La Consob statunitense ossia la SEC (Securities and Exchange Commission), come riportato Domenica 5 giugno sul quotidiano Sole 24Ore, ha avviato a maggio un periodo di consultazione per ricevere commenti pubblici nell’ottica di finalizzare la stretta normativa contro il rischio che gli investimenti green vengano tratti in inganno da fondi che rivendicano patenti ambientale, di responsabilità sociale e governance senza averle conquistate.

Si parte dalla cosidetta Names Rule, ossia la carta d’identità dei fondi che già prescrive in generale l’80% degli asset nella classe di titoli indicata dal nome del veicolo d’investimento. Adesso quella formula 80/20 viene estesa a chi vuole definirsi fondo socio-ambientale. Chi suggerisce insomma fin dal nome una connotazione incentrata su preoccupazioni sociali, ambientali e di governance è tenuto ad avere tassativamente almeno quattro quinti del valore degli asset pertinenti alla definizione. Un significativo tentativo al dilagare del fenomeno del greenwashing che sta contaminando anche la finanza sostenibile.

A tale riforma sono già arrivate le osservazioni critiche da parte delle associazioni di settore che l’hanno ritenuta un pò troppo rigida e standard e che creerebbe svantaggio agli investitori.

Il tema del greenwashing, continua a diventare sempre più diffuso e anche nel nostro Paese occorrerebbe monitorare di più questi aspetti, specialmente da parte della Consob per tutte le rendicontazioni non finanziarie che non riportano dati e informazioni veritiere.

Le fondamenta di una società che vuole essere davvero sostenibile sono quelle della compliance ambientale e della trasparenza, e del rispetto del principio del DNSH.
 

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