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Con il D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231 è stata introdotta nel nostro ordinamento una forma di responsabilità amministrativa a carico delle imprese per illeciti posti in essere dai propri dipendenti/dirigenti.

Secondo il decreto n. 231/2001 (art. 5), in caso di commissione di uno o più illeciti espressamente previsti dalla legge stessa (i cd. reati presupposto, ovvero quelli che danno luogo alla chiamata in causa dell’ente) ad opera di un soggetto appartenente al vertice aziendale operante in posizione apicale ovvero di un sottoposto all’altrui direzione e vigilanza, alla responsabilità penale dell’autore materiale del reato e/o del legale rappresentante dell’azienda, si aggiunge la responsabilità amministrativa della società se, dalla commissione del reato, la società ha tratto un vantaggio o un interesse.

Ciò significa che la responsabilità dell’ente coesiste con quella del soggetto attivo del reato in una sorta di corresponsabilità, a meno che l’ente non provi di aver adottato tutte quelle misure organizzative idonee (MODELLO ORGANIZZATIVO) a prevenire la commissione del reato (artt. 6 e 7): infatti, quando un reato viene commesso dai vertici dell’impresa, poiché la loro attività esprime la politica della stessa, la responsabilità dell’ente è presunta, a meno che venga fornita la prova liberatoria di cui all’art. 6 del decreto stesso.

Ai sensi degli artt. 9 e 10 le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, graduate secondo la gravità della condotta criminosa e con un termine di prescrizione quinquennale, sono:

• la sanzione pecuniaria: sempre applicata (per quote) per l’illecito amministrativo dipendente da reato;

• le sanzioni interdittive: tra cui l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, il divieto di pubblicizzare beni o servizi;

• la confisca;

• la pubblicazione della sentenza.

Si segnala che per “quota” si intende un’unità di misura il cui importo, ai sensi dell’art. 10, c. 3, del D.L.vo n. 231/2001, varia da un minimo di 258 ad un massimo di 1.549 euro.

Il metodo commisurativo “per quote” è caratterizzato dai seguenti passaggi: il giudice prima determina l’ammontare del numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto e del livello di responsabilità dell’ente; poi determina il valore monetario della singola quota sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione; infine procede alla determinazione della sanzione moltiplicando i valori precedentemente individuati. La particolare articolazione del metodo commisurativo consente di calibrare il quantum della sanzione pecuniaria sulle condizioni economiche e patrimoniali del soggetto collettivo.