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Stefano Maglia

Un nuovo ordine mondiale per la pace e l’ambiente

di Amedeo Postiglione

Categoria: Informazione ambientale

Indice

  1. Attualità politica dell’enciclica “Pacem in Terris” del 1963
  2. La pace in terra come risposta all’ ordine dell’universo
  3. La pace in terra come anelito profondo di tutti gli uomini
  4. La pace in terra come dovere di giustizia
  5. Insufficienza dell’attuale organizzazione in relazione al bene comune universale
  6. Necessità di una Autorità politica mondiale: principi giuridici applicabili
  7. Validità della visione universalistica nell’attuale contesto internazionale
  8. Conclusioni

 

Abstract

L’Autore, già magistrato in Roma e direttore della Fondazione ICEF[1] per la creazione di una giustizia internazionale anche per l’ambiente globale, ricorda con ammirazione le anticipazioni culturali profonde dell’Enciclica di Papa Giovanni XXIII “Pacem in Terris,” (nel 60° anniversario, 1963-2023).

Sottolinea nel documento allegato l’attualità della visione politica, per tutti gli uomini di buona volontà, del grande Pontefice sulla necessità di assicurare effettività al bene comune delle persone e dei popoli anche nella dimensione mondiale, attraverso una articolata Autorità politica mondiale.

Il contesto politico ( all’epoca il pericolo di un conflitto nucleare tra USA e URSS nella crisi di Cuba) si è certamente modificato in alcuni importanti aspetti, ma nella sostanza rimane ancora “instabile” anche nella situazione attuale, come provano i conflitti in Ucraina ed in Palestina, perché a livello politico la Comunità mondiale non ha realizzato i necessari adeguamenti strutturali comuni in tema di sicurezza e pace e su altri temi globali come economia, finanza e commercio internazionale, salute e protezione dell’ambiente comune si muove ancora prevalentemente su aree geopolitiche di influenza, senza linee di vera integrazione.

Secondo l’Autore l’ispirazione universalistica dell’enciclica costituisce l’eredità più preziosa del contributo religioso cristiano. Questa ispirazione è condivisa in linea di principio anche dalla cultura laica, perché introduce nel diritto internazionale una precisa proposta di nuova governance globale ispirata al principio di mondialità ed a ragionevoli criteri giuridici di condivisione, solidarietà e sussidiarietà.

Questa ispirazione universalistica può aiutare a correggere anche una visione della protezione giuridica dei diritti umani puramente privata ed individualistica, senza un legame profondo con i doveri degli esseri umani e delle corrispondenti Comunità politiche, cui compete una precisa responsabilità di rispettare e proteggere tali diritti.

La situazione complessiva in Ucraina e Palestina ha registrato, come è moto, un terribile aggravamento per tutti i valori umani della giustizia, della pace e dell’ambiente e, secondo l’Autore, necessita di interventi urgenti e straordinari: si confida che l’appello alla pace ( “disarmata e disarmante”) del nuovo Pontefice Leone XIV ( che salutiamo e ringraziamo) trovi accoglimento e che finalmente si dia spazio ad iniziative innovative concrete nel segno di una rinnovata speranza.

 

  1. Attualità politica dell’enciclica “Pacem in Terris”

1.1 Contenuto generale

Una riflessione sulla pace mentre è in corso una guerra in Ucraina che è apparsa subito a molti inconcepibile, sembra necessaria, perché il diritto internazionale si è rivelato uno strumento inefficace insieme con il modello di organizzazione esistente della attuale comunità internazionale[2].

Questa riflessione si rende necessaria ed urgente anche per il nuovo conflitto in Palestina ed il pericolo di ulteriori instabilità.

Ci si domanda giustamente come sia possibile affrontare problemi globali come la crisi climatica, la desertificazione, la perdita di biodiversità, la crisi di acqua e cibo in molte aree del Pianeta, i movimenti migratori di massa, la crisi energetica, i rischi tecnologici nuovi, i rischi globali alla salute, se non si è stati capaci di prevenire rischi gravi alla sicurezza ed alla pace e, addirittura, ripetute minacce di distruzione con armi nucleari.

Questo è già un motivo sufficiente per rileggere un testo autorevole di 60 anni fa, ispirato alla pace allora minacciata dalla crisi di Cuba e comunque porre al centro della riflessione il concetto di pace legato in modo indissolubile ora al concetto di ambiente comune.

Il presente contributo ritiene doveroso riproporre la questione di una riforma del diritto internazionale sia nelle norme che negli organi di attuazione, in una visione universalistica non utopica ma estremamente concreta.

Se i problemi globali sopravvenuti si aggiungono, come fatti reali, a quelli già esistenti nel 1963 (allora come oggi ,la sicurezza e la pace, nell’epoca delle armi di distruzione di massa), occorre individuare i nodi politici che ostacolano le necessarie riforme. Si tratta di nodi politici che la coscienza umana ha diritto di conoscere e rimuovere: soprattutto la politica deve rispondere ai bisogni fondamentali comuni e deve renderne conto alla comunità mondiale.

Il testo, che esaminiamo nelle linee essenziali (testo che non cita formalmente gli Stati, ma le Comunità politiche), appare molto attuale proprio dal punto di vista politico e per questo può aiutare a trovare finalmente la via per una riforma condivisa.

Si tratta dell’’Enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII, datata 11 aprile 1963, che con un linguaggio semplice ed essenziale, profondo e chiaro sul piano teorico, ma anche propositivo e concreto a livello politico ed istituzionale, inquadra il concetto di pace in quello di “ordine”.

Il linguaggio utilizzato è ispirato a pochi punti fondamentali (comprensibili da tutti) e consente di cogliere la sostanza politica complessiva del documento ed il contenuto reale di esso: il concetto di ordine è riferito sul piano soggettivo a tre entità aventi dignità politica (le singole persone umane; le comunità politiche “nazionali”; l’unica Comunità mondiale); queste entità politiche hanno tutte uno stesso fine, il bene comune universale. Sono queste entità- meglio organizzate- a dover costruire il necessario ordine giuridico e politico anche nella dimensione mondiale, sia per il valore della pace, (oggetto specifico del documento in esame), sia per altri valori comuni (la salute, l’ambiente, la giustizia …). Gli Stati non sono affatto eliminati, ma inseriti in una cornice sovranazionale per alcuni problemi a dimensione mondiale.

Nella introduzione si fa cenno all’ordine nell’universo, in contrasto con l’ordine (mancante) negli esseri umani. Questo riferimento non deve sorprendere chiunque cerca il senso della vita umana nelle leggi che regolano l’universo (leggi fisiche e leggi dello spirito).

