E’ rifiuto tutto ciò di cui il detentore si disfi o intenda disfarsi: questo ci dice l’art. 183 del D.L.vo 152/2006.
Tale volontà dismissiva può anche risultare dal modo in cui i materiali risultano essere accumulati: è evidente, infatti, che l’accumulo di più materiali eterogenei, che siano oggettivamente non riutilizzabili, indicherà che si tratta di rifiuti e non, certamente, di sottoprodotti (qui trovi un approfondimento di Stefano Maglia: Sottoprodotti: cosa sono e cosa cambia col D.M. 264/16?).

sottoprodotti

Lo ha ribadito la Cassazione penale, nella sentenza n. 6729 del 12 febbraio 2018 (relativa a batterie esauste e autocarri fuori uso).
In quella sede, la Suprema Corte ha escluso che si possa parlare di sottoprodotti, che sono tali in quanto non sono mai stati rifiuti, e sussistendo le condizioni previste dall’art. 184-bis del decreto citato, già sulla base del dato oggettivo dell’impossibilità del riutilizzo. Precisamente, la Cassazione ha ribadito che non ha alcuna rilevanza una generica affermazione della possibilità di rimettere il materiale depositato nel ciclo produttivo.
Il riutilizzo, quindi, deve essere una certezza, non solo una possibilità.

Inoltre, la dimostrazione di questo dato è, comunque, a carico del produttore che intende affermare la diversa natura di sottoprodotti.

Questa è una delle tante questioni che saranno trattate ed approfondite durante il nostro Corso di formazione “Sottoprodotti e End-Of-Waste”, a Milano, il 18 aprile 2018.

Per info e approfondimenti: formazione@tuttoambiente.it – 0523.315305. (LM)


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