L’ISPRA per il 2020 ha stimato tra 160mila e 440mila tonnellate la quantità di dispositivi anti Covid19 prodotti da trattare come spazzatura indifferenziata da destinare ai termovalorizzatori, quasi inesistenti nel sud Italia . Molte mascherine sono state invece “smaltite” in mare. La miglior cosa sarebbe adottare mascherine chirurgiche lavabili e compostabili o riciclabili, in modo da evitare il danno ambientale delle mascherine monouso.

Vale la pena evidenziare che il problema rifiuti/mascherine è il problema minore perché va considerato anche come smaltire gli altri rifiuti sanitari: in Italia esistono solo 2 forni per i sanitari e alcuni impianti lombardi possiedono piccole sezioni per il loro trattamento che però non sono sufficienti: la carenza impiantistica porta ad un’ elevata esportazione di rifiuti in altri Paesi con relativi danni economici e ambientali a causa dei trasporti.

Come fare? Non è il momento di affrontare il problema impiantistico. “L’acqua è un elemento essenziale per la vita. Rappresenta i due terzi del peso totale dell’uomo e persino i nove decimi del peso dei vegetali.

L’uomo può sopravvivere con cinque litri di acqua al giorno; alcune popolazioni nomadi della zona sahariana si sostentano in questo modo per lunghi periodi. In media però, se si considerano le necessità dell’uomo in una società moderna, il consumo medio d’acqua è di 40-50 litri al giorno per persona. A questo si deve aggiungere la necessità di acque dell’agricoltura e dell’allevamento: il che comporta, in alcuni Paesi e regioni, un consumo fino a 500 litri quotidiani per abitante. Se la concentrazione di sostanze inquinanti aumenta considerevolmente si esaurisce l’ossigeno disciolto nell’acqua e può produrre l’asfissia di un gran numero di animali acquatici”. Sono parole di Italo Calvino, tratte dal suo racconto, “Acque avvelenate”. Prima di buttare in mare, in un fiume, in un tombino qualsiasi oggetto, e non solo le mascherine, sarebbe bene rileggere e diffonderle.

 

Articolo di Adriano Pistilli

 

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