Parte prima

La parte prima è dedicata all’ordine tra gli esseri umani, che deve essere assicurato dall’uguale dignità di “ogni essere umano”, concepito come “persona, soggetto di diritti e di doveri”: sono enunciati alcuni di questi diritti a partire da quello alla vita, alla libera manifestazione del pensiero, alla cultura ed istruzione, alla libertà di coscienza e religione, il diritto di creare una famiglia in parità di diritti e di doveri fra uomo e donna, il diritto di libera iniziativa in campo economico, il diritto al lavoro, il diritto di proprietà privata con una funzione sociale, il diritto di riunione ed associazione, il diritto di emigrazione e di immigrazione in qualità di membri della stessa famiglia umana, i diritti a contenuto politico di partecipazione attiva alla vita pubblica.

La piena adesione al quadro dei diritti è fuori discussione.

È molto significativa, per il tempo dell’enciclica, la esplicita enunciazione non solo dei diritti, ma anche di una filosofia dei doveri: indissolubile rapporto tra diritti e doveri nella stessa persona; reciprocità di diritti e di doveri tra persone diverse; mutua collaborazione; responsabilità; pacifica convivenza sociale secondo i principi di libertà, giustizia, fraternità.

Parte seconda

La seconda parte esamina il rapporto diritti-doveri tra gli esseri umani e i poteri pubblici all’interno delle singole comunità politiche: necessità di autorità pubbliche per l’attuazione del bene comune; struttura e funzionamento dei poteri pubblici nazionali; ordinamento giuridico e partecipazione dei cittadini alla vita pubblica.

Parte terza

La terza parte esamina i rapporti orizzontali tra le Comunità politiche, cioè degli Stati che compongono la Comunità mondiale: la pari dignità reciproca; la titolarità di diritti e doveri; la finalità di assicurare il bene comune; i principi di verità e giustizia; il ripudio di ogni traccia di razzismo; il trattamento delle minoranze; l’equilibrio tra popolazione, terra e capitali; la solidarietà; i problemi dei profughi politici ma anche dei migranti economici; i problemi del disarmo con particolare sottolineatura del bando delle armi nucleari; il fenomeno positivo dell’ascesa delle comunità politiche in fase di sviluppo economico; la sottolineatura finale – come segno dei tempi – della crescita della cultura della collaborazione e del metodo di soluzione pacifica delle controversie tra Stati attraverso il negoziato e non con la forza terribilmente distruttiva ielle armi.

Anche questo quadro appare significativo e fortemente anticipatore per alcuni aspetti in relazione all’epoca (no al razzismo; bando delle armi nucleari; tutela delle minoranze; promozione e sviluppo integrale di tutti i popoli).

Parte quarta

La quarta parte presenta una novità assoluta, perché introduce la necessità ed urgenza di un nuovo ruolo della Comunità Mondiale, concepita in modo innovativo come autorità sovraordinata agli Stati, per assicurare il bene comune universale.

I diritti e doveri delle persone e delle Comunità nazionali pongono ora, secondo l’enciclica, “problemi a dimensioni mondiali che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti che a opera di poteri pubblici aventi ampiezza, strutture e mezzi delle stesse proporzioni”, secondo principi di solidarietà e sussidiarietà (n.71-72).

Con un giudizio netto viene considerata “insufficiente l’attuale organizzazione dell’autorità pubblica nella dimensione internazionale” in seguito alle profonde trasformazioni intervenute nei rapporti della convivenza umana, a cominciare da quelle della sicurezza e della pace (v. n.69-70).

 

 

1.2 Un nuovo ordine mondiale come segno dei tempi

Il documento pontificio del 1963 considera comunque un segno positivo dei tempi (concetto innovatore nella visione filosofica) la già intervenuta costituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite il 26 giugno 1945 e di numerosi enti internazionali (esterni od interni alle N.U.) in campo economico, sociale, culturale, sanitario[3].

I segni dei tempi vanno riconosciuti ed accolti sia pure con la necessaria gradualità nella costruzione di un diritto internazionale più efficace.

Va segnalato positivamente nel documento in esame l’auspicio di un rafforzamento delle Nazioni Unite nelle strutture e nei mezzi e la ritenuta necessità di una risposta più adeguata alla vastità e nobiltà dei suoi compiti in una meravigliosa visione universalistica: una comune tutela efficace della dignità delle persone in nome di diritti universali, inviolabili, inalienabili; l’attiva partecipazione delle persone, comprese le donne, alla vita pubblica delle proprie comunità politiche; l’interessamento crescente alle vicende di tutti i popoli; la solidarietà tra popoli diversi; la consapevolezza di essere membra vive di una comunità mondiale.

Viene coerentemente infine salutato come “atto della più alta importanza” la promulgazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea generale delle N.U., il 10 dicembre 1948.

 

1.3 Un nuovo ordine mondiale come diritto umano

Si ricorda qui un punto che spesso è sfuggito e non compreso nelle sue implicazioni: l’articolo 28 della citata Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo già richiamava il concetto di “ordine sociale ed internazionale” in termini addirittura di un “diritto di ogni individuo”, ossia di un nuovo diritto umano concepito come condizione necessaria per la stessa realizzazione di tutti gli altri diritti dell’uomo: “Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale ed internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati”.

Si tratta di una chiara anticipazione universalistica perché l’ordine internazionale (in senso oggettivo e politico globale) viene ancorato ad una base comune, ossia ad un diritto di ogni essere umano, un diritto che condiziona la effettività e piena realizzazione di tutti gli altri diritti umani.

Questo nel 1948.

Nell’Enciclica in esame, invece, del 1963 (a distanza di soli 15 anni), il termine “ordine internazionale” viene ripreso ed approfondito, ferma restando la base dei diritti degli esseri umani: esso prende corpo in una forma politica più concreta e strutturata, nella dimensione globale, nel senso della necessità della istituzione di poteri pubblici sovraordinati rispetto a quelli nazionali per la soluzione di problemi globali e l’attuazione di tutti i diritti, tra cui la pace.

Il diritto umano ad un ordine internazionale viene coerentemente legato ad un ridimensionamento della sovranità tradizionale degli Stati: questo ridimensionamento non è considerato un sacrificio, ma un progresso istituzionale perché introduce una cornice più organizzata ed autorevole della Comunità internazionale, che aiuta gli stessi Governi nell’adempimento dei doveri pubblici.

Il punto di novità è costituito dal fatto che, secondo l’enciclica in esame, la pace -come diritto umano di terza generazione – presuppone per la sua attuazione non un ordine internazionale auspicato in termini generali, ma un ordine internazionale necessario, definito politicamente e giuridicamente, stabile e strutturato, con specifici poteri pubblici sovranazionali, nella forma di una Comunità Mondiale distinta dalle Comunità nazionali, operante secondo principi di reciproca integrazione, solidarietà e sussidiarietà per un unico fine condiviso: il bene comune universale .

Non si tratta soltanto di una autorità intergovernativa di collegamento tra Stati, ma di una autorità sovraordinata, nelle materie di competenza, con propri poteri di decisione, rispetto agli Stati, sia pure nel rispetto di alcuni principi di reciproca integrazione e sussidiarietà.

