Preveniamo rischi Risolviamo problemi Formiamo competenze
"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Industrie insalubri e poteri del Sindaco: lettura storica, rilievo attuale e limiti costituzionali
di Oreste Patrone
Categoria: Responsabilità ambientali
Non si può discutere della norma in esame senza una previa considerazione del contesto storico, sociale e giuridico in cui essa è stata emanata. Il Regio Decreto del 1934, approvato da Vittorio Emanuele III – “per grazia di Dio e volontà della Nazione, Re d’Italia” – rappresentava un aggiornamento del testo unico delle leggi sanitarie del 1907.
La disposizione contiene oggi numerose definizioni e concetti superati che, trasposti nel contesto normativo e tecnico attuale, risultano anacronistici. Basti pensare all’espressione “vapori, gas o altre esalazioni insalubri” di cui all’art. 216, comma 1, del R.D. n. 1265/1934: una formula vaga e priva di qualunque parametro oggettivo o tecnico. Essa appare in netto contrasto con la definizione di “emissione” fornita dall’art. 268, comma 1, lett. b), del D.lgs. 152/2006, il quale si fonda su criteri scientifici misurabili e normativamente tipizzati.
Ma ancora più significativa è l’attribuzione dei poteri di vigilanza e prescrizione al podestà, figura istituzionale introdotta nel 1926 in sostituzione del sindaco, della giunta e del consiglio comunale. Il podestà agiva quale organo monocratico di nomina governativa, rappresentando l’emanazione diretta dell’autorità centrale in un sistema rigidamente accentrato e autoritario. Solo con il decreto legislativo luogotenenziale n. 111 del 4 aprile 1944 si pose fine a tale assetto, restituendo autonomia e rappresentanza alle amministrazioni locali.
È in questa cornice che va letta la recente pronuncia del TAR Marche (sentenza n. 600/2021), la quale ha puntualizzato: “Con specifico riguardo alle competenze del Sindaco in materia di industrie insalubri riconosciutigli dagli artt. 216 e 217 del testo unico delle leggi sanitarie di cui al R.D. n. 1265 del 1934, tali poteri sindacali e comunali devono essere correttamente inquadrati nel più ampio contesto normativo di riferimento, come si è evoluto ed è oggi vigente; essi, in particolare, in presenza di competenze statali e regionali fondate su titoli speciali di attribuzione normativa di tutela ambientale, devono ritenersi recessivi rispetto ai pareri e agli atti di assenso o di diniego provenienti dalle autorità tecniche”.
All’epoca dell’adozione del R.D. 1265/1934 non esistevano né un Servizio Sanitario Nazionale né strumenti tecnici e informativi paragonabili a quelli attuali. Il Ministero della Sanità venne istituito solo nel 1958, mentre il Servizio Sanitario Nazionale nacque con la legge n. 833/1978. Le Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente, a loro volta, sono state introdotte nel 1998 con la legge regionale n. 6. La distribuzione delle competenze in materia sanitaria e ambientale è stata definitivamente riformulata con la modifica del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale n. 3/2001), che ha attribuito alle Regioni un ruolo primario.
Alla luce di tale evoluzione normativa, è evidente che una lettura letterale e avulsa dal contesto storico dell’art. 216 R.D. 1265/1934 risulta ormai inadeguata. Alcune rivendicazioni odierne circa le prerogative del Sindaco in materia di industrie insalubri sembrano attingere, più o meno consapevolmente, a un modello istituzionale superato, nel quale l’autorità amministrativa locale – non elettiva – traeva legittimazione da un potere sovrano centralizzato e non da un mandato democratico.
Anche prescindendo da queste considerazioni storiche, resta il nodo giuridico sostanziale: un’interpretazione che attribuisca al Sindaco un potere di veto generalizzato sull’insediamento produttivo, in virtù dell’art. 216, risulterebbe oggi costituzionalmente insostenibile. Sarebbe, infatti, un potere esercitato in assenza di adeguate competenze tecnico-scientifiche, privo di contrappesi procedimentali e potenzialmente lesivo della libertà d’impresa tutelata dall’art. 41 della Costituzione.
