Il quesito proposto richiama l’attenzione su quali attività debbano essere intraprese in caso di eventi quali fuoriuscite di reflui dagli impianti di depurazione, tubazioni di fognatura, pozzetti fognari, etc … Infatti, in tali situazioni è difficile capire se si rientra nel campo di applicazione del Titolo V della Parte IV del D.L.vo 152/06 (bonifica). Nello studio della fattispecie e nello svolgimento del parere la difficoltà maggiore è stata quella di capire se un sistema di monitoraggio analitico dei reflui dia risultati incompatibili con la potenziale alterazione delle CSC, questa caratterizzazione possa servire o meno ad evitare la comunicazione (ex art. 242) in quanto i reflui non risultano in grado di alterare le CSC.
Stefano Maglia – Miriam Viviana Balossi, 02/01/2015

Premessa

Il tema dello sversamento di acque reflue dovuto a tracimazione della fognatura si colloca a cavallo di due materie che hanno molti punti di contatto, ovvero quella dei rifiuti e quella delle acque. Identificare quale delle due sia applicabile è preliminare per procedere nella disamina delle norme inerenti la bonifica, modificate ad opera del D.L. 24 giugno 2014, n. 91 convertito con la L. 11 agosto 2014, n. 116 (cd. Competitività) e del D.L. 12 settembre 2014 n. 133 come conv. nella L. 11 novembre 2014, n. 164 (cd. Sblocca Italia).

 

Il concetto di scarico

Tralasciando l’evoluzione normativa che ha interessato la nozione di scarico, con la quale dal 13 febbraio 2008 si deve intendere “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante[1](art. 74, c. 1, lett. ff, D.L.vo 152/06), si ritiene maggiormente utile concentrarsi sull’applicazione pratica che ne ha fatto la giurisprudenza nel corso degli anni.

 

Infatti, si segnala al riguardo una sentenza della Corte di Giustizia, Sez. II, Causa C-252/05, del 10 maggio 2007[2], la cui domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti e della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane: la Corte, in questo caso, ha proceduto all’accertamento se le acque reflue che fuoriescono da un sistema fognario costituiscano rifiuti ai sensi della Dir. 75/442[3].

Dopo aver analizzato il contesto normativo comunitario e interno (inglese), i giudici affermano testualmente che “la circostanza che le acque reflue fuoriescono da un sistema fognario è ininfluente quanto alla loro natura di «rifiuti» ai sensi della direttiva 75/442. Infatti, la fuoriuscita di acque reflue da un impianto fognario costituisce un fatto mediante il quale l’impresa fognaria, detentrice delle acque, se ne «disfa». Il fatto che le acque siano fuoriuscite accidentalmente non consente di giungere ad una conclusione diversa”. Sicché, conclude la Corte, “le acque reflue che fuoriescono da un sistema fognario gestito da un’impresa pubblica che si occupa del trattamento delle acque reflue ai sensi della direttiva 91/271 e della normativa emanata ai fini della sua trasposizione costituiscono rifiuti ai sensi della direttiva 75/442[4].

 

In ambito nazionale, si segnala la sentenza Cass. Pen. 29 aprile 2005, n. 16274, emessa in vigenza della precedente nozione di scarico di cui al D.L.vo 152/99 (in forza della quale lo scarico era solo quello costituito da qualsiasi immissione diretta tramite condotta), secondo cui “poiché scarico non è solo quello che avviene attraverso condotta, ma anche quello irregolare per tracimazione diretta, non trova applicazione il D.L.vo 22/97, bensì il D.L.vo 152/99 laddove si verifichi uno sversamento dal depuratore con conseguente immissione di liquami nel corpo recettore”.

Come evidenziato anche in altra sede[5], quest’ultima pronuncia è stata oggetto di studio e di riflessione da parte della dottrina[6], la quale ha avuto cura di precisare come il principio espresso in sentenza debba essere sempre considerato caso per caso, senza farne un’applicazione generalizzata.