In seguito alle profonde trasformazioni intervenute-rispetto al passato- nei rapporti della convivenza umana, secondo il documento in esame, si è verificata una duplice situazione:

– da una parte la dilatazione del concetto di bene comune universale rispetto a problemi complessi, gravissimi e urgenti sopravvenuti da risolvere ;

– dall’altra la inadeguatezza strutturale del modello solo orizzontale delle singole comunità politiche ed anche degli strumenti giuridici utilizzati (normali vie diplomatiche, incontri, convenzioni, trattati).

 

 

1.4 Un messaggio anche laico di fiducia nella politica

Si tratta di un messaggio nuovo, molto chiaro non solo in termini etici e culturali, ma politici, indirizzato significativamente a tutti gli uomini di buona volontà. (v. punto 89, parte quinta).

Questo messaggio non è stato ben compreso e valorizzato e non si è realizzato.

Si tratta di un messaggio addirittura in parte “tradito” sul piano stesso dei principi, perché la filosofia universalistica dei diritti e doveri umani-che ispira l’enciclica – è stata relegata sostanzialmente da Trattati continentali al livello solo nazionale e alla sfera privata dei singoli, per non intaccare la sovranità nazionale. È significativo che il modello delle garanzie dei diritti umani sia stato costruito per ora su base continentale e non globale, ritenendosi non maturo politicamente questo ulteriore obiettivo.

Ritornando all’esame del documento pontificio del 1963, si può osservare che anche il metodo suggerito per arrivare ad un ordine politico globale nella forma di una Comunità mondiale dell’intera famiglia umana appare interessante: non si fa affidamento solo sul ruolo degli Stati (chiamati significativamente “Comunità politiche”) ma si insiste sul necessario contributo dal basso dell’intera famiglia umana, cioè sui doveri degli stessi titolari dei diritti umani: il dovere di ciascuno di partecipare alla vita pubblica; il dovere di sviluppare la competenza scientifica, la capacità tecnica e l’esperienza professionale, mettendoli a servizio del bene comune; il dovere di operare assecondando i valori dello spirito (capacità di sintesi; capacità di ricomposizione unitaria; dovere della formazione integrale; dovere di un impegno costante; dovere di collaborazione con tutti, senza mai confondere l’errore con l’errante; dovere della gradualità, che è la legge della vita in tutte le sue espressioni; dovere di operare in una visione di solidarietà e di progresso delle comunità nel segno di una sempre maggiore integrazione; dovere di consolidare la pace nel mondo che “rimane solo un suono di parole se non è fondata su quell’ordine che il presente documento ha tracciato “in una visione politica universalistica; dovere di operare nello spirito di una unitaria fratellanza umana).

Nella parte terza del documento viene esaminato il metodo dei rapporti tra le Comunità politiche secondo principi ispirati ad una visione di comune interesse globale: l’autorità va esercitata per attuare il bene comune che costituisce la sua ragione di essere; rispetto reciproco del diritto di esistenza e sviluppo; rapporti reciproci ispirati a giustizia ,nel rispetto delle minoranze e della dignità etnica e culturale; reciproca solidarietà; vicendevole fiducia; disarmo integrale; promozione dello sviluppo dei Paesi emergenti.

A distanza di oltre 60 anni si può dire che l’evoluzione della coscienza universalistica dell’umanità è cresciuta sotto vari profili (scientifici, tecnici, economici, sociali, culturali), ma a livello politico e giuridico incontra ancora obiettive e gravi difficoltà: non si riesce a trovare un terreno comune per uscire da un tunnel di contraddizioni , reciproche inibizioni e paure. Si è fatto affidamento sulla capacità dell’economia e del commercio internazionale di assicurare comunque il progresso ( attraverso una sorta di autocorrezione di errori e limiti), senza la necessità di modificare il modello orizzontale dei poteri degli Stati.

Sono ancora gli Stati l’ostacolo principale, cioè gli stessi soggetti da cui dovrebbe dipendere la spinta politica decisiva per la costruzione di una autorevole governance globale.

Osserviamo che gli Stati, dopo la decolonizzazione, ormai in numero maggiore (circa 200), hanno un diverso spazio territoriale e numero di popolazione, un diverso peso economico, sociale, tecnologico e politico, un patrimonio di culture e tradizioni condivise, ma sembrano assorbiti dai profili di gestione dei problemi interni e sono poco propensi a dare un contributo attivo alla costruzione di un nuovo ordine mondiale. Questo avviene per un insieme di complessi motivi, tra cui quello di perdere parte del potere e del consenso sociale: tra i motivi vi è anche quello di non saper vedere e leggere insieme i segni dei tempi.

Essi, nel tempo presente, cercano di rafforzare il loro ruolo, operando attraverso aree omogenee di alleanza e reciproca influenza, che sono in parte mutate. La diplomazia e la geopolitica svolgono un ruolo legittimo, ma non sempre interpretano correttamente le esigenze comuni dell’umanità nella proiezione spaziale e temporale facendo prevalere le esigenze di collaborazione ed integrazione nella costruzione della comune governance globale. Tutti possono constatare che questo obiettivo non è stato finora la priorità politica comune. Il documento che esaminiamo non è di un visionario ma di un diplomatico che ha operato in aree politicamente e culturalmente sensibili (Medio Oriente e Balcani) durante e dopo la guerra.

 

 

  1. La pace in terra come risposta all’ordine dell’universo

Ritornando al documento in esame , il fondamento culturale e religioso della pace tra gli uomini sulla terra è individuato nel “pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio”. Questo riferimento religioso non è rituale, ma corrisponde ad un sincero sentimento culturale e filosofico, liberamente espresso e non imposto alla coscienza altrui.

Secondo tutte le religioni monoteiste, compresa quella islamica, Dio che ha creato l’universo secondo le sue leggi, non l’ha mai abbandonato, dando un senso alla sua evoluzione ed al suo destino finale; ha creato l’uomo intelligente e libero, custode della natura di cui è parte, “scolpendo l’ordine anche nell’essere degli uomini: ordine che la coscienza rivela e ingiunge perentoriamente di seguire”.

La legge della pace in questa prospettiva è scritta nella stessa natura umana in una visione umanistica ed universalistica, che rispetta la libertà umana, ma con il limite di non nutrirsi dei frutti avvelenati del male, ma solo di quelli che donano la vita.

Secondo il nostro punto di vista i profondi convincimenti dello spirito, coltivati in umiltà e dignità, vanno sempre rispettati anche dalla cultura laica, se ispirati alla libera ricerca del bene comune[4].

