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Difesa delle acque e vasche di laminazione: il sistema delle competenze

di Umberto Fantigrossi

Categoria: Acqua

1. Premessa;
2. Il ruolo della Regione;
3. Il ruolo dell’Autorità di Bacino;
4. La realizzazione delle vasche di laminazione alla luce del D.Lgs. n. 49/2010
5. Conclusioni

1. Premessa
Nell’ambito delle opere di difesa idraulica, specie nel bacino del Po, un ruolo importante è svolto dalle vasche di laminazione, la cui funzione è quella di rappresentare una valvola di sfogo delle piene, rallentando il flusso delle acque e riducendo così i rischi di esondazione in prossimità dei centri abitati. Un esempio è quello delle vasche in corso di progettazione e realizzazione a nord di Milano, per evitare le periodiche esondazioni del Seveso.
Naturalmente più sono vasti e complessi il bacino idrico di riferimento ed il territorio da difendere, più risulta complicato il quadro dei soggetti pubblici coinvolti ed i procedimenti amministrativi attraverso i quali si svolge la funzione di decisione e di realizzazione delle opere. Si tratta quindi di una tematica che ha assunto, negli ultimi anni, una portata sempre più rilevante in ambito tanto normativo quanto giurisprudenziale, delineandosi, pertanto, come una delle questioni più complesse da affrontare sia per gli amministratori pubblici che per gli operatori del diritto.
Tale difficoltà è data, in via principale, dall’articolato sistema delle competenze che governa l’intera materia: a chi spetta, infatti, decidere la realizzazione dei sistemi di laminazione, ossia di uno strumento profondamente invasivo ideato per porre una soluzione (permanente o temporanea) al sempre più urgente problema delle piene fluviali (Seveso, ad esempio, in primis)?
Ѐ ormai noto come proprio la situazione emergenziale, che da decenni colpisce le amministrazioni comunali nel momento in cui devono affrontare le conseguenze, spesso disastrose, delle esondazioni, sia stata utilizzata come “grimaldello” dagli stessi amministratori locali per forzare il dettato normativo e stabilire la realizzazione di vasche di laminazione pur non avendo i poteri necessari per decidere tale operazione. Che, data la sua vastità, necessariamente di interesse sovraccomunale, non può essere riservata alla sola discrezionalità amministrativa del Comune nel cui territorio si andrà ad insediare l’opera[1].

2. Il ruolo della Regione
Poiché le vasche di cui si sta discutendo rappresentano opere pubbliche finalizzate alla sistemazione idraulica e alla difesa di territori che, solitamente, sono ben più vasti di quelli appartenenti ad un singolo Comune e che riguardano distretti idrografici comprendenti più Comuni, il legislatore, col D.lgs 152/2006, art.61, comma 1[2], ha stabilito che la competenza per l’esecuzione dei progetti, degli interventi e delle opere fosse affidata in capo alla Regione, sulla base dell’articolazione dei distretti idrografici decisi dal medesimo Codice dell’Ambiente (art. 64).
L’esercizio di suddette competenze, tuttavia, non può essere compiuto dall’Amministrazione regionale in modo del tutto autoreferenziale, bensì va inserito all’interno di un quadro di leale collaborazione e di effettivo coinvolgimento di tutti gli enti locali interessati al progetto, in ossequio al principio costituzionale di sussidiarietà, di cui all’art. 118 Cost., secondo il quale le funzioni amministrative devono essere eseguite dal livello di governo adeguato alla concreta dimensione della questione da affrontare e agli interessi coinvolti.

