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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Definita la disciplina transitoria per il trasporto dei nuovi rifiuti urbani generati dalle attività economiche
di Paolo Pipere
Categoria: Rifiuti
Il superamento dei criteri qualitativi e quantitativi per l’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani in favore dell’individuazione per legge dei rifiuti urbani prodotti da enti e imprese comporta una serie di conseguenze di difficile gestione, ma almeno le criticità connesse alle categorie di iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali sono state temporaneamente risolte. Dal 1° gennaio del 2021 molti rifiuti non pericolosi prodotti da imprese, enti e liberi professionisti diventeranno per legge rifiuti urbani. Secondo le stime di Ecocerved, fondate sull’elaborazione dei dati MUD, si tratta di oltre 1,2 milioni di tonnellate. Lo ha previsto il D.Lgs. 116/2020, la norma che ha recepito nell’ordinamento nazionale le modifiche alla Direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE) introdotte dalla Direttiva 2018/851/CE. I rifiuti derivanti da lavorazioni industriali, dall’agricoltura, dall’edilizia e dal trattamento di acque, rifiuti ed emissioni in atmosfera, così come i rifiuti delle fosse settiche, delle reti fognarie e i veicoli fuori uso continueranno ad essere classificati come rifiuti speciali.
Gestore pubblico o operatore privato
Tutti i rifiuti di imballaggio, anche terziari, quindi anche i bancali e le casse di legno per i trasporti eccezionali, saranno classificati come urbani. Diventeranno urbani, infatti, anche i rifiuti delle lavorazioni artigianali di produzione di beni costituiti da metalli, plastica, vetro, carta, scarti tessili, ma anche da vernici, inchiostri, resine e detergenti, sebbene la Direttiva sia esplicita nell’escludere dall’insieme dei rifiuti urbani i rifiuti della produzione e delle grandi attività commerciali. Tutti questi rifiuti potranno essere conferiti in quantità illimitate al servizio pubblico di raccolta[1], con le conseguenze organizzative che è facile immaginare, e le aree dell’impresa o dell’ente sulle quali sono stati generati saranno assoggettate, in quanto produttive di rifiuti urbani, alla tassa rifiuti.
Certo l’articolo 183, comma 1, lettera b-quinquies del D.Lgs. 152/2006 non manca di precisare che: “la definizione di rifiuti urbani di cui alla lettera b-ter) rileva ai fini degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio nonché delle relative norme di calcolo e non pregiudica la ripartizione delle responsabilità in materia di gestione dei rifiuti tra gli attori pubblici e privati”, ma la dichiarazione di principio è contraddetta dalle disposizioni contenute nella stessa norma. In primo luogo, l’articolo 238, comma 10, prevede che: “Le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani di cui all’articolo 183 comma 1, lettera b -ter) punto 2, che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti”. In secondo luogo, l’articolo 198 (competenze dei Comuni), al comma 1, dispone che: “I comuni concorrono, nell’ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 200 e con le modalità ivi previste, alla gestione dei rifiuti urbani. Sino all’inizio delle attività del soggetto aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta dall’Autorità d’ambito ai sensi dell’articolo 202, i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani avviati allo smaltimento in regime di privativa […]”. In sintesi: scelta fra concessionario del servizio pubblico di raccolta oppure operatore privato nel caso di avvio al recupero dei rifiuti urbani, obbligo di conferimento al servizio pubblico per i rifiuti urbani avviati allo smaltimento.
I titoli abilitativi
Gli operatori della raccolta e del trasporto di rifiuti urbani devono, però, essere iscritti alla categoria 1 dell’Albo nazionale gestori ambientali. Pertanto, per trasportare agli impianti di recupero i nuovi rifiuti urbani, in assenza di una sottocategoria adatta, gli operatori della raccolta e del trasporto, per esempio, di cartone, diversi dal concessionario del servizio pubblico di raccolta avrebbero dovuto iscriversi alla categoria 1 dimostrando il possesso dei requisiti tecnici (dotazione di veicoli e di personale) commisurati alla popolazione dei comuni nei quali sono ubicati i clienti. La raccolta del cartone in un comune o in una serie di comuni con popolazione superiore o uguale a 500.000 abitanti avrebbe comportato per l’impresa la necessità di dimostrare sia la piena disponibilità di veicoli con una portata utile pari ad almeno 437 tonnellate sia di occupare almeno 220 addetti, condizioni che ben poche imprese operanti nel settore della raccolta di rifiuti speciali non pericolosi avrebbero potuto soddisfare. Il rischio di paralisi del settore della raccolta dei rifiuti speciali non pericolosi divenuti rifiuti urbani è stato scongiurato con l’intervento in extremis dell’Albo nazionale gestori ambientali. Con deliberazione 4 del 22 dicembre 2020 il Comitato nazionale dell’Albo ha disposto che: “I soggetti iscritti nelle categorie 4 e 2-bis dell’Albo per l’attività di raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi individuati dai codici EER e dalle descrizioni contenute nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies, allegati alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, possono effettuare la raccolta e il trasporto di detti rifiuti ove divenuti urbani in data successiva al 31 Dicembre 2020 fino alla definizione delle modalità di adeguamento dei rispettivi provvedimenti d’iscrizione”.
I problemi aperti
Non è chiaro perché si sia intervenuti sulla categoria 2-bis, dato che sia la norma primaria sia il regolamento dell’Albo (D.M. 120/2014) precisano che a questa categoria si iscrivono: “i produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti, nonché i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti pericolosi in quantità non eccedenti trenta chilogrammi o trenta litri al giorno”. Se è vero, infatti, che in passato tutti i rifiuti prodotti da imprese o enti dovevano essere classificati per origine come rifiuti speciali, è altrettanto vero che in passato alcuni rifiuti speciali non pericolosi e assimilabili venivano trasformati in rifiuti urbani a seguito dell’assimilazione effettuata dal singolo Comune. Le disposizioni richiamate, come si può notare non facevano riferimento al trasporto di propri rifiuti speciali, ma più genericamente a rifiuti non pericolosi o pericolosi. Per queste imprese il vero problema, da risolvere in tempi brevi, è costituito dal fatto che non hanno più alcun senso, se mai l’hanno avuto, le disposizioni interne all’Albo che impediscono a un falegname di trasportare i propri rifiuti costituiti da metalli o a qualsiasi impresa che non fabbrichi o distribuisca computer di trasportare il proprio PC dismesso al centro di raccolta comunale secondo le disposizioni del D.Lgs. 49/2014 o i rifiuti ingombranti divenuti rifiuti urbani. Deve essere ricordato, infine, che le imprese iscritte alla categoria 5 dell’Albo possono trasportare anche rifiuti classificati come non pericolosi e la delibera nulla dispone al riguardo.
[1] Anche i rifiuti di imballaggio terziari, perché l’articolo 221, comma 4, sancisce che: “[…] gli utilizzatori sono tenuti a consegnare gli imballaggi usati secondari e terziari e i rifiuti di imballaggio secondari e terziari in un luogo di raccolta organizzato dai produttori e con gli stessi concordato. Gli utilizzatori possono tuttavia conferire al servizio pubblico i suddetti imballaggi e rifiuti di imballaggio nei limiti derivanti dai criteri determinati ai sensi dell’articolo 195, comma 2, lettera e)” e i criteri quantitativi sono stati eliminati a seguito della modifica dell’articolo 195.
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Definita la disciplina transitoria per il trasporto dei nuovi rifiuti urbani generati dalle attività economiche
di Paolo Pipere
Il superamento dei criteri qualitativi e quantitativi per l’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani in favore dell’individuazione per legge dei rifiuti urbani prodotti da enti e imprese comporta una serie di conseguenze di difficile gestione, ma almeno le criticità connesse alle categorie di iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali sono state temporaneamente risolte.

Dal 1° gennaio del 2021 molti rifiuti non pericolosi prodotti da imprese, enti e liberi professionisti diventeranno per legge rifiuti urbani. Secondo le stime di Ecocerved, fondate sull’elaborazione dei dati MUD, si tratta di oltre 1,2 milioni di tonnellate. Lo ha previsto il D.Lgs. 116/2020, la norma che ha recepito nell’ordinamento nazionale le modifiche alla Direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE) introdotte dalla Direttiva 2018/851/CE.
I rifiuti derivanti da lavorazioni industriali, dall’agricoltura, dall’edilizia e dal trattamento di acque, rifiuti ed emissioni in atmosfera, così come i rifiuti delle fosse settiche, delle reti fognarie e i veicoli fuori uso continueranno ad essere classificati come rifiuti speciali.
Gestore pubblico o operatore privato
Tutti i rifiuti di imballaggio, anche terziari, quindi anche i bancali e le casse di legno per i trasporti eccezionali, saranno classificati come urbani. Diventeranno urbani, infatti, anche i rifiuti delle lavorazioni artigianali di produzione di beni costituiti da metalli, plastica, vetro, carta, scarti tessili, ma anche da vernici, inchiostri, resine e detergenti, sebbene la Direttiva sia esplicita nell’escludere dall’insieme dei rifiuti urbani i rifiuti della produzione e delle grandi attività commerciali.
Tutti questi rifiuti potranno essere conferiti in quantità illimitate al servizio pubblico di raccolta[1], con le conseguenze organizzative che è facile immaginare, e le aree dell’impresa o dell’ente sulle quali sono stati generati saranno assoggettate, in quanto produttive di rifiuti urbani, alla tassa rifiuti.
Certo l’articolo 183, comma 1, lettera b-quinquies del D.Lgs. 152/2006 non manca di precisare che: “la definizione di rifiuti urbani di cui alla lettera b-ter) rileva ai fini degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio nonché delle relative norme di calcolo e non pregiudica la ripartizione delle responsabilità in materia di gestione dei rifiuti tra gli attori pubblici e privati”, ma la dichiarazione di principio è contraddetta dalle disposizioni contenute nella stessa norma. In primo luogo, l’articolo 238, comma 10, prevede che: “Le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani di cui all’articolo 183 comma 1, lettera b -ter) punto 2, che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti”.

In secondo luogo, l’articolo 198 (competenze dei Comuni), al comma 1, dispone che: “I comuni concorrono, nell’ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 200 e con le modalità ivi previste, alla gestione dei rifiuti urbani. Sino all’inizio delle attività del soggetto aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta dall’Autorità d’ambito ai sensi dell’articolo 202, i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani avviati allo smaltimento in regime di privativa […]”.
In sintesi: scelta fra concessionario del servizio pubblico di raccolta oppure operatore privato nel caso di avvio al recupero dei rifiuti urbani, obbligo di conferimento al servizio pubblico per i rifiuti urbani avviati allo smaltimento.
I titoli abilitativi
Gli operatori della raccolta e del trasporto di rifiuti urbani devono, però, essere iscritti alla categoria 1 dell’Albo nazionale gestori ambientali. Pertanto, per trasportare agli impianti di recupero i nuovi rifiuti urbani, in assenza di una sottocategoria adatta, gli operatori della raccolta e del trasporto, per esempio, di cartone, diversi dal concessionario del servizio pubblico di raccolta avrebbero dovuto iscriversi alla categoria 1 dimostrando il possesso dei requisiti tecnici (dotazione di veicoli e di personale) commisurati alla popolazione dei comuni nei quali sono ubicati i clienti.

La raccolta del cartone in un comune o in una serie di comuni con popolazione superiore o uguale a 500.000 abitanti avrebbe comportato per l’impresa la necessità di dimostrare sia la piena disponibilità di veicoli con una portata utile pari ad almeno 437 tonnellate sia di occupare almeno 220 addetti, condizioni che ben poche imprese operanti nel settore della raccolta di rifiuti speciali non pericolosi avrebbero potuto soddisfare.
Il rischio di paralisi del settore della raccolta dei rifiuti speciali non pericolosi divenuti rifiuti urbani è stato scongiurato con l’intervento in extremis dell’Albo nazionale gestori ambientali. Con deliberazione 4 del 22 dicembre 2020 il Comitato nazionale dell’Albo ha disposto che:
“I soggetti iscritti nelle categorie 4 e 2-bis dell’Albo per l’attività di raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi individuati dai codici EER e dalle descrizioni contenute nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies, allegati alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, possono effettuare la raccolta e il trasporto di detti rifiuti ove divenuti urbani in data successiva al 31 Dicembre 2020 fino alla definizione delle modalità di adeguamento dei rispettivi provvedimenti d’iscrizione”.
I problemi aperti
Non è chiaro perché si sia intervenuti sulla categoria 2-bis, dato che sia la norma primaria sia il regolamento dell’Albo (D.M. 120/2014) precisano che a questa categoria si iscrivono: “i produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti, nonché i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti pericolosi in quantità non eccedenti trenta chilogrammi o trenta litri al giorno”.
Se è vero, infatti, che in passato tutti i rifiuti prodotti da imprese o enti dovevano essere classificati per origine come rifiuti speciali, è altrettanto vero che in passato alcuni rifiuti speciali non pericolosi e assimilabili venivano trasformati in rifiuti urbani a seguito dell’assimilazione effettuata dal singolo Comune.
Le disposizioni richiamate, come si può notare non facevano riferimento al trasporto di propri rifiuti speciali, ma più genericamente a rifiuti non pericolosi o pericolosi.
Per queste imprese il vero problema, da risolvere in tempi brevi, è costituito dal fatto che non hanno più alcun senso, se mai l’hanno avuto, le disposizioni interne all’Albo che impediscono a un falegname di trasportare i propri rifiuti costituiti da metalli o a qualsiasi impresa che non fabbrichi o distribuisca computer di trasportare il proprio PC dismesso al centro di raccolta comunale secondo le disposizioni del D.Lgs. 49/2014 o i rifiuti ingombranti divenuti rifiuti urbani.
Deve essere ricordato, infine, che le imprese iscritte alla categoria 5 dell’Albo possono trasportare anche rifiuti classificati come non pericolosi e la delibera nulla dispone al riguardo.
[1] Anche i rifiuti di imballaggio terziari, perché l’articolo 221, comma 4, sancisce che: “[…] gli utilizzatori sono tenuti a consegnare gli imballaggi usati secondari e terziari e i rifiuti di imballaggio secondari e terziari in un luogo di raccolta organizzato dai produttori e con gli stessi concordato. Gli utilizzatori possono tuttavia conferire al servizio pubblico i suddetti imballaggi e rifiuti di imballaggio nei limiti derivanti dai criteri determinati ai sensi dell’articolo 195, comma 2, lettera e)” e i criteri quantitativi sono stati eliminati a seguito della modifica dell’articolo 195.
Piacenza, 23 dicembre 2020
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