 

 

  1. La pace in terra come anelito profondo di tutti gli uomini

La constatazione del dato oggettivo della universale aspirazione alla pace (un anelito profondo) è condivisa anche dal mondo laico, (al quale l’enciclica è egualmente diretta) che valorizza la dignità delle persone umane, la ricchezza della comune natura sociale di tutti gli uomini, chiamati a costruire la convivenza sulla solidarietà e fratellanza e non sulla violenza e l’egoismo.

Si noti che il messaggio dell’enciclica Pacem in Terris è stato ripreso e sviluppato dai successori di Giovanni XXIII (Paolo VI; Giovanni Paolo II; Benedetto XVI).

Più recentemente il concetto di pace è stato esteso coerentemente in modo organico dal Pontefice Francesco anche alla natura (Enciclica” Laudato Si”) e al bene della comune fratellanza umana (Enciclica” Fratelli Tutti”). L’attuale Pontefice Leone XIV autorevolmente sottolinea la continuità della dottrina sociale della Chiesa Cattolica in tema di pace e protezione della natura . Si tratta di un processo da valorizzare, che trova riscontri anche in altre religioni e culture.

 

 

  1. La pace in terra come dovere di giustizia

Come già accennato l’Enciclica recepisce la filosofia dei diritti umani e lega i diritti ai doveri umani.

È espressamente enunciato il principio di giustizia a carico dei poteri pubblici (punto 38) nel senso del pieno riconoscimento dei diritti delle persone, della loro promozione e protezione: si tratta di doveri essenziali per il loro ruolo, di una unica finalità, perché la filosofia dei diritti e doveri umani costituisce l’unico criterio per l’esercizio del loro compito pubblico.

L’enciclica riconosce che i poteri pubblici risentono della situazione storica dei territori e popolazioni interessate ed hanno di conseguenza un margine discrezionale di scelta dei mezzi più opportuni, ma mai in contrasto con i principi del bene comune, che coincide con la “creazione di un ambiente umano nel quale a tutti i membri del corpo sociale sia reso possibile e facilitato l’effettivo esercizio dei diritti accennati, come pure l’adempimento dei rispettivi doveri”.

Non è consentita ai poteri pubblici una sfera di autonomia in contrasto con i diritti e doveri umani, nella loro dimensione personale e sociale.

Il diritto umano alla pace (ed il diritto umano all’ambiente sopravvenuto con la Conferenza ONU di Stoccolma del 1972) per il loro contenuto anche collettivo, richiedono meccanismi di protezione necessariamente anche sociali e pubblici: la doverosità, la solidarietà, la effettività esigono un ruolo attivo della politica a tutti i livelli.

Secondo l’enciclica il dovere di giustizia rispetto al diritto umano alla pace non può essere affidato solo alla sfera individuale e privata, ma deve investire direttamente le autorità pubbliche a tutti i livelli, nel senso che la pace va realizzata come imperativo supremo.

Osserviamo che nell’enciclica i valori di pace e sviluppo umano integrale, hanno come riferimento ogni essere umano (inteso come persona, nella sua dignità, dotata di intelligenza e volontà libera e di responsabilità per il bene comune, soggetto di diritti e doveri); questi valori hanno contestualmente come riferimento le comunità politiche singole e la comunità politica mondiale (anche per questi soggetti collettivi vige il principio del bene comune, nel senso che è la stessa ragione della loro esistenza; anche le autorità politiche sono soggetti di diritti e di doveri).

Se i diritti umani sono universali, impegnano tutte le Comunità politiche allo stesso modo nel loro riconoscimento, nella loro promozione, nella loro concreta attuazione.

Osserviamo che in una visione universalistica del diritto internazionale nel tempo presente sembra debba essere favorita una considerazione unitaria della responsabilità giuridica degli Stati, ponendo al centro di essa i diritti e doveri umani nella loro dimensione individuale e collettiva: se la pace è davvero un diritto umano, il “ripudio della guerra” deve divenire l’obbligo primario per tutti gli Stati dell’unica Comunità mondiale. Il dovere di giustizia riguarda tutti i soggetti ( singoli esseri umani, Comunità politiche nazionali, Comunità Mondiale) : è significativo che la cultura dei diritti umani esclude che siano gli Stati a crearli ,dovendo essi solo riconoscerli e, ove necessario, promuoverli.

Costituisce un dato positivo per l’enciclica, il fatto che l’organizzazione delle comunità politiche nazionali ha registrato dei progressi istituzionali importanti sul tema del dovere di giustizia: Carte costituzionali come parametro comune di legalità e giustizia; divisione dei poteri; Stato di diritto; equilibrio tra i poteri; garanzie di libero esercizio dei diritti umani; giusto processo; ruolo positivo della famiglia naturale; ruolo positivo dei sindacati e partiti politici; ruolo positivo della libera iniziativa economica, con i limiti della funzione sociale; partecipazione sociale e politica ;informazione e comunicazione….

Analoghi progressi, nella logica interna di evoluzione dei diritti umani, si attendono a livello globale.

 

 

 

5. Insufficienza dell’attuale organizzazione in relazione al bene comune universale

Volendo ulteriormente approfondire ,la novità politica dell’enciclica Pacem in Terris, si può notare dalla stessa intestazione delle varie parti, che hanno sempre come riferimento non gli Stati, ma gli “esseri umani” con le loro Comunità politiche di riferimento.

L‘ordine invocato si muove nell’ottica esclusiva dei diritti e dei doveri umani universali:

  • l’ordine tra gli esseri umani, parte prima;
  • il rapporto tra gli esseri umani e i poteri pubblici all’interno delle singole comunità, parte seconda;
  • i rapporti fra le comunità politiche, considerate anch’esse come soggetti di diritti e di doveri, ispirati a criteri di giustizia e solidarietà, parte terza;
  • ancora gli esseri umani insieme con le loro comunità politiche in rapporto all’ultimo cerchio dell’organizzazione dell’autorità pubblica costituita da poteri pubblici sovranazionali, ossia una Autorità politica mondiale, parte quarta.

La interdipendenza tra le comunità politiche “nazionali” (in tutti i suoi aspetti scientifici, tecnici, economici, sociali, culturali) riguarda, secondo il documento, non solo i comuni problemi, ma anche gli strumenti politici e giuridici da utilizzare.

Osserviamo che la collaborazione tra Stati sovrani finora è stata utile, ma non sufficiente; la creazione di molteplici enti internazionali di studio e supporto tecnico ed economico, si è rivelata finora utile ma non sufficiente, nella cornice solo orizzontale di autorità sovrane; anche la moltiplicazione di società economiche multinazionali è stata utile finora per l’ampliamento dell’economia a livello globale, ma la mancanza di regole adeguate comuni non ha consentito una risposta per problemi globali sopravvenuti. Perfino la decolonizzazione, giustamente invocata come espressione del diritto dei popoli all’autodeterminazione nei confronti degli ex Paesi coloniali dell’Occidente, è stata disinvoltamente sostituita da nuove forme di sfruttamento ad opera di Paesi come Cina e Russia soprattutto in Africa ( perfino con compagnie armate di mercenari come la Wagner interessate al reperimento di risorse minerali e naturali utilizzando gli strumenti della forza o della corruzione).