3. Il ruolo delle Autorità di Bacino
Alla base dell’approvazione di qualunque progetto di siffatta natura, destinato a realizzare le finalità di assicurare la tutela ed il risanamento del suolo e del sottosuolo, nonché del risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto e la messa in sicurezza delle situazioni a rischio (art. 53 Codice Ambiente), vi dovrebbe essere, sulla base di quanto stabilito all’art. 56 Codice Ambiente, un’accurata attività di programmazione e pianificazione, prima di dare avvio all’attuazione dell’intervento stesso (art. 56).
Nello specifico, l’art. 56 individua, fra le attività che richiedono tale programmazione, quelle idonee alla “sistemazione, conservazione ed il recupero del suolo nei bacini idrografici, con interventi idrogeologici, idraulici, idraulico-forestali, idraulico-agrari, silvo-pastorali, di forestazione e di bonifica, anche attraverso processi di recupero naturalistico, botanico e faunistico” (comma 1, lett. a) nonché, e questo è il passaggio che maggiormente interessa il nostro caso, quelle necessarie alla “moderazione delle piene, anche mediante serbatoi di invaso, vasche di laminazione, casse di espansione, scaricatori, scolmatori, diversivi o altro, per la difesa dalle inondazioni e dagli allagamenti” (comma 1, lett. c).
Il principio di leale collaborazione, poi, viene richiamato al comma 2 dello stesso art. 56 che, in modo espresso, sancisce la necessità che le attività sopra-elencate siano svolte secondo “criteri, metodi e standard, nonché modalità di coordinamento e di collaborazione tra soggetti pubblici comunque competenti, preordinati, tra l’altro, a garantire l’omogeneità di:
a)
condizioni di salvaguardia della vita umana e del territorio, ivi compresi gli abitati ed i beni;
b)
modalità di utilizzazione delle risorse e dei beni, e di gestione dei servizi connessi.”
La lett. a), alla luce dell’invasività degli interventi in esame, assume un ruolo fondamentale: il carattere di emergenzialità di talune situazioni, infatti, che richiedono opere urgenti, non può in alcun modo surclassare la tutela tanto del territorio limitrofo al progetto, quanto della popolazione ivi residente, la cui salute va salvaguardata senza eccezioni. Occorre fare presente che, proprio su questo passaggio, non sono mancati esempi di Amministrazioni che hanno autorizzato progetti di impianti di vasta portata pur tenendo in minimo conto gli aspetti essenziali di cui al comma 2 lett. a) art. 56[3].
Ciò premesso in termini di programmazione, rilevanza essenziale viene assunta dall’Autorità di bacino competente per territorio, alla quale l’art. 65 Cod. Ambiente affida il compito di redigere il Piano di Bacino Distrettuale. Questo prende valore di piano territoriale e rappresenta lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale vengono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione del suolo e corretta utilizzazione delle acque. Ѐ evidente, allora, come nessuna opera possa essere autorizzata se non inserita all’interno di suddetto Piano.
Esplicativa è la procedura di approvazione del Piano (art. 66): in primo luogo deve essere sottoposto a valutazione ambientale strategica (VAS) in sede statale, poi viene adottato a maggioranza dalla Conferenza Istituzionale permanente di cui all’art. 63, comma 4. In tutto ciò, come sancito dal comma 7, “le Autorità di Bacino promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei piani di bacino, provvedendo affinché, per ciascun distretto idrografico, siano pubblicati e resi disponibili per eventuali osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti, conscendendo un minimo di sei mesi per la presentazione di osservazioni scritte, i seguenti documenti: a) il calendario e il programma di lavoro per la presentazione del piano […]; b) una valutazione globale provvisoria dei principali problemi di gestione delle acque […]; c) copie del progetto del piano di bacino, almeno un anno prima […]”. Ѐ di tutta evidenza, dunque, la ratio della norma di pianificare, in via preliminare, qualunque operazione inerente da compiersi su un determinato territorio, in modo da garantire la massima salvaguardia dell’ambiente e degli astanti.
Il legislatore ha poi previsto che, nell’attesa dell’approvazione del Piano, le Autorità di Bacino adottino misure di salvaguardia con riferimento ai bacini montani e ai torrenti di alta valle: tali interventi sono immediatamente vincolanti ma restano in vigore per un tempo massimo di tre anni (art. 65, comma 7). Ciò ad ulteriore riprova che ogni opera di carattere permanente deve essere ideata all’interno di una programmazione strutturata (il Piano) e non emergenziale, e che i singoli Enti Locali non dispongono del potere di decidere motu proprio la realizzazione degli interventi.
Sempre nelle more dell’approvazione dei piani di bacino, le Autorità di Bacino adottano, ai sensi dell’art. 65, comma 8, i c.d. piani di stralcio di distretto per l’assetto idrogeologico (PAI), idonei ad individuare le aree a rischio idrogeologico, a perimetrare le zone da sottoporre a misure di salvaguardia e a determinare le misure stesse. A differenza, tuttavia, dei Piani di Bacino, i PAI non richiedono sottoposizione alla VAS, ma diventa indispensabile e vincolante la convocazione, da parte delle Regioni, di una conferenza programmatica, articolata per sezioni provinciali, alla quale partecipano le provincie ed i Comuni interessati, unitamente alla Regione e ad un rappresentante dell’Autorità di Bacino. In questo caso, all’esito della conferenza, viene espresso un parere sul progetto del piano con riferimento alla integrazione su scala provinciale e comunale dei contenuti del piano stesso, prevedendo le necessarie prescrizioni idrogeologiche e urbanistiche (