È in questo solco che si colloca anche l’art. 29-quater del D.lgs. 152/2006, che prevede l’acquisizione delle prescrizioni del Sindaco nell’ambito della conferenza dei servizi. Tale previsione non implica, tuttavia, un recepimento automatico e vincolante. La conferenza è, per sua natura, una sede di mediazione istituzionale tra interessi pubblici concorrenti, e non un luogo in cui l’interesse comunale possa imporsi unilateralmente sugli altri. Attribuire al Sindaco un potere determinante significherebbe riconoscergli un ruolo che ricorda quello del podestà, più che quello, costituzionalmente configurato, del rappresentante della comunità locale. Sarebbe una deriva incompatibile con l’architettura istituzionale attuale, in cui la tutela della salute pubblica è affidata a enti tecnicamente competenti, non a organi politici privi di strumenti valutativi adeguati.
Sul piano più operativo, occorre chiarire la natura e la funzione della classificazione delle industrie insalubri. Questa consiste nell’individuazione, all’interno dell’elenco approvato con D.M. 5 settembre 1994, della voce corrispondente alle lavorazioni effettivamente svolte. L’azienda sanitaria propone quindi al Sindaco l’adozione del relativo decreto. Si tratta di un atto ricognitivo e propedeutico, che non comporta alcuna valutazione discrezionale e non produce, di per sé, effetti interdittivi. Eventuali ordinanze contingibili e urgenti, come quella di sospensione o divieto dell’attività, potranno essere adottate solo in presenza di presupposti accertati e su conforme parere tecnico dell’autorità sanitaria.
In conclusione, la corretta lettura del quadro normativo non può prescindere da una visione sistemica e costituzionalmente orientata. Il potere pubblico, in uno Stato di diritto, deve essere esercitato nel rispetto delle competenze, dei procedimenti e dei principi di legalità, proporzionalità e buon andamento amministrativo. L’iniziativa economica privata può essere regolata e limitata, ma solo sulla base di valutazioni tecniche fondate, e non di posizioni ideologiche o interpretazioni isolate. Il principio di leale collaborazione tra enti – fondamento dell’ordinamento repubblicano – impone che nessuna istituzione si arroghi poteri che l’ordinamento non le attribuisce più. L’effettiva tutela della salute pubblica non si realizza attraverso posizioni di forza, ma nella costruzione condivisa di decisioni giuridicamente corrette, tecnicamente fondate e istituzionalmente legittimate.
Categorie
Industrie insalubri e poteri del Sindaco: lettura storica, rilievo attuale e limiti costituzionali
di Oreste Patrone
Non si può discutere della norma in esame senza una previa considerazione del contesto storico, sociale e giuridico in cui essa è stata emanata. Il Regio Decreto del 1934, approvato da Vittorio Emanuele III – “per grazia di Dio e volontà della Nazione, Re d’Italia” – rappresentava un aggiornamento del testo unico delle leggi sanitarie del 1907.
La disposizione contiene oggi numerose definizioni e concetti superati che, trasposti nel contesto normativo e tecnico attuale, risultano anacronistici. Basti pensare all’espressione “vapori, gas o altre esalazioni insalubri” di cui all’art. 216, comma 1, del R.D. n. 1265/1934: una formula vaga e priva di qualunque parametro oggettivo o tecnico. Essa appare in netto contrasto con la definizione di “emissione” fornita dall’art. 268, comma 1, lett. b), del D.lgs. 152/2006, il quale si fonda su criteri scientifici misurabili e normativamente tipizzati.
Ma ancora più significativa è l’attribuzione dei poteri di vigilanza e prescrizione al podestà, figura istituzionale introdotta nel 1926 in sostituzione del sindaco, della giunta e del consiglio comunale. Il podestà agiva quale organo monocratico di nomina governativa, rappresentando l’emanazione diretta dell’autorità centrale in un sistema rigidamente accentrato e autoritario. Solo con il decreto legislativo luogotenenziale n. 111 del 4 aprile 1944 si pose fine a tale assetto, restituendo autonomia e rappresentanza alle amministrazioni locali.
È in questa cornice che va letta la recente pronuncia del TAR Marche (sentenza n. 600/2021), la quale ha puntualizzato: “Con specifico riguardo alle competenze del Sindaco in materia di industrie insalubri riconosciutigli dagli artt. 216 e 217 del testo unico delle leggi sanitarie di cui al R.D. n. 1265 del 1934, tali poteri sindacali e comunali devono essere correttamente inquadrati nel più ampio contesto normativo di riferimento, come si è evoluto ed è oggi vigente; essi, in particolare, in presenza di competenze statali e regionali fondate su titoli speciali di attribuzione normativa di tutela ambientale, devono ritenersi recessivi rispetto ai pareri e agli atti di assenso o di diniego provenienti dalle autorità tecniche”.
