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Stefano Maglia

Demolizione di un edificio: solo e soltanto rifiuti?

di Andrea Da Lio

Categoria: Rifiuti

Nel complesso mondo della gestione dei rifiuti si manifesta spesso nelle imprese che non sono gestori professionali, bensì semplici produttori di rifiuti, la difficoltà di rimanere aggiornati sullo stato dell’arte della normativa vigente, con la conseguenza che spesso vengono messi in atto comportamenti e modalità gestionali che derivano da usi consolidati nel tempo, magari appresi col passaparola.

In sedi diverse, proprio dal confronto diretto con le micro e piccole imprese, è parso chiaro che alle volte non si applicano norme di favore, nel timore di sbagliare, o viceversa ci si appella a norme di favore (come ad esempio quella relativa al ‘sottoprodotto’) anche nel caso di piccole quantità di materiale di risulta, pur di non dovere gestire di rifiuti.

Esemplificativo di quanto detto sopra è a nostro parere la casistica presente nell’ambito dell’attività edile, ed in particolare nella demolizione di edifici. Su questo argomento in particolare si rimanda ad un commento di Stefano Maglia

Premesso che, stante il patrimonio edilizio nazionale piuttosto datato a fronte di una nuova edificazione è frequente la necessità di demolire un edificio preesistente, e da questa operazione derivano sicuramente rifiuti, ovvero sostanze od oggetti “di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”[1]. E’ quindi in virtù di una decisione o di un obbligo di “disfarsi” del prodotto dell’attività di demolizione, che si aziona l’applicazione della disciplina sui rifiuti (di cui alla Parte IV del dlgs 152/2006 “Norme in materia ambientale”).

 

Questa tipologia di rifiuti è stata individuata in maniera puntuale quanto a provenienza, poiché il legislatore nell’indicare quali sono i rifiuti speciali vi ha espressamente ricompreso “i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo” [dlgs. 152/2006, 184 comma 3 lett. b)].

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Anche l’Elenco europeo dei rifiuti, nato con scopo di predisporre una terminologia comune per tutta l’Unione allo scopo di migliorare tutte le attività connesse alla gestione dei rifiuti, e di diventare il riferimento di base del programma comunitario di statistiche, dedica ai “Rifiuti dalle attività di costruzione e demolizione (compreso il terreno prelevato da siti contaminati)” un capitolo a sé, il numero 17, che è contraddistinto per essere ben articolato nell’elencazione dei possibili rifiuti generati da questa attività, e per l’assenza dei codici residuali, quelli relativi ai rifiuti non specificati altrimenti, contraddistinti dall’ultima coppia di cifre “99”.

 

La produzione di rifiuti comporta, per il produttore iniziale degli stessi[2], una serie di obblighi, divieti, oltre ad adempimenti amministrativi, che costituiscono una sorta di sovrastruttura amministrativa parallela a quella propria dell’attività economica organizzata in forma di impresa (formulario di identificazione dei rifiuti anziché documento di trasporto, registro di carico e scarico anziché scritture ausiliarie di magazzino).

 

A latere del concetto di rifiuto, da anni ha preso forma quello del sottoprodotto, che specularmente alla definizione di rifiuti ricomprende “qualsiasi sostanza od oggetto” residuo di produzione che risponde a determinate caratteristiche elencate dall’art. 184-bis del dlgs 152/2006, e che non costituisce un rifiuto.

Una di queste caratteristiche presuppone che il sottoprodotto sia originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto. Proprio l’impossibilità di rispettare questa condizione impedisce, sulla base delle pronunce dei giudici della Corte di cassazione –sezione penale- che da una demolizione di un edificio possano scaturire dei sottoprodotti[3].

 

Nel tempo però, con particolare riferimento ai rifiuti edili, si è manifestata l’esigenza di potere riutilizzare materiali, anche di pregio e di sicuro riutilizzo, il cui destino altrimenti sarebbe stato unicamente quello del recupero, se non dello smaltimento.

Una delle prime esperienze in questo senso è quella dell’Accordo di programma per il recupero dei residui da costruzione e demolizione della Provincia di Bologna approvato con Delibera n. 70 del 24.07.2001 e poi modificato con Delibera n. 90 del 23.07.2002.

L’Accordo, redatto sul solco della “Carta delle città europee per uno sviluppo durevole e sostenibile” e della campagna europea per le città sostenibili, applicando i principi espressi dalla Conferenza di Rio e dal documento “Agenda 21” che ha promosso il concetto di sviluppo sostenibile nell’ambito della gestione dei rifiuti da costruzione e demolizione, affrontava in maniera organica la gestione di questa tipologia di rifiuti, nell’ottica della corretta gestione, fornendo altresì soluzioni gestionali innovative a favore delle imprese del comparto dell’edilizia.

