QUESITO

Con istanza di interpello formulata ai sensi dell’articolo 3-septies del D.Lgs n. 152 del 2006, n.152, Confindustria ha richiesto un indirizzo sulla corretta interpretazione del riferimento al “prodotto finito” per quantificare le grandezze da confrontare con le soglie di assoggettabilità ad AIA di cui all’allegato VIII alla parte seconda del D.Lgs. 152/06.
Con la medesima nota, inoltre, Confindustria chiede un indirizzo sulla corretta interpretazione del riferimento ad attività di “trattamento e trasformazione” nel medesimo allegato. Il quesito, per quanto riferito ad un caso specifico, riveste carattere generale.

CONSIDERAZIONI DEL MASE

Confindustria nel proprio interpello propone di considerare “prodotti finiti” esclusivamente i prodotti destinati al consumatore finale e utilizzabili tali e quali.
Propone inoltre di considerare processi di “trattamento e trasformazione” i soli processi di lavorazione fisica o meccanica che apportano reali modifiche ed alterazioni sul prodotto variandone la struttura, la composizione, la consistenza o lo stato fisico, escludendo pertanto le semplici operazioni che non arrecano alcuna modificazione al prodotto, essendo solamente funzionali a classificazione e raggruppamento per categoria qualitativa e dimensionale.
La questione è stata approfondita a dicembre 2022 in una riunione del Coordinamento ex art.29.quinquies del D.Lgs. 152/06, nell’ambito della quale si è unanimemente concordato che la proposta di Confindustria relativa alla interpretazione di “prodotti finiti” non è condivisibile.
In molti casi, difatti, le concerie e le industrie alimentari producono prodotti intermedi, poi lavorati in altri stabilimenti senza una vera e propria trasformazione, e pertanto la lettura proposta rischierebbe di sottrarre l’intera filiera produttiva dagli obblighi AIA.
Non sfugga che tale interpretazione avrebbe anche effetti distorsivi sulla concorrenza, poiché (a parità di capacità produttiva) una azienda nella quale sono condotti tutti i processi necessari per passare dalla materia prima alla commercializzazione al pubblico del prodotto finito sarebbe soggetta ad un regime autorizzativo sostanzialmente diverso da quello cui sarebbero soggetti i medesimi processi se condotti separatamente da due aziende, in cui la prima fa trattamento e trasformazione ma non vendita al pubblico, e la seconda packaging e vendita al pubblico.
Si è pertanto concordato che la più razionale lettura della norma è intendere in questo ambito quale “prodotto finito” il prodotto che l’installazione si prefigge di realizzare, commercializzabile da parte del produttore, indipendentemente se l’acquirente sia il consumatore finale o no. Non costituiranno, pertanto, prodotti finiti solo gli scarti di produzione, sia se reimpiegati nel processo, sia se gestiti come rifiuti, sia se commercializzati come sottoprodotti (quindi non come pelle conciata per la categoria 6.3 e non come materia destinata a alimenti o mangimi per la categoria 6.4).
L’approfondimento in merito alla identificazione dei processi di “trattamento e trasformazione” svolto dal Coordinamento ex art. 29.quinquies del D.Lgs. 152/06, ha invece riconosciuto che la proposta interpretativa di Confindustria è sostanzialmente condivisibile, ma con qualche precisazione.

Nel dettaglio il riferimento nella nota di Confindustria pare riferirsi alla classificazione da effettuare (ad esempio sulle uova o sulla frutta) per raggruppare i prodotti secondo caratteristiche merceologiche omogenee (calibro, peso…), ma senza incidere in alcun modo sulle qualità del prodotto. Si concorda che una attività del genere è del tutto assimilabile alle attività di imballo, espressamente escluse dalla norma, o alle attività stoccaggio per maturazione, su cui questo Ministero si è già espresso con circolare 22295/GAB del 27/10/2014.