L’enciclica non esita perciò a parlare di una deficienza strutturale dell’attuale organizzazione internazionale: “i poteri pubblici delle singole comunità politiche, posti come sono su un piede di uguaglianza giuridica tra essi, per quanto moltiplichino i loro incontri e acuiscano la loro ingegnosità nell’elaborare nuovi strumenti giuridici, non sono più in grado di affrontare e risolvere gli accennati problemi adeguatamente e ciò non tanto per mancanza di buona volontà o di iniziativa, ma a motivo di una loro deficienza strutturale” (n.70).

Lucidamente viene individuata la causa:” Esiste un rapporto tra contenuti storici del bene comune e struttura e funzionamento dei poteri pubblici”. Se questo rapporto non esiste, a soffrirne è lo stesso bene comune universale. Osserviamo che questa carenza della attuale organizzazione internazionale anche oggi è condivisa in linea di principio, ma è tuttora considerata irrealizzabile politicamente.

Osserviamo ancora che se la “politica” è finalizzata a dare risposte ai problemi concreti posti dalla realtà, non può essere assertiva ed autoreferenziale in relazione al suo ruolo, senza divenire irresponsabile. Tutto dipende dall’idea di “politica” che si assume.

 

 

 

6. Necessità di una” Autorità politica mondiale”: principi giuridici applicabili

L’enciclica “Pacem in Terris” del lontano 1963 ritiene ,invece, senza esitazione, che se i contenuti storici del bene comune cambiano, anche la risposta istituzionale deve adeguarsi: il principio di mondialità lo esigeva e lo esige.

Per assicurare la sicurezza e la pace in un mondo divenuto globale, il documento ritiene urgente una risposta giuridica e politica di pari livello. Occorre creare una Comunità mondiale dotata di propri poteri in grado di rispondere alle nuove esigenze.

I criteri da adottare, per questa profonda innovazione, vengono individuati nei seguenti punti ( che sono espressione di una visione politica integrata e funzionale ,condivisa e costruita insieme):

  • i poteri pubblici aventi autorità sul piano mondiale vanno istituiti di comune accordo e non con la forza;
  • devono poter operare efficacemente, con imparzialità, per soddisfare le esigenze obiettive del bene comune universale;
  • devono essere finalizzati al riconoscimento, rispetto, tutela e promozione dei diritti umani;
  • devono operare secondo il principio di sussidiarietà non per limitare la sfera di azione delle comunità politiche nazionali o sostituirsi ad esse, ma per integrare la loro azione, creando un ambiente favorevole alla realizzazione del bene comune universale;
  • la competenza dei proposti poteri pubblici aventi autorità sul piano mondiale non è formalizzata in modo rigido, ma indicata con un criterio aperto e con riferimento ai “problemi a contenuto economico, sociale, politico e culturale che pone il bene comune universale”, come percepiti dalla evoluzione della coscienza spirituale dell’umanità (i segni dei tempi);
  • le Nazioni Unite del 1945 e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 sono considerati in questa logica come “passi importanti nel cammino verso l’organizzazione giuridico-politica della comunità mondiale” ,e come tali bisognosi di adeguamento e

Questa visione universalistica intelligente ed aperta spiega perché sia stato possibile una successiva integrazione nel linguaggio (con il termine unificante ed esplicito di Autorità politica mondiale nella enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI e poi in quella Laudato Si di Papa Francesco) e nei contenuti, con l’aggiunta di ulteriori temi di possibile competenza universale (non solo sicurezza e pace, ma anche sviluppo umano integrale, protezione dell’ambiente, nuove tecnologie, migrazioni, fratellanza umana universale …)[5].

 

 

 

7. Validità della visione universalistica nell’attuale contesto internazionale

Ci permettiamo indicare di seguito alcune linee generali (da approfondire e specificare tecnicamente), a nostro parere, necessarie per il rafforzamento della Comunità Mondiale secondo una ispirazione universalistica.

Una evoluzione organica del diritto internazionale esistente è possibile seguendo alcuni criteri:

  • Individuare i principi comuni consolidati, su cui esiste un consenso della Comunità internazionale;
  • Individuare i settori ed in essi gli aspetti su cui intervenire con opportune riforme: considerare le norme necessarie e la loro effettività, cioè gli organi di attuazione (quali poteri pubblici nuovi a livello globale; il rafforzamento di organi esistenti o la creazione di nuovi);
  • Definire la natura delle regole nuove: ius cogens e non solo soft Law;
  • Seguire un criterio di integrazione, secondo meccanismi trasparenti e coerenti;
  • Rafforzare i Poteri pubblici globali dove già esistono e crearne di nuovi dove necessario;
  • Utilizzare anche nel linguaggio criteri sostanziali e chiari, onde favorire una attuazione coerente: il termine “Autorità politica mondiale” può assumere diverse gradazioni e non va confuso comunque con un Superstato autoritario e burocratico;
  • Esistono già alcuni modelli di organizzazione tra Stati da valorizzare e migliorare su base mondiale o regionale (Nazioni Unite; Unione Europea; BRICS; enti economici, finanziari e commerciali comuni, come Banca Mondiale, Fondo monetario internazionale, Organizzazione mondiale del commercio e molti enti internazionali di coordinamento e promozione in vari settori come FAO, UNESCO, OMS …;
  • Esistono già organismi continentali in tema di protezione anche giudiziaria dei diritti umani delle persone e dei popoli (Africa; America; Europa);
  • Il modello nuovo di governance mondiale (una sorta di federazione mondiale) può essere costruito con il consenso se accelera la coscienza dell’umanità in una risposta alle sfide sopravvenute (sanitarie, climatiche, tecnologiche…): serve una struttura giuridica comune a favore di tutti i Paesi che assicuri la effettività delle nuove regole condivise;
  • Il modello dello Stato-nazione con funzione identitaria non viene mortificato ma integrato da una visione di convivenza fraterna tra tutti gli Stati resa necessaria dal comune interesse alla soluzione di problemi globali che nessun Paese da solo può ormai risolvere;
  • In questa logica occorre rafforzare la giustizia internazionale nel segno della imparzialità, indipendenza e garanzia per tutti: diventano necessarie la obbligatorietà e una legittimazione aperta e non solo degli Stati (che per loro natura tendono a chiudersi nell’ambito di una sovranità territoriale assoluta non più realistica);
  • Favorire la evoluzione unitaria del diritto internazionale secondo una filosofia dei doveri: quali legami migliori stabilire tra diritto internazionale pubblico oggettivo per gli Stati e diritto internazionale per la protezione dei diritti umani per le persone ed i popoli;
  • Favorire in positivo una idea larga della sicurezza umana in cui trovi consenso la nuova Comunità mondiale;
  • Gli Stati devono essere “costretti” democraticamente ad accettare due realtà giuridiche sopravvenute, con soggettività giuridica distinta internazionale: in alto quella della Comunità mondiale; in basso quella delle persone umane e dei popoli;
  • La persona umana merita di essere considerata soggetto di diritto internazionale, perché titolare di diritti e doveri propri non “attribuiti” dagli Stati: la dottrina internazionale si muove in questa direzione[6];
  • Per ottenere questo sbocco istituzionale occorre valorizzare in modo unitario tutte le componenti umane per proposte comuni condivise: la comunità umana religiosa; la comunità umana scientifica; la comunità umana impegnata nelle nuove tecnologie, comprese le nuove tecnologie della comunicazione sociale a servizio di monadi sociali libere e responsabili; la comunità economica globale liberata dalla componente di mera speculazione, dalla arroganza ed ingiustizia dei paradisi fiscali, dalla pratica dello sfruttamento delle risorse naturali in danno dei Paesi più deboli; la comunità sociale dedita ad iniziative di promozione sanitaria e culturale; le comunità politiche nazionali e continentali;
  • A livello politico la evoluzione sociale nel segno della interdipendenza ed integrazione tra i popoli deve rimanere libera, ma richiede nuove forme di organizzazione e finalizzazione; a livello giuridico è assolutamente necessario costruire uno zoccolo duro di norme comuni cogenti affidato alla necessaria evoluzione giurisprudenziale da rispettare;
  • La giustizia internazionale in materie fondamentali per la sicurezza umana e del Pianeta esige un riconoscimento nuovo del suo ruolo: consentire un percorso di legalità e giustizia in alcune aree già di interesse comune ed allargare gradualmente le radici di una vera civiltà giuridica comune;
  • In particolare, la giustizia climatica, per la sua stessa natura unitaria e globale, non può limitarsi al livello solo nazionale: sarebbe un controsenso. La giustizia climatica costituisce la prova evidente della necessità di un cammino di evoluzione universalistica del diritto internazionale.

