In tema di classificazione dei rifiuti arriva dalla Cassazione penale un’affermazione che lascia perplessi.

Si tratta della sentenza n. 30018 del 4 luglio 2018, nella quale i Giudici della Suprema Corte affermano che “Ai fini della qualificazione giuridica di un rifiuto come pericoloso non è necessaria la preventiva analisi da parte dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA), essendo “sufficiente che il rifiuto abbia sul piano oggettivo il carattere della pericolosità“. Questo in risposta alla contestazione, da parte del ricorrente, del fatto che non erano state eseguite analisi quantitative e qualitative sui rifiuti repertati da parte degli inquirenti, “rifugiandosi i giudici di merito sull’utilizzo di avverbi (es. pacificamente) per affermare la natura pericolosa di parte del materiale elencato“, vale a dire rifiuti derivanti da operazioni di costruzione e demolizione.

Ma cosa si deve intendere per carattere oggettivo di pericolosità? Quello che lascia ancor più perplessi è l’assenza di spiegazioni o specificazioni ulteriori, che consentano di comprendere quando un rifiuto possa dirsi “oggettivamente pericoloso”. Neanche successivamente, nel testo, si trovano indicazioni utili in tal senso: semplicemente, si legge che “Quanto, fine, al profilo attinente all’attribuzione del carattere di pericolosità ai rifiuti, valgono […] le considerazioni espresse a proposito del primo motivo, anche con riferimento alla sufficienza dell’accertamento della polizia giudiziaria“.

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Quando, allora, un rifiuto è davvero da considerarsi pericoloso?

Questo tema verrà trattato nel Corso di formazione: “Rifiuti pericolosi: come classificarli correttamente – Criticità, novità, metodiche analitiche, HP14, responsabilità, sanzioni“, nelle edizioni di:

Bologna, il 27 settembre 2018;

Roma, il 18 ottobre 2018.

Info e approfondimenti: formazione@tuttoambiente.it – 0523.31530


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