Meno immediata è l’interpretazione nel caso concreto riportato negli allegati della nota di Confindustria, poiché il processo non è solo di separazione del prodotto per classi merceologiche, ma potrebbe configurarsi anche di cernita, ovvero di selezione all’interno della materia prima in ingresso del prodotto da commercializzare o trattare (nocciole sgusciate) e dello scarto (impurità, nocciole guaste). In tal caso, di fatto, il processo potrebbe determinare una sostanziale modifica della composizione, poiché il materiale in ingresso al processo non è già un “prodotto finito” semplicemente da classificare, ma una miscela di prodotto e scarto. Conseguentemente l’attività di cernita, pur non costituendo di per sé una trasformazione della singola unità di prodotto (la
nocciola), potrebbe introdurre una significativa trasformazione delle proprietà complessive del materiale (una tonnellata di nocciole selezionate ove prima avevo due tonnellate di nocciole miste a sassi) , propedeutica alle successive lavorazioni del prodotto (1).

Poiché peraltro non è possibile determinare a priori la rilevanza dell’attività di cernita (dipendente dalla qualità della materia prima in ingresso), salvo diverso avviso dell’autorità competente (basato su dati caso specifici) appare ragionevole non considerare automaticamente il processo di cernita come un “trattamento”.
La definizione proposta da Confindustria, inoltre, fa riferimento esclusivamente a lavorazioni fisiche e meccaniche, e questo pare troppo limitativo ai fini di un indirizzo generale poiché in linea di principio potrebbero esserci altri tipi di trattamento significativi (ad es. chimico e biologico). A titolo meramente esemplificativo, la lievitazione e la fermentazione sono certamente trasformazioni, e il lavaggio e la conservazione (ad esempio sotto calce) per alcuni prodotti potrebbero costituire trattamenti.

RISPOSTA ALL’INTERPELLO

Alla luce di quanto esposto, il MASE reputa di formulare la seguente risposta ai quesiti posti con l’interpello in oggetto.
Quesito 1Si richiede conferma relativamente alla definizione di prodotto finito, citata nell’allegato VIII alla parte seconda del D.Lgs. 152 del 2006 e, nello specifico, se per prodotto finito si intende esclusivamente il prodotto destinato al consumatore finale ed
utilizzabile tal quale. In particolare si chiede conferma dell’esclusione dalla suddetta definizione di prodotti intermedi destinati a successive lavorazioni.

Per il MASE, la lettura proposta non può essere confermata. Difatti nella definizione di prodotto finito devono essere considerati tutti i prodotti identificati nella specifica categoria di attività nel citato allegato VIII (pelle conciata per la categoria IPPC 6.3, materia destinata a alimenti o mangimi per la categoria IPPC 6.4.b) anche se commercializzati per successive lavorazioni, e non per il diretto uso del consumatore finale.
Non vanno viceversa computate tra i “prodotti finiti” le sostanze intermedie di processo utilizzate internamente all’installazione (non essendo commercializzate non sono prodotti) e i sottoprodotti non citati nella categoria (ad esempio i residui venduti come materia prima di produzioni non alimentari).

Quesito 2 – Si richiede conferma circa le definizioni di trattamento e trasformazione e, in particolare, se per esse si intendono tutti quei processi di lavorazione di tipo fisico o meccanico che apportano reali modifiche ed alterazioni sul prodotto variandone la
struttura, la composizione, la consistenza o lo stato fisico escludendo altresì le semplici operazioni che non arrecano alcuna modificazione al prodotto essendo solamente funzionali ad una classificazione e raggruppamento per differenti categorie qualitative e dimensionali.

In questo caso, per il MASE la lettura proposta può essere in parte confermata. Si conviene, difatti, che nel citato allegato VIII il riferimento ad attività di “trattamento e trasformazione” va inteso a processi che apportano reali modifiche ed alterazioni sul prodotto variandone struttura, composizione, consistenza, stato fisico o altre caratteristiche essenziali. Oltre alla attività di mero imballaggio, espressamente esclusa dalla norma, si conviene, ad esempio, sulla non pertinenza di attività di stoccaggio per maturazione e di attività di classificazione e raggruppamento del prodotto per categoria qualitativa o dimensionale. Sono invece pertinenti processi fisici, meccanici, chimici o biologici che determinano le caratteristiche essenziali del prodotto.


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