Cari web lettori,

sono ormai passati quasi trent’anni da quando il rapporto Brundtland della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo voluta dall’Onu, formulò per la prima volta il principio dello sviluppo sostenibile, ufficialmente elaborato nella Conferenza di Rio del 1992 ed inserito nella “Costituzione europea” (e persino nel nostro ordinamento con l’art. 3 quater del TUA). Ne riporto solo un passaggio: “Gli esseri umani…hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura. Il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all’ambiente ed allo sviluppo delle generazioni presenti e future”.
Ci sono voluti decenni per arrivare a questo inviolabile principio, e praticamente tutte le principali economie del mondo si sono attivate in tal senso, confermando che l’ambiente e la salute non sono merci di scambio o valori di “freno” allo sviluppo economico, ma componenti essenziali dello stesso. Se dall’età del petrolio giungeremo all’età del sole, solo attraverso la Green economy si potrà passare. C’erano voluti decenni.
Ed ora? Il caso ILVA sta nel nostro Paese fecendo emergere le più profonde, altrettanto inviolabili, ottusità, egoismo ed ignoranza, in cui praticamente quali tutti (politici, industriali, banche, sindacati, ecc…) gettano finalmente la maschera, dimostrando che per loro “ambiente”, “salute”, “futuro”, “sviluppo sostenibile” (si giunge persino al paradosso di considerarlo sostenibile se ci sono i soldi a sufficienza!), “green economy”, sono solo slogan per imbonire e basta. Sentite da ultimo cosa dice tra il tripudio di “tutti” il vicepresidente della commissione UE Tajani: “Le politiche ambientali non possono andare a detrimento dell’industria”! Ma come? Il contrario del principio dello sviluppo sostenibile. Siamo tornati agli anni’60, ma senza le speranze di allora. Cosa vogliamo togliere ancora ai nostri figli, dopo avergli tolto lavoro, speranze e futuro? Anche l’aria?
Ora è ancor più chiaro perchè dal 1948 ad oggi nessuna riforma della Costituzione abbia mai modificato l’art. 9 inserendo la parola “ambiente” al posto di quella anacronistrica di “paesaggio”, puntando tuttalpiù a modificare l’art. 41 sostanzialmente permettendo all’iniziativa economica privata di fare quello che le pare.
E in tutto ciò il massimo della politica ambientale che stiamo producendo lavorando con la calcolatrice anzichè con il futuro sono i “cieli bui”? Qui sono “cavoli amari”, altro che “cieli bui”.
Guardo i miei figli e i miei studenti e dico: io non ci sto. E voi?

Stefano Maglia
s.maglia@tuttoambiente.it

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