 

Nella successiva pronuncia Cass. Pen. 20 maggio 2008, n. 26739 si legge che “si è certamente in presenza di uno scarico ove la stessa [vasca], difettando di adeguata impermeabilizzazione, consenta lo sversamento, almeno in parte, dei liquidi sul suolo … configura un illegale scarico di acque reflue industriali ai sensi dell’art. 59, lo stoccaggio dei residui liquidi di un insediamento in vasche a tenuta non stagna, con spargimento sia pure parziale al suolo o tracimazione del contenitore stesso”. La dottrina prevalente [7]– a cui si aderisce – non condivide questa statuizione, perché nella fattispecie il deflusso del refluo non era uno scarico in quanto, avvenendo per tracimazione, difettava il requisito del convogliamento del liquido tramite condotta.

 

Pertanto, ad avviso di chi scrive, lo sversamento di acque reflue urbane dovuto a tracimazione di fognatura – stante l’attuale nozione di scarico (D.L.vo 152/06 s.m.e.i., art. 74, c. 1, lett. ff: “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo recettore …”) – non integra i presupposti richiesti dal suddetto art. 74, sicché l’evento di tracimazione si configura come un episodio di smaltimento di rifiuti liquidi. Poiché si dà il caso che detta attività non sia – per ovvi motivi, in quanto non prevista – autorizzata, si tratta di un abbandono di rifiuti liquidi, sanzionato dall’art. 255 D.L.vo 152/06 (sanzione amministrativa pecuniaria da 300 € a 3.000 €).

 

Ad avviso di chi scrive, eventuali responsabilità in ordine alla tracimazione della fognatura sono ascrivibili in capo al gestore della stessa, come anche quella inerente un guasto al depuratore che abbia dato origine alla tracimazione delle acque reflue urbane dai tombini (nella fattispecie, poi, la prova deve essere fornita dalla parte che invoca tale fatto ad esonero della sua responsabilità).

 

Un cenno merita l’aspetto dell’evento fortuito quale causa di esclusione della colpevolezza. Al riguardo, si segnala che la S.C. è sempre stata molto rigorosa, tanto da escludere nella maggioranza dei casi il verificarsi dell’evento fortuito: in Cass. Pen. 7 ottobre 1999, n. 11410, ad esempio, è stato stabilito che non configura un’ipotesi di caso fortuito la rottura di un tubo che ha determinato uno scarico oltre i limiti tabellari. Tale evento, secondo i giudici, non assume i caratteri della imprevedibilità ed inevitabilità, stante il dovere positivo di adottare tutte le misure preventive, tecniche ed organizzative atte ad evitare il superamento dei limiti tabellari[8].

Del pari, non costituiscono caso fortuito l’interruzione del ciclo di depurazione dovuto a mancanza di corrente, né uno scarico causato da un temporale, perché non si tratta di fatti imprevedibili ed idonei ad escludere la responsabilità penale[9]. Infatti, i guasti e gli incidenti sul depuratore sono considerati esenti da responsabilità solo in quei casi in cui costituiscono un fatto imprevisto ed imprevedibile, inaffrontabile con la normale diligenza.

Addirittura, c’è in dottrina chi ritiene che “il guasto o il blocco anche tecnico dell’impianto di depurazione, finché è previsto e prevedibile, ed a maggior ragione se trattasi di blocco dovuto ad attività ritmica e sistematica di manutenzione e quindi assolutamente prevedibile a livello generale, lungi dal costituire una specie di causa di giustificazione eccezionale per il titolare dell’azienda, costituisce la prova del proprio dolo o della colpa in ordine alla cattiva gestione dell’impiantistica[10].

 

Conclusioni

Trattandosi, a seguito della ricostruzione sopra condotta, di rifiuti, ne discende che in caso di sversamento di acque reflue dovuto a tracimazione della fognatura bisogna poi prendere necessariamente in considerazione anche la normativa inerente la bonifica. Si rammenta che per bonifica deve intendersi “l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)” (art. 240, c. 1, lett. p).

Infatti, a prescindere dal fatto che l’evento si verifichi in aree di pertinenza dell’impianto oppure all’esterno delle stesse, o ancora che ciò coinvolga un terreno, un fosso o un corso d’acqua limitrofi[11], “al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 304, comma 2” (art. 242, c. 1).

 

Questo, dunque, è il primo passo da compiere a prescindere da qualsiasi valutazione circa il fatto che la matrice del liquame fognario sia o meno tale da cagionare una contaminazione. Infatti, l’art. 257 sanziona anche l’inottemperanza di questa prima fase: “In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da mille euro a ventiseimila euro”.

