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Rifiuti a specchio: neverending story?

Dopo otto mesi dalla sentenza della Corte di Giust. Ue, la suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 42788 del 21 novembre 2019, torna ad occuparsi dell’annosa questione relativa al tema delle cosiddette voci a specchio, dovendo necessariamente adattarsi a quanto dispose la pronuncia europea. Tutti abbiamo sperato che questa sarebbe stata davvero la volta buona per offrire chiarezza e sicurezza a tutti gli operatori del settore. Abbiamo sperato.

In realtà, pur confermando (e non poteva essere diversamente) la chiara linea tracciata dai giudici europei, con riferimento al fatto che è una assoluta sciocchezza la pretesa (teoria della certezza) di dover ricercare l’assenza nel rifiuto di qualsiasi sostanza pericolosa (noto con piacere che i propugnatori di questa “teoria” hanno già da tempo fatto marcia indietro) per stabilire se un rifiuto a specchio possa essere classificato come non pericoloso, e che è invece necessario e sufficiente ricercare solo quelle “che possano ragionevolmente trovarvisi” sulla base della conoscenza del ciclo produttivo, a mio modesto avviso si concentra poi sul concetto (del resto già presente nella sentenza europea) per cui il produttore “non ha alcun margine di discrezionalità a tale riguardo”, chiudendo sostanzialmente la motivazione col solito richiamo generico al principio di precauzione, il quale, rammenta la Corte di Giustizia, deve essere però bilanciato (e lo dice la sentenza stessa) con il principio della fattibilità tecnica e della praticabilità economica, per non sfociare in misure discriminatorie e non oggettive.

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A prescindere che “ragionevolmente” e “alcun margine di discrezionalità” sono termini evidentemente contrapposti, c’è da chiedersi cosa si debba in concreto intendere per “alcun margine di discrezionalità”. A mio parere si tratta del fatto – e su questo tutti siamo d’accordo – che con riferimento alle sostanze “ragionevolmente” presenti il produttore deve essere in grado di provare – senza alcun margine di discrezionalità – di aver effettuato la raccolta di tutte le informazioni necessarie sulla base della “precisa metodologia” indicata non solo (v. punti 42 e43) nella sentenza della Corte Giust, ma anche nella fondamentale Comunicazione UE (2018/C 124/01) del 9 aprile 2018, recante le Linee guida UE sulla classificazione rifiuti.

Mica facile, ma almeno sarà davvero sufficiente agire così per non rischiare? O ci sarà sempre la possibilità di un intervento di un cavaliere del principio di precauzione che, nella convinzione assoluta che chiunque abbia classificato un rifiuto come non pericoloso è sicuramente un pericoloso criminale della peggior specie che merita gogna e carcere, sarà comunque convinto che anche tutto questo non basterà?

Ancora caso per caso? Senza certezza? La vedo ancora male. Bah. Lo scopriremo solo vivendo…

Alla prossima settimana!

Stefano Maglia

s.maglia@tuttoambiente.it

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