Nel presente parere si procede a tracciare la distinzione che intercorre a livello giuridico tra scarichi e rifiuti liquidi, al fine di comprendere - al verificarsi di un caso pratico -  se questo debba trovare la sua disciplina nella Parte III o nella Parte IV del D.L.vo 152/06, con tutte le responsabilità che ne conseguono.
Miriam Viviana Balossi, 09/12/2020

E’ fondamentale distinguere a monte la categoria degli scarichi da quella dei rifiuti liquidi, perché anche se a lato pratico potrebbero apparire la stessa cosa, in realtà la normativa pone dei presupposti che danno fondamento a differenze sostanziali.

A tal fine, l’attuale e vigente art. 74, c. 1, lett. ff) del D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152 reca la seguente definizione di scarico:
qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante”.
Tale nozione è risultato di anni di modifiche normative, interpretazioni dottrinali e pronunce giurisprudenziali che hanno contribuito a definire giuridicamente “scarico” ciò che presenta le seguenti caratteristiche:
– “qualsiasi immissione”: si deve trattare di un’introduzione fisica di reflui di qualsiasi tipologia;
– “sistema stabile di collettamento”: tale deve essere il veicolo che permette di realizzare la suddetta immissione. Non è necessaria una tubatura vera e propria, ma si deve trattare perlomeno di un convogliamento;
– “senza soluzione di continuità”: ovvero direttamente. Ciò significa che non ci possono essere interruzioni fisiche nel flusso di immissione/convogliamento dei reflui tra il ciclo di produzione e il suo corpo recettore;
– “indipendentemente dalla loro natura inquinante”: ai fini della configurabilità giuridica della nozione di scarico, non rileva se il refluo riveste attitudine inquinante o meno;
– “esclusivamente”: questa sopra descritta è l’unica possibilità ammessa dal Legislatore affinché si possa configurare uno scarico in senso giuridico, e non sono previste alternative.

Tutto ciò premesso, s’intende per scarico solo quell’immissione diretta e continuativa immessa tramite un sistema stabile di deflusso, dal momento della produzione del refluo fino al suo sversamento in un recettore, che sia la pubblica fognatura o un corpo idrico, suolo o strati superficiali del sottosuolo.

Per contro, tutto ciò che non rientra in tale casistica (e, quindi, nei casi in cui si ravvisa un’interruzione rappresentata ad esempio, da un accumulo in una vasca o un prelievo da parte di un’autobotte) è inesorabilmente un rifiuto (che sia liquido, piuttosto che fangoso o palabile): quest’ultimo è un rifiuto a tutti gli effetti, ovvero, ai sensi dell’art. 183, c. 1 lett. a) del D.L.vo 152/06, “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”. Come confermato dalla pronuncia n. 25037 del 22 giugno 2011 della Corte di Cassazione Penale, sez. III, “in assenza di una condotta di scarico, le acque reflue devono qualificarsi rifiuti liquidi … il cui versamento sul suolo ovvero la cui immissione in acque superficiali o sotterranee, senza autorizzazione, è sanzionata penalmente dall’art. 256, commi 1 e 2” del D.L.vo 152/06.

Del resto, l’art. 185, c. 2, lett. a) del D.L.vo 152/06 esclude dall’ambito di applicazione della Parte IV, in quanto regolate da altre disposizioni normative, “le acque di scarico” (che trovano, infatti, la loro disciplina nella Parte III del medesimo provvedimento).

La giurisprudenza, in considerazione della possibile sovrapposizione tra la nozione di acque di scarico e di rifiuti allo stato liquido, ha avuto occasione di chiarire che assume rilievo, quale unico criterio di discrimine tra le due discipline di riferimento (Parte III e Parte IV del D.L.vo 152/06), non già la natura inquinante della sostanza, bensì la tipologia di collegamento (diretto/indiretto) tra la fonte di produzione del refluo ed il suo corpo recettore. Tra le varie pronunce registratesi, si veda ad esempio la sentenza n. 16623 del 21 aprile 2015 della Corte di Cassazione Penale, sez. III, secondo la quale la disciplina sugli scarichi di cui alla Parte III, D.L.vo 152/06, trova applicazione soltanto se il collegamento tra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato mediante un sistema stabile di collettamento. Se presenta, invece, momenti di soluzione di continuità, di qualsiasi genere, si è in presenza di un rifiuto liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato.