Estratto dal capitolo “NOZIONE DI RIFIUTO” del volume “I RIFIUTI DALLA A ALLA Z” di Stefano Maglia

  1. Cosa si intende per rifiuto?

Il D.L.vo 205/10 ha riscritto interamente l’art. 183 e ha cambiato diverse definizioni, tra cui si segnala innanzitutto quella di rifiuto che, a far data dal 25 dicembre 2010, è la seguente: “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”. Emerge con evidenza che nella nuova formulazione non compare più il periodo “che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto”, sicché la nuova definizione di rifiuto prescinde dal riferimento all’elenco positivo costituito dal catalogo europeo dei rifiuti (C.E.R.). Quest’ultimo, infatti, è solo lo strumento per giungere ad una “normalizzazione” delle statistiche sui rifiuti a livello comunitario e mantiene integralmente la sua efficacia in questo ambito. In particolare la qualifica di rifiuto deve essere dedotta da dati obiettivi, non dalla scelta personale del detentore che decide che quel bene non gli è più di nessuna utilità. Sono elementi obiettivi, ad esempio, l’oggettività dei materiali in questione, la loro eterogeneità, non rispondente a ragionevoli criteri merceologici, e le condizioni in cui gli stessi sono detenuti, così come le circostanze e le modalità con le quali l’originario produttore se ne era disfatto.

 

  1. Il polverino di legno è un rifiuto?

Nel caso in cui un soggetto abbia utilizzato come combustibile ai fini del riscaldamento del polverino di legno, derivato dalla lavorazione di mobili, si delinea un’attività lecita in caso di occasionalità della condotta. Tale occasionalità può desumersi non soltanto dell’esiguo numero di volte in cui si è esaurito l’utilizzo della caldaia, ma altresì della circostanza che la sua messa in funzione sia preordinata non già allo smaltimento del polverino in legno ed al contestuale riscaldamento dello stabilimento industriale mediante il processo di combustione del materiale di scarto immessovi, bensì alla sola verifica del suo funzionamento, prodromica ad un successivo collaudo ed alla sua conseguente futura utilizzazione, non risultando neppure che, al momento dell’eseguita ispezione, fosse collegato l’impianto di riscaldamento. Così, Cass. Pen. Sent. Sez. III Num. 26291 del 14 giugno 2019.

 

  1. La commercializzazione a condizioni vantaggiose di un bene lo esclude dal campo di applicazione dei rifiuti?

Non sono assoggettabili alla disciplina sui rifiuti quei beni, sostanze o prodotti che il detentore intenda con certezza sfruttare o commercializzare in condizioni vantaggiose, senza alcuna volontà di disfarsene (Corte di Giustizia UE, Sez. I, n. C-241/12 e C-242/12 del 12 dicembre 2013).

 

  1. A quali condizioni un oggetto o sostanza può essere qualificato “rifiuto”?

La nozione di rifiuto comprende qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi (o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi) senza che assuma rilievo che le sostanze e gli oggetti siano o meno suscettibili di riutilizzazione economica, che la “dismissione” avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto ovvero tramite il recupero e senza aver riguardo all’intenzione del detentore in tema di eventuale riutilizzo. Si accoglie, quindi, una nozione ampia di rifiuto, fondata su risultanze oggettive e alla quale devono essere ricondotti sostanze ed oggetti non più idonei a soddisfare i bisogni cui essi erano originariamente destinati, pur se non ancora privi di valore economico (Corte d’Appello di Napoli, Sez. VII penale, n. 2717 del 5 giugno 2013).

 

  1. Perdita della qualifica di rifiuto, quando avviene?

Affinché un bene o una sostanza perda la qualifica di rifiuto, è necessario che la stessa sia stata preventivamente sottoposta ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, che, sebbene le stesse possano consistere anche in operazioni di cernita e di selezione di beni, fin tanto che non si sono esaurite non comportano né la cessazione della attribuzione della qualifica di rifiuto ai beni in questione né, tanto meno, la estraneità di essi alla disciplina in materia di rifiuti. Così si è espressa la Cass. Pen. Sent. Sez. III Num. 7589 del 26 febbraio 2020 Presidente: Sarno Relatore: Gentili

 

  1. L’attribuzione di un valore economico fa venire meno la qualifica di rifiuto?

Il rifiuto, quale sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione, o l’obbligo, di disfarsi, non perde tale qualità in ragione di un accordo di cessione a terzi, né del valore economico ad esso riconosciuto nell’accordo stesso: ciò che conta è la volontà del cedente di disfarsene, non rileva, perciò, che il materiale sia destinato alla commercializzazione (Così Cass. pen. n. 38979/17).

 


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