezza del ruolo che l’ente locale è chiamato a svolgere nell’ambito del procedimento unico. Il Comune non è affatto “escluso” dal processo decisionale: al contrario, la sua partecipazione è fondamentale, purché si mantenga entro i confini delle funzioni attribuitegli. È compito dell’amministrazione comunale, ad esempio, verificare la conformità dell’intervento rispetto alla pianificazione urbanistica vigente, individuare l’eventuale necessità di una variante e precisarne la natura e l’entità; oppure, se l’intervento risulti già conforme, valutare la compatibilità edilizia degli interventi, anche sotto il profilo del possibile impatto paesaggistico, qualora la relativa competenza sia stata delegata al Comune.

Diversamente, ritenere che la localizzazione di un impianto possa essere negata sulla base di una preclusione urbanistica generica, senza tener conto delle competenze regionali in materia di pianificazione delle aree idonee – come accade, ad esempio, per gli impianti di trattamento rifiuti disciplinati dal piano regionale – significa invadere ambiti funzionali che non spettano all’ente locale, ma alla Regione titolare delle competenze pianificatorie di livello sovracomunale.

 

 

È proprio questa commistione impropria tra funzioni tecniche, valutazioni ambientali e interessi politico-territoriali a generare una pericolosa deriva istituzionale. La legittima difesa delle prerogative locali si trasforma, in questi casi, in una resistenza ideologica che non solo ostacola l’efficacia del procedimento amministrativo, ma compromette la coerenza dell’azione pubblica e l’effettività della tutela ambientale.

È auspicabile, dunque, un mutamento di paradigma: il Comune, nel rispetto del principio di leale collaborazione, dovrebbe limitarsi a svolgere le proprie funzioni, evitando di assumere posizioni di chiusura pregiudiziale fondate su istanze che esulano dal proprio ambito di competenza. Solo in tal modo sarà possibile ridurre le frizioni procedimentali, prevenire il contenzioso e garantire un’effettiva integrazione tra le diverse componenti del sistema autorizzativo ambientale.

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