All’epoca dell’adozione del R.D. 1265/1934 non esistevano né un Servizio Sanitario Nazionale né strumenti tecnici e informativi paragonabili a quelli attuali. Il Ministero della Sanità venne istituito solo nel 1958, mentre il Servizio Sanitario Nazionale nacque con la legge n. 833/1978. Le Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente, a loro volta, sono state introdotte nel 1998 con la legge regionale n. 6. La distribuzione delle competenze in materia sanitaria e ambientale è stata definitivamente riformulata con la modifica del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale n. 3/2001), che ha attribuito alle Regioni un ruolo primario.
Alla luce di tale evoluzione normativa, è evidente che una lettura letterale e avulsa dal contesto storico dell’art. 216 R.D. 1265/1934 risulta ormai inadeguata. Alcune rivendicazioni odierne circa le prerogative del Sindaco in materia di industrie insalubri sembrano attingere, più o meno consapevolmente, a un modello istituzionale superato, nel quale l’autorità amministrativa locale – non elettiva – traeva legittimazione da un potere sovrano centralizzato e non da un mandato democratico.
Anche prescindendo da queste considerazioni storiche, resta il nodo giuridico sostanziale: un’interpretazione che attribuisca al Sindaco un potere di veto generalizzato sull’insediamento produttivo, in virtù dell’art. 216, risulterebbe oggi costituzionalmente insostenibile. Sarebbe, infatti, un potere esercitato in assenza di adeguate competenze tecnico-scientifiche, privo di contrappesi procedimentali e potenzialmente lesivo della libertà d’impresa tutelata dall’art. 41 della Costituzione.
È in questo solco che si colloca anche l’art. 29-quater del D.lgs. 152/2006, che prevede l’acquisizione delle prescrizioni del Sindaco nell’ambito della conferenza dei servizi. Tale previsione non implica, tuttavia, un recepimento automatico e vincolante. La conferenza è, per sua natura, una sede di mediazione istituzionale tra interessi pubblici concorrenti, e non un luogo in cui l’interesse comunale possa imporsi unilateralmente sugli altri. Attribuire al Sindaco un potere determinante significherebbe riconoscergli un ruolo che ricorda quello del podestà, più che quello, costituzionalmente configurato, del rappresentante della comunità locale. Sarebbe una deriva incompatibile con l’architettura istituzionale attuale, in cui la tutela della salute pubblica è affidata a enti tecnicamente competenti, non a organi politici privi di strumenti valutativi adeguati.
Sul piano più operativo, occorre chiarire la natura e la funzione della classificazione delle industrie insalubri. Questa consiste nell’individuazione, all’interno dell’elenco approvato con D.M. 5 settembre 1994, della voce corrispondente alle lavorazioni effettivamente svolte. L’azienda sanitaria propone quindi al Sindaco l’adozione del relativo decreto. Si tratta di un atto ricognitivo e propedeutico, che non comporta alcuna valutazione discrezionale e non produce, di per sé, effetti interdittivi. Eventuali ordinanze contingibili e urgenti, come quella di sospensione o divieto dell’attività, potranno essere adottate solo in presenza di presupposti accertati e su conforme parere tecnico dell’autorità sanitaria.
In conclusione, la corretta lettura del quadro normativo non può prescindere da una visione sistemica e costituzionalmente orientata. Il potere pubblico, in uno Stato di diritto, deve essere esercitato nel rispetto delle competenze, dei procedimenti e dei principi di legalità, proporzionalità e buon andamento amministrativo. L’iniziativa economica privata può essere regolata e limitata, ma solo sulla base di valutazioni tecniche fondate, e non di posizioni ideologiche o interpretazioni isolate. Il principio di leale collaborazione tra enti – fondamento dell’ordinamento repubblicano – impone che nessuna istituzione si arroghi poteri che l’ordinamento non le attribuisce più. L’effettiva tutela della salute pubblica non si realizza attraverso posizioni di forza, ma nella costruzione condivisa di decisioni giuridicamente corrette, tecnicamente fondate e istituzionalmente legittimate.
Torna all'elenco completo
© Riproduzione riservata