 

 

 

8. Conclusioni

1-Comparando la situazione esistente nel 1963 con quella attuale, si possono avanzare alcune riflessioni sul piano operativo:

a. Il tema della sicurezza e della pace rimane prioritario

Nel 1963 fu prevenuta una guerra tra USA e URSS; a distanza di 60 anni non si è riusciti a prevenire e contenere i disastri umanitari ed ambientali della guerra in Ucraina e quelli in Palestina. Nel mezzo, come è noto, nei vari continenti si sono verificati molti conflitti (etnici, religiosi, economici, sociali) rispetto ai quali vi è stata una risposta delle Nazioni Unite con Missioni di Pace.

Occorre ora porre al primo posto la necessità di una riforma delle Nazioni Unite, che risente di equilibri e rapporti di forza della fine della II guerra mondiale, che non sembrano più adeguati.

Rimane l’idea necessaria della sicurezza, allargata alla società umana, di cui deve divenire garante la Comunità mondiale come tale, come proposta 60 anni fa dal grande pontefice Giovanni XXIII. Nessuno Stato può paralizzare con il diritto di veto le decisioni di una Autorità politica mondiale, e nessuno Stato può impedire il normale corso di una vera giustizia internazionale obbligatoria di garanzia per l’effettiva attuazione del diritto internazionale.

Accanto alla riforma del Consiglio di Sicurezza delle N.U. con eliminazione del diritto di veto secondo una visione universalistica non astratta, occorre rafforzare nelle Nazioni Unite la componente della comunità umana complessiva rispetto al ruolo dei Governi nazionali.

Si muove in questa direzione la proposta di aggiungere alla Assemblea Generale delle N.U., costituita dagli Stati, una seconda Assemblea Generale delle N.U. riferita alla Società Mondiale, che possa favorire la conoscenza e lo sviluppo del processo di evoluzione della integrazione sociale planetaria sui grandi temi comuni globali: un organo di ascolto e proposte, ma anche di decisione in alcune materie, che possa favorire la risposta politica sulle priorità come percepite dal corpo sociale complessivo nelle sue principali componenti.

A distanza di 60 anni dalla crisi di Cuba il mondo può divenire più pacifico ,ad esempio, se una Assemblea generale della Comunità mondiale dichiari illegittimo il possesso di tutte le armi di distruzioni di massa imponendo agli Stati di provvedere. L’uso sella forza dovrebbe essere autorizzato sempre e solo dalla istituenda Assemblea generale della Comunità mondiale.

Il Consiglio di sicurezza, opportunamente modificato, dovrebbe svolgere un ruolo tecnico di esecuzione in tema di pace e risoluzione dei conflitti.

Si considera molto importante e realistica la proposta di una Polizia internazionale a carattere permanente, riferita non solo ai conflitti, ma anche alla collaborazione ed aiuto delle popolazioni colpite in casi di eventi naturali e tecnologici estremi, secondo una nuova concezione della sicurezza umana complessiva.

b. Il tema dell’economia nella sua funzione sociale

Sono necessarie riforme in campo economico, finanziario e commerciale, nel senso di assicurare la funzione sociale all’economia come limite alla pretesa di assoluta libertà.

Si pone il problema di integrare e migliorare il modello di governance esistente, che già conosce l’esperienza di organi specifici internazionali esterni al modello delle N.U. Sembrano utili alcuni criteri:

  • favorire l’economia reale sui territori con la partecipazione delle componenti umane interessate per il loro sviluppo umano integrale;
  • favorire le iniziative economiche rispettose dell’ambiente;
  • favorire l’agricoltura sostenibile e la conservazione della biodiversità;
  • favorire le energie alternative, il risparmio di suolo e acqua ed il recupero in tutte le sue forme;
  • legare la finanza a progetti economici concreti sul territorio e non alla speculazione;
  • combattere la speculazione finanziaria speculativa in tutte le sue forme perché contraria agli interessi della vera economia;
  • riformare le istituzioni esistenti del sistema monetario, finanziario e commerciale nel senso di una maggiore legittimità ed apertura a tutti i Paesi;
  • creare un Consiglio per la Coordinazione Economica Globale, nel quale inserire le istituzioni esistenti e favorire un raccordo con le autorità nazionali;
  • favorire un passaggio graduale ad una nuova valuta di riserva globale, con un opportuno allargamento del paniere delle monete, oltre il dollaro, inserendo anche le monete dei Paesi emergenti, compresa la Cina;
  • creare gruppi più ampi di Paesi, comprendenti i numerosi Paesi emergenti (oltre il G7 e G 20), in modo da assicurare maggiore stabilità sociale e coinvolgimento politico nel prevenire le crisi;
  • regolamentare le multinazionali nel senso di una maggiore trasparenza, con abolizione dei paradisi fiscali, tassazione equa e sicura, rispetto dei diritti umani;
  • introdurre per l’Africa come continente un regime economico speciale, che non renda possibile lo sfruttamento illegittimo delle risorse, eventualmente con una specifica Autorità di riferimento contro colonialismo, schiavismo, occupazione militare.

c. La protezione globale dell’ambiente

Il tema della protezione ambientale non è stato affrontato direttamente dalla enciclica in esame, perché sorto proprio a partire dagli anni 60.

