Per disastro innominato si intende quell’evento distruttivo dalle proporzioni straordinarie, capace di produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi, e di mettere in pericolo la vita o l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone.

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A questo reato, che trova sede nel codice penale, all’art. 434, si è fatto a lungo riferimento per punire anche quelli che oggi chiamiamo disastri ambientali, introdotti nel medesimo codice solo nel 2015 (nuovo art. 452-quater).

 

La Cassazione penale, in un caso relativo ad emissioni tossiche prodotte da una centrale termoelettrica per un arco temporale pluriennale (sent. 2209 del 19 gennaio 2018), ha precisato che affinché un evento possa essere qualificato, e quindi punito, come disastro innominato, non serve che il disastro sia di grande ed immediata evidenza, e che si sia verificato, magari, in un arco di tempo ristretto: anche eventi non immediatamente percepibili, che possono realizzarsi in un arco di tempo anche molto prolungato, possono ugualmente causare quella compromissione imponente delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività capace di ledere la pubblica incolumità.

 

Sulla base di questo, la Corte ha sottolineato che ben può parlarsi di disastro innominato nell’ipotesi di emissioni tossiche che alterano negativamente, e continuativamente, l’ambiente circostante allo stabilimento industriale e la qualità dell’ecosistema, determinando imponenti processi di deterioramento di lunga durata delle condizioni di vivibilità umana. (LM)


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