Rispetto al tema dei materiali prodotti dalla demolizione, l’Accordo, accanto ai “residui da costruzione e demolizione” (materiali di risulta prodotti dall’esercizio delle attività di costruzione e demolizione di edifici e infrastrutture, comprendenti sia i rifiuti da costruzione e demolizione, sia i materiali e componenti riusabili), individuava i “componenti riusabili”, ovvero quella frazione dei residui prodotti dalle attività di costruzione e demolizione costituita da materiali e componenti passibili di reimpiego.

 

Presupposto per potere separare e stoccare i materiali (non rifiuti) riusabili, era l’applicazione della demolizione selettiva, ovvero dello svolgimento delle attività di demolizione in successione (inversa a quelle con cui è stato costruito l’edificio oggetto di intervento), per consentire la separazione e la cernita dei materiali da costruzione, suddividendoli nei vari flussi. Solo con questo approccio è possibile identificare, localizzare e rimuovere materiali e componenti pericolosi eventualmente presenti (amianto, PCB, guaine bituminose, serbatoi interrati, etc.), e poi smontare tutti quegli elementi che possono essere impiegati nuovamente destinandoli ad un ulteriore impiego[4], oltre ovviamente ai vari rifiuti che verranno prodotti col prosieguo dell’attività di demolizione. Con il chiaro beneficio, rispetto ai rifiuti prodotti, di attribuirne caratteristiche tali da renderli facilmente ed economicamente riciclabili, massimizzandone le potenzialità di recupero.

 

 

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Anche la Regione Veneto, che ha disciplinato con la Deliberazione della Giunta Regionale n. 1773 del 28 agosto 2012 le “Modalità operative per la gestione dei rifiuti da attività di costruzione e demolizione. D.lgs. 03.04.2006 e s.m.i., n. 152; L.R.3/2000.”, riconosce la possibilità che la demolizione selettiva preveda una fase specifica volta ad individuare i materiali ed i componenti edilizi dismessi che possono essere riutilizzati.

 

Per questi materiali è prevista una verifica atta a valutare il loro possibile reimpiego, doverosa rispetto alla integrità dei materiali, allo stato di conservazione e alla prestazione residua, e qualora venga superata permette al materiale di assurgere al rango di materiale da costruzione, rimanendo quindi escluso dal regime dei rifiuti.

Il Legislatore regionale riconosce pragmaticamente che tale pratica viene applicata da tempo in modo particolare per la valorizzazione di quegli elementi che possono avere un pregio estetico/storico ed è un caso tipico per gli elementi edilizi che possono essere “smontati” in modo modulare, restando integri: elementi strutturali in legno o metallo, mattoni o blocchi in pietra, tegole, coppi, tavelle, gradini, soglie. Il loro riutilizzo all’interno dell’attività di costruzione può anche prevedere un minore impegno prestazionale o un fine estetico.

 

 

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A confermare questo impianto sono i recenti “Criteri e indirizzi tecnici condivisi per il recupero dei rifiuti inerti” elaborati dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente nel 2016 per fornire indicazioni di carattere operativo-gestionale relative alla produzione e alla gestione dei rifiuti nel settore edile.

Tali criteri, già ispirati dall’applicazione dei principi dell’Economia circolare, che vedono i prodotti mantenere il loro valore aggiunto il più a lungo possibile e le risorse rimanere all’interno del sistema economico, in modo da essere utilizzate più volte a fini produttivi e creare un nuovo valore, oltre che della demolizione selettiva e della gestione dei relativi rifiuti, si occupano anche della valorizzazione delle componenti riutilizzabili nell’ambito dell’attività di demolizione. E lo fanno ribadendo come in presenza di componenti selezionati, se:

  • il produttore non ha intenzione di disfarsene;
  • è superata la verifica atta a valutare il loro possibile reimpiego, soprattutto se da utilizzarsi come elementi strutturali o “portanti”;
  • è stata verificata la loro non “contaminazione” (anche accidentale) con sostanze pericolose;

non rientrano nella definizione di rifiuto (art. 183, comma 1 lett. a) dlgs. 152/2006) e vanno considerati come un qualunque altro materiale/componente da costruzione e come tali devono essere gestiti.

 

In conclusione, per le aziende del settore edile risulta ormai consolidata la possibilità, all’atto della demolizione selettiva[5] di un edificio, di potere ottenere dei componenti da destinare al riutilizzo, in quanto dotati di un pregio storico e/o artistico che ne permette la loro valorizzazione.

 

Tale possibilità però presuppone che:

  • vi sia una fase specifica e prodromica alla demolizione selettiva che individui i materiali e i componenti edilizi che possono essere valorizzati;
  • se un componente che l’impresa intende valorizzare all’atto dello smontaggio o della verifica del possibile reimpiego si danneggia o risulta non idoneo può essere gestito in cantiere come un rifiuto;
  • un elemento riusabile dovrà essere smontato in modo da preservarne e non peggiorarne le prestazioni residue e dovrà essere movimentato e stoccato con modalità simili a quelle del corrispondente materiale nuovo, in modo da non comprometterne le funzionalità, evitando movimentazioni e accumuli alla rinfusa indiziari della presenza di un rifiuto anziché di un materiale (prodotto) da costruzione.