I principi del documento in esame sono tuttavia in piena sintonia con questo fenomeno sopravvenuto e dimostrano anche per questo la loro validità.

È cresciuta nella società civile e nella dottrina giuridica l’idea della effettività del diritto internazionale anche per questo nuovo valore umano, individuale e collettivo, connesso intimamente con l’economia e la tecnologia.

Per realizzare l’ispirazione universalistica si è domandato giustamente, anche per l’ambiente comune, che la soggettività giuridica fosse estesa a due nuove entità: le singole persone e la Comunità Mondiale.

Gli Stati saranno obbligati ad un ruolo importante di sussidiarietà e solidarietà verso la sovraordinata Comunità Mondiale e dovranno dare priorità al nuovo valore rispetto alla stessa economia in una visione seria di medio e lungo periodo.

Se l’ambiente interessa uomo e natura in modo unitario (atmosfera, geosfera, idrosfera, biosfera) in un unico ecosistema terrestre, oltre che diritto umano diviene un bene giuridico universale; appare necessario assicurare alla giustizia ecologica, nazionale ed internazionale, due requisiti che assicurino effettività: accesso alle persone ed alla società civile ed obbligatorietà.

Appare anacronistica ed illogica l’attuale situazione che contempla la legittimazione ad agire davanti alla Corte internazionale di giustizia a favore solo degli Stati (Only States, come recita lo Statuto), che sono proprio i principali obbligati in tema di non adempimento agli obblighi relativi al contenimento del mutamento climatico. L’attuale diritto internazionale appare realisticamente inadeguato alla protezione necessaria del nuovo valore giuridico emerso rapidamente in appena mezzo secolo.

È significativo che importanti decisioni di Corti supreme nazionali si siano già pronunciate in modo molto rigoroso sugli obblighi degli Stati (Climate Justice) nella materia. Occorre coinvolgere anche la giurisdizione internazionale soprattutto in relazione agli Stati che sono non solo inquinatori, ma anche possessori di grandi quantità di energie fossili nel loro spazio territoriale.

Manca ancora una Alta Autorità per l’Ambiente, come già evocato da vari Governi (v. Dichiarazione de L’Aia,11 marzo 1989, su impulso del Presidente francese Mitterand): una trasformazione dell’UNEP in ONUE, auspicata nella stessa epoca anche da organismi scientifici e della società civile (tra questi la Fondazione ICEF presso la Corte Suprema di Cassazione in Italia).

Le preoccupazioni diffuse oggi sulla necessità di una giustizia climatica efficace, confermano la serietà delle anticipazioni culturali avanzate da vari anni a favore di una vera giustizia ambientale non staccata dalla evoluzione unitaria di tutto il diritto internazionale : una Corte internazionale per l’ambiente, specializzata inserita nella Corte internazionale di giustizia o una autonoma, ma sempre con gli stessi profili sostanziali di obbligatorietà ed accessibilità[7].

d. La mobilità umana e le migrazioni di massa

Si tratta di un tema strutturale di immensa portata, ineludibile, che va comunque regolato secondo principi condivisi.

Quando si spostano dall’Africa milioni di giovani per migliorare la loro condizione economica, si tratta di regolare il fenomeno nella sua unitarietà non solo per gli aspetti umanitari, ma anche per l’inserimento reale nel mondo del lavoro e l’integrazione sociale. Occorrono al riguardo nuove regole equilibrate.

Basta considerare un dato realistico: le migrazioni di popoli non pongono solo problemi economici di inserimento nel lavoro, ma oneri sociali aggiuntivi immediati, perché non si possono negare i diritti umani essenziali per vivere anche per gli irregolari: diritto al cibo, diritto all’acqua, diritto ad una abitazione, diritto alla salute (esempio pronto soccorso). Quando i giovani irregolari incoraggiano le famiglie di origine ai ricongiungimenti o quando il mutamento climatico devasta interi Stati rendendoli non più adatti alla vita umana e degli animali, i problemi vanno affrontati con una logica non emergenziale secondo una politica di solidarietà che solo Poteri sovranazionali possono rendere obbligatoria.

e. L’intelligenza artificiale

Esistono preoccupazioni legittime sui rischi delle nuove tecnologie: nuovi microchip e nuovi computer quantici potrebbero arrivare a prendere decisioni in base ad algoritmi sostituendosi all’uomo (v. Appello del Center for AI Society). Una Autorità internazionale se ne può occupare nell’interesse comune, con assoluta trasparenza secondo principi sicuri di prevenzione e precauzione. Sarebbe molto utile essere aiutati dalle macchine nella promozione di sistemi solidaristici di coesione sociale, conservando sempre la scelta definitiva libera alla Comunità mondiale.

f. Una idea larga di sicurezza umana

Le pandemie hanno già imposto il problema della sicurezza globale da alcuni gravi rischi alla salute umana.

In generale si può osservare che se si esclude la legittimità della guerra e si assume giustamente come valida l’idea più ampia di sicurezza umana (rischi nuovi sugli effetti del mutamento climatico; rischi di nuove pandemie; rischi nuovi legati alle tecnologie come l’intelligenza artificiale; rischi nuovi legati all’ammontare enorme degli armamenti, compresi gli strumenti di distruzione di massa; rischi nuovi legati all’esplorazione dello spazio; rischi sociali delle migrazioni di massa da interi continenti..), il ruolo del diritto internazionale richiede necessariamente scelte coraggiose per un suo rafforzamento in sede globale nel segno della universalizzazione.

Una nuova collaborazione internazionale diventa doverosa per la soluzione dei problemi comuni, rendendo meno rilevanti le spinte verso aree di influenza conflittuali.

g. La protezione dei beni comuni dell’umanità

Tra i temi da valorizzare ulteriormente vi è quello della protezione dei beni comuni dell’umanità di valenza culturale od ambientale negli oceani e sulla terraferma ,compresi i poli: la universalizzazione del diritto internazionale è favorita da beni che la coscienza umana già percepisce come comuni per il loro valore comunicativo intrinseco o per il sostegno alla vita.

h. La protezione delle generazioni future

 

2- In conclusione la filosofia umanistica ed universalistica della Pacem in Terris del 1963 risulta confermata dai fatti globali sopravvenuti e la politica- nel senso più alto del termine- è obbligata a tenerne conto.

Si confida che il tema fondamentale posto 60 anni fa di un nuovo ordine internazionale, espressione di un nuovo diritto umano, possa essere affrontato nelle sedi opportune almeno in relazione ad alcuni settori di maggiore urgenza.

