Per la caratterizzazione analitica non esiste un obbligo generico ed indiscriminato di analisi ad ogni conferimento in impianto. Tutto ciò, naturalmente fermo restando che non avvengano modifiche del processo produttivo del rifiuto o non intervengano modifiche normative tecniche che presuppongano una revisione tempestiva della classificazione del rifiuto, poiché in tale ipotesi la periodicità potrebbe essere anche ridotta (mai aumentata).

Ciò non toglie che il destinatario possa, laddove lo ritenga opportuno, o debba, qualora sia espressamente previsto tra le prescrizioni della sua autorizzazione, sottoporre i rifiuti conferiti ad analisi, onde avere riscontro e conferma della loro classificazione.

Per gli impianti – che non siano discariche – autorizzati secondo la procedura ordinaria il D.Lgs. 152/2006 non prescrive nulla in merito, lasciando agli enti che rilasciano i titoli abilitativi per l’esercizio delle operazioni di gestione la facoltà di disporre in proposito nell’ambito delle prescrizioni autorizzatorie. Accade spesso, peraltro, che le pubbliche amministrazioni adottino indicazioni fra di loro non conformi sul punto: nella maggioranza dei casi viene infatti imposta, per gli impianti operanti in regime ordinario, la produzione di analisi con frequenze inferiori ai 24/12 mesi.

Nel silenzio del legislatore è peraltro prassi diffusa adottare la frequenza annuale anche per impianti diversi dalle discariche, facendo così riferimento al criterio più conservativo vigente, sempre che non vi siano eventuali prescrizioni autorizzative che impongano diverse periodicità.

Tuttavia, appare opportuno evidenziare che la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare come i provvedimenti autorizzatori, in tema di prescrizioni sulle analisi, non possano risultare eccessivamente restrittivi.