 

L’attenzione verso la durabilità dei prodotti, il riutilizzo multiplo[6], l’allungamento del ciclo di vita sono al centro delle iniziative che il Legislatore europeo sta attuando in questi mesi nell’inglobare i principi dell’Economia circolare nelle direttive sui rifiuti. E proprio il settore dei materiali e prodotti da costruzione si sofferma la sua attenzione, sia quando prevede l’adozione di misure intese a promuovere la demolizione selettiva onde consentire la rimozione e il trattamento sicuro delle sostanze pericolose e facilitare il riutilizzo e il riciclaggio di alta qualità tramite la rimozione selettiva dei materiali, sia quando intende incoraggiare il riutilizzo di prodotti e la creazione di sistemi che promuovano attività di riparazione e di riutilizzo.

È quindi lecito attendersi l’emanazione di provvedimenti legislativi e regolamenti che andranno ad intervenire puntualmente nelle modalità gestionali dei rifiuti (e non solo) prodotti dalle imprese del comparto dell’edilizia nell’ambito della loro attività.

 

Di questo, e di tanto altro, si parlerà durante il Corso “La corretta gestione dei rifiuti edili, che si terrà a Milano, il 30 ottobre 2018, nella sua III edizione.

Info e approfondimenti: formazione@tuttoambiente.it – 0523.315305

 

Piacenza, 06.08.2018

 

 

[1] Per una disamina della nozione di rifiuto si veda P. Pipere “Gestione rifiuti (parte generale)”, pag. 201 ss. In AA.VV., Gestione ambientale, (II^ed.) Edizioni Tuttoambiente.

 

[2] Il soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione (produttore iniziale) [art. 183 c.1 lett. f) del dlgs 152/2006].

 

[3] La giurisprudenza ha affrontato nel tempo la definizione di sottoprodotto, verificando la sussistenza dei requisiti di legge di sostanze od oggetti -sottoprodotti- afferenti diversi ambiti produttivi, anche con riguardo all’attività di demolizione e costruzione: “sostenere che la demolizione di un edificio possa considerarsi un processo di produzione, da cui possono quindi derivare sottoprodotti, rappresenta una “evidente forzatura”. La forzatura consiste nel dichiarare che il prodotto finale della demolizione sia la nuova costruzione. La demolizione non può infatti essere considerata il prodromo di una nuova costruzione, “giacché questa può essere effettuata anche indipendentemente da precedenti demolizioni“. Nessuna applicazione dell’articolo 184-bis (“Sottoprodotto”) è quindi possibile per i rifiuti da demolizione, visto che il primo requisito previsto dalla disciplina richiede che la sostanza o l’oggetto sia “originato da un processo di produzione”. [Cass. Pen. 15 ottobre 2013, n. 42342]. E ancora: “La demolizione di un edificio non può essere considerata “un processo di produzione” e quindi gli inerti che ne derivano sono rifiuti che non possono essere qualificati come sottoprodotti” [Cass. Pen. 28 luglio 2015, n. 33028].

 

[4] Questa pratica nell’ambito della progettazione architettonica è spesso denominata “upcycling” (in opposizione a downcycling) poiché mira a evitare lo spreco dei materiali e l’utilizzo di materie prime, attribuendo (nuovo) valore a vecchi materiali; il termine “superuse” invece indica un approccio creativo nella progettazione architettonica che mira ad attingere volutamente a materiali scartati, che se non utilizzati perderebbero la loro funzione di utilità, oltre a comportare l’utilizzo di ulteriori materie prime.

 

[5] Intesa come la separazione all’origine dei materiali derivanti dalle attività di demolizione di opere edilizie e di ingegneria civile, finalizzata al loro successivo riciclaggio e recupero, attraverso un processo di disassemblaggio che, in genere, avviene in ordine inverso rispetto alle operazioni di costruzione. (Linee guida SNPA, 2016).

 

[6] Temi questi già evidenziati nella Direttiva Parlamento europeo e Consiglio Ue 2008/98/Ce relativa ai rifiuti, quando nel trattare la responsabilità estesa del produttore (di prodotti) sottolinea come necessarie la “progettazione dei prodotti e dei loro componenti volta a ridurre i loro impatti ambientali e la produzione di rifiuti durante la produzione e il successivo utilizzo dei prodotti” per incoraggiare, tra l’altro, “lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti e componenti dei prodotti adatti all’uso multiplo, contenenti materiali riciclati, tecnicamente durevoli e facilmente riparabili e che, dopo essere diventati rifiuti, sono adatti a essere preparati per il riutilizzo e riciclati per favorire la corretta attuazione della gerarchia dei rifiuti”.

 

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