Si chiede in conclusione che inizi un nuovo percorso non solo scientifico, ma giuridico, a cura delle Nazioni Unite[8].

 

 

 

[1] Fondazione ICEF – International Court of the Environment Foundation : www.icef-court.org

[2] V. “Pace, giustizia, ambiente e la guerra in Ucraina”, Amedeo Postiglione, in Rivista giuridica ambiente online, giugno 2023. Per i danni umani ed ambientali (compresi quelli climatici), v. Conferenza N.U. sul clima, Bonn, 7 giugno 2023, Rapporto di un gruppo di ricerca guidato dall’olandese Leonard de Klerk e sul Corriere della Sera, 13 giugno 2023, pagina 13, un articolo di Lorenzo Cremonesi e Milena Gabanelli “L’ecocidio ignorato”.

 

[3] L’attenzione ai segni dei tempi, sulla scia della filosofia di aggiornamento del Concilio Vaticano II, ubbidisce ad una visione realistica ed anche positiva dell’evoluzione storica complessiva. Se il Dio cristiano non è solo creatore iniziale, ma anche presente ancora nell’universo ,tanto da rendere necessaria la missione redentrice del Messia Gesù Cristo, l’ordine trascendente sussiste ed è compatibile con il valore inestimabile della libertà legata alla dignità umana. Di fronte al male del mondo, il Vangelo prende una chiara posizione di contrasto, ma non invita a chiudersi in un sistema autoreferenziale di poteri: ogni credente deve accettare la sfida, facendo scelte individuali e comunitarie coraggiose e leggendo con fiducia i segni positivi dei tempi della storia. La novità dell’enciclica di Giovanni XXIII è stata quella di coinvolgere i cristiani in “un compito immenso comune a tutti gli uomini di buona volontà” (punto n.87), per un lavoro comune: “ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà”.

 

[4] V. L’albero dei diritti e dei doveri umani, Amedeo Postiglione, Cantagalli,2020. Per una lettura dei documenti sui diritti umani nell’Islam v. “I diritti dell’uomo nell’Islam”, Amedeo Postiglione, Aracne Editrice, Roma, 2017. Nella religione ebraica (Esodo 20:2-17; Deuteronomio 8,2-3.14b-16a) i diritti umani sono comandi di Dio, consegnati a Mosè, sul monte Sinai, leggi formalizzate e scritte sulla pietra e più profondamente leggi scritte nel cuore umano, nella coscienza di ogni persona. Lo stesso Mosè ricorda al suo popolo dopo 40 anni nel deserto che le sofferenze patite erano state necessarie per “metterti alla prova e per sapere che avevi nel cuore” (la legge scritta nella stessa natura umana ancor prima della formalizzazione nelle famose Tavole). Il dono della manna nel deserto, ricorda Mosè al suo popolo, era stato un alimento eccezionale per la vita fisica, finalizzato a ricordare la necessità di un alimento perenne per la vita dello spirito, costituito dal legame con Dio (per “farti capire che l’uomo non vive di solo pace, ma di quanto esce dalla bocca del Signore”).

È significativo che la prima tentazione di Satana a Gesù riguardi proprio l’invito a trasformare le pietre in pani, invito non accolto proprio con la citazione della frase biblica sopra indicata. La seconda tentazione (gettarsi dal pinnacolo del tempio di Gerusalemme e coinvolgere gli angeli del cielo per la salvezza) è egualmente respinta, con la frase della Bibbia:” Non tentare il Signore Dio tuo” (con una possibile allusione alle nuove tecnologie ed ai relativi limiti). La terza tentazione più esplicita riguarda il potere (tutti i regni del mondo) egualmente respinta sempre con una frase biblica (sta scritto: Il Signore tuo Dio adorerai e a lui solo renderai culto): una tentazione ben presente, come ricorda anche Dostoevskjj, nella modernità in cui viviamo e nei conflitti per il potere. Nel Vangelo le legge mosaica non è abolita, ma integrata da un comandamento rivoluzionario nuovo: la doverosità dell’amore. Questo messaggio assoluto consente di cercare insieme un fondamento anche laico, in nome della libertà, ai diritti umani: solo l’amore può inaugurare una nuova filosofia dei doveri evitando la tentazione di abusare della libertà, costruendo nuovi diritti in contrasto con la dignità umana o la tentazione di abusare del potere tecnologico senza limiti.

 

[5] V.Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II del 1965; Populorum Progressio del 1967 di Paolo VI; Magistero di Giovanni Paolo II sulla pace, 2003; Caritas in Veritate di Benedetto XVI del 2009; un contributo importante è venuto dal Pontefice Francesco in due direzioni: la protezione specifica unitaria e custodia dell’ambiente (Laudato Si del 2015); la solidarietà di una comune fratellanza umana, che rende improponibili le guerre (Fratelli Tutti del 2017).

 

[6] V. R. Cassin, L’homme sujet du droit international et la protection des droits de l’homme dans la societé universelle, Melanges Georges Scelle, pagg.67-91.

[7] Sul punto si rinvia alla sintesi operata dal recente volume “La risposta alla crisi ambientale. Una governance globale”, Amedeo Postiglione, Cantagalli Editore, Siena, 2021. Questo volume offre un quadro generale sulla evoluzione della cultura ambientale ,indicando le principali tappe e suggerisce una serie di possibili riforme.

 

[8] Quadro dei grandi settori per possibili poteri pubblici aventi autorità su un piano mondiale:

  • sicurezza umana globale e pace: regole ed organi comuni;
  • economia: regole contro la finanza speculativa, disciplina delle multinazionali ed organi comuni di controllo;
  • protezione dei diritti umani di base (cibo, acqua, abitazione, cultura): regole ed organi comuni;
  • protezione unitaria dell’ambiente: atmosfera, idrosfera, geosfera, biosfera; regole nuove per le risorse, gli spazi e le città sostenibili; organi comuni di collaborazione e controllo
  • protezione del clima: regole rigide non solo per le emissioni, ma per le estrazioni, produzione e commercio di tutte le energie fossili (tema ignorato dalle stesse Nazioni Unite che vedono solo gli effetti-le emissioni- e non la causa) ed organi comuni;
  • protezione della salute umana da nuove pandemie e dell’ecosistema terrestre: regole ed organi comuni;
  • protezione da tutti i grandi rischi (nucleari, chimici, genetici, …): regole ed organi comuni;
  • protezione rispetto alle nuove tecnologie della comunicazione e della medicina: regole in tema di intelligenza artificiale ed organi comuni;
  • problema nuovo delle migrazioni di popoli: regole ed organi comuni;
  • esplorazione dello spazio: regole ed organi comuni;
  • ricerca scientifica: regole ed organi comuni;
  • patrimoni comuni dell’umanità (beni culturali e grandi ecosistemi di biodiversità nei mari e sulla terraferma) e loro efficace protezione.

 

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