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Preveniamo rischi Risolviamo problemi Formiamo competenze

Rapporto “Green Economy per uscire dalle due crisi”

L’incontro organizzato a Roma il 14 dicembre 2012 dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e dall’ ENEA, estensori del Rapporto “Green Economy per uscire dalle due crisi”, è stato un’ulteriore occasione per riflettere sulle prospettive della Green economy in Italia. Il Ministro dell’ Ambiente Corrado Clini ha definito il Rapporto una importante piattaforma per il nuovo Governo.
Nelle note che seguono, i passaggi più importanti delle relazioni svolte, naturalmente a detta del sottoscritto.
A seguito dell’introduzione del Commissario dell’ENEA, Giovanni Lelli, è intervenuto Morabito, Responsabile dell’Unità Tecnica Tecnologie ambientali, che ha fatto una rapida sintesi dei dati più interessanti che si possono trovare sul rapporto e riferiti ai 6 settori strategici (eco-innovazione, efficienza e risparmio energetico, sviluppo delle fonti rinnovabili, uso efficiente delle risorse, filiere agricole di qualità ecologica e mobilità sostenibile).
Alcuni dati in chiaroscuro:

  • ci piazziamo al 16° posto nell’Europa dei 27 sull’eco-innovazione;
  • nel campo delle energie rinnovabili, siamo al 4° posto nel mondo per investimenti;
  • con riferimento all’uso efficiente di risorse, in presenza di scarsità di minerali, metalli e legno, abbiamo una occupazione sovradimensionata riferita alle attività di raccolta e trasporto dei rifiuti e sotto la media europea per le attività di recupero;
  • negli ultimi anni abbiamo perso2,150.000 ettaridi suolo pari al 14,4%;

Per non dare i numeri mi fermo consigliando di leggere il rapporto a cura di Edo Ronchi e Roberto Morabito.
Proseguiamo con una domanda “virtuale”, ovvero desunta, a Edo Ronchi, Presidente della Fondazione.

Il concetto di Greeneconomy ha geometrie variabili. Una sua definizione?
La Green economy punta su produzioni di beni e di servizi ad elevata qualità ecologica in grado di affrontare sia la crisi economico-finanziaria, sia quella climatica-ecologica, alimentando un nuovo sviluppo.La Green Economy promuove un’idea di benessere non legata alla crescita del consumismo, ma allo sviluppo di consumi più equi, sobri e consapevoli e sollecita un uso efficiente dell’energia e delle risorse materiali, innovazioni di prodotto e di processo, nuove competenze e professionalità, con significative possibilità di aumento dell’occupazione”.

Quali sono i presupposti per potere sviluppare la Green Economy in Italia?

  • Politiche di lungo respiro, coerenti e non discontinue;
  • Un quadro stabile e strategie condivise tra le forze politiche sui temi della greeneconomy (vedasi Germania) e una presenza importante e stabilizzatrice delle imprese del settore;
  • Sviluppo dell’eco-innovazione (di prodotto, di processo, di consumo, trasversale, macro – organizzativa);
  • Politiche ambientali forti, per tutelare gli ecosistemi e i servizi ambientali che sono parte importante della qualità e del benessere e driver importante di un nuovo modello di sviluppo. Le brutte figure nazionali (vedi Napoli con i rifiuti) rendono più difficile la presenza delle imprese italiane sui mercati internazionali;
  • Investimenti su 5 settori strategici: efficienza e risparmio energetico; fonti energetiche rinnovabili; l’uso efficiente delle risorse (chimica verde e riciclo); le filiere agricole di qualità ecologica e agroenergia sostenibile, mobilità sostenibile.

Andrea Bianchi, Direttore Generale per la politica industriale e la competitività, Ministero dello sviluppo economico
Ribadisce che la greeneconomy richiede un cambio di paradigma nelle modalità di produzione e consumo e che l’Europa ha un ruolo importante di orientamento delle politiche nazionali, in quanto ha una vision e coerenti politiche sistemiche (Europa 2020). A differenza dell’Italia!
Ricorda l’importanza di promuovere non solo la domanda, che ha determinato la crescita straordinaria delle Rinnovabili ma anche l’offerta mediante il sostegno alla ricerca e all’eco-innovazione e più in generale mediante il sostegno alle imprese che producono “beni comuni” e facilitano la transizione verso l’unica economia possibile.
Interessante è la proposta fatta da Bianchi di mappare le capacità tecnologiche delle ecoimprese.

Laura Sabbadini, direttore per le Statistiche sociali e ambientali dell’ISTAT
Introduce ricordando che “ahimè” non siamo un paese rispettoso dell’ambiente e ricorda che:

  • In Italia 1/3 dell’acqua potabile viene perso lungo le tubature;
  • ¼ di famiglie al sud hanno una erogazione discontinua di acqua potabile;
  • 51% dei rifiuti dei rifiuti finisce in discarica;
  • Solamente 1/3 dei rifiuti viene raccolto in modo differenziato;
  • La qualità dell’aria peggiora nei centri urbani;
  • Il 7% del suolo è artificiale contro il 4,3% della media europea;
  • Le ecomafie
    e l’elenco potrebbe continuare. Inoltre gli italiani non brillano certo per senso civico.
    Riconferma che la Green Economyè una sfida di sistema di vitale importanza per il nostro paese e pertanto deve essere misurata. L’ISTAT deve definirne i contorni e una tassonomia specifica. Un importante passo avanti l’ISTAT e il CNEL lo hanno fatto mettendo a punto il BES “Benessere equo e sostenibile”, caratterizzato da 12 dimensioni e 134 indicatori (http://www.misuredelbenessere.it/). Uno sforzo, in linea con gli orientamenti internazionali, per superare l’unico indicatore di ricchezza (non è sinonimo di benessere) ovvero il PIL.

Due domini riguardano: “l’ambiente” con 13 indicatori e il “Paesaggio e il patrimonio culturale” con 12 indicatori specifici.
A gennaio uscirà il primo rapporto e c’è molta attesa e interessa tra gli operatori e le organizzazioni della società civile.
Si potrebbe dire che il BES e i suoi 134 indicatori e le 70 proposte uscite dagli stati generali della Green Economy (http://www.statigenerali.org/) rappresentano due importanti strumenti per impostare politiche e misurarne poi gli effetti.
Il Ministro Clini ha ricordato l’importanza di indugiare sui settori aperti ai mercati internazionali. Ricorda che l’India e il Brasile, nel settore tessile, chiedono tecnologie a ciclo chiuso. Ha richiamato le riforme interrotte dalla crisi di governo in primis la delega fiscale che aveva introdotto la fiscalità ambientale tesa a riorganizzare il carico fiscale, spostando il peso delle tasse, progressivamente, dal lavoro e dalle imprese al consumo di risorse energetiche e naturali; infine il decreto che prevedeva regole certe nelle procedure della PPAA riducendo discrezionalità e tempi lunghi.
Ha ribadito il ruolo del credito d’imposta per promuovere e finanziare interventi ecologici.