 

La presenza o l’assenza della contaminazione verrà in rilievo in un secondo momento, immediatamente successivo alla prima fase:

Il responsabile dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed alla provincia competenti per territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione” (art. 242, c. 2).

Se, come si suppone, il liquame fognario non avrà avuto l’effetto di cagionare un superamento delle CSC, allora “l’autocertificazione conclude il procedimento di notifica di cui al presente articolo, ferme restando le attività di verifica e di controllo da parte dell’autorità competente da effettuarsi nei successivi quindici giorni” (art. 242, c. 2).

 

Tralasciando l’ipotesi che il liquame fognario realizzi una contaminazione con superamento delle CSC (non oggetto del parere e fatto assai remoto) con conseguente avvio della procedura di bonifica ex art. 242 D.L.vo 152/06, si precisa che qualora dai controlli sulle matrici ambientali emerga un superamento delle CSC che si asserisce non dovuto al liquame fognario, allora dovranno essere intraprese nuove indagini per provare, tecnicamente, che la contaminazione era preesistente o comunque dovuta ad altri fattori non direttamente riconducibili all’attività del gestore.

Per completezza, si fa notare che per effetto delle modifiche apportate dal cd “decreto competitività” (D.L. n. 91/14) convertito nella L. 116/14, è stato introdotto (dall’art. 13 c. 1 del citato D.L.) un nuovo articolo, il 242-bis, all’interno del D.L.vo 152/06, così che entra a far parte della vigente disciplina ambientale la nuova procedura semplificata per le operazioni di bonifica del suolo attivabile da qualsiasi “operatore interessato” a effettuare, a proprie spese, la riduzione della contaminazione dell’area al di sotto delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC)[12].

 

Note

 

[1] Per un approfondimento sul tema della nozione di scarico e delle acque reflue industriali, si veda M.V. BALOSSI – E. SASSI, La gestione degli scarichi – Aspetti giuridici e tecnici, Irnerio Editore, 2011, nonché S. MAGLIA – M.V. BALOSSI, Il nuovo concetto di scarico, con particolare riferimento alla nozione di acque reflue industriali, in Rivista Ambiente & Sviluppo, n. 4/2008.

[2] Pubblicata in GUUE n. C 140/3 del 23 giugno 2007.

[3] Per un commento alla sentenza si veda G. GARZIA, Qualificazione giuridica dei reflui da rete fognaria: si pronuncia la Corte di Giustizia, in Rivista Ambiente & Sviluppo, n. 8/2007, p. 683

[4] In materia, si veda altresì S. MAGLIA, Sversamento occasionale di acque reflue: scarico o rifiuto liquido?, in Rivista Ambiente e Sviluppo, n. 5/2008

[5] M.V. BALOSSI – E. SASSI, op. cit., p. 14

[6] Si vedano:

– M. SANTOLOCI, Caso di irregolare funzionamento del depuratore: quando è applicabile la normativa in tema di rifiuti?, in http://www.reteambiente.it

– V. PAONE, Inquinamento idrico: qual è il confine tra le immissioni occasionali e lo scarico?, in Rivista Ambiente & Sviluppo, n. 3/2009, p. 242 ss.

[7] V. PAONE, Inquinamento idrico: qual è il confine tra le immissioni occasionali e lo scarico?, op. cit.

[8] Come citato in S. MAGLIA –F. ROCCA, Il nuovo codice delle acque, Piacenza, pag. 1728

[9] Si veda M. SANTOLOCI, Il depuratore di acque reflue. La differenza con l’impianto di trattamento dei rifiuti liquidi. Il regime giuridico dei guasti nell’impianto, in http://www.dirittoambiente.com

[10] Si veda M. SANTOLOCI, op. cit.

[11] Proprio perché la nozione di sito è ampia: “l’area o porzione di territorio, geograficamente definita e determinata, intesa nelle diverse matrici ambientali (suolo, materiali di riporto, sottosuolo ed acque sotterranee) e comprensiva delle eventuali strutture edilizie e impiantistiche presenti” (art. 240, c. 1, lett. a).

[12] Per approfondimenti si veda M. TAINA, Tutte le ultime novità in materia di bonifica dei siti inquinati, in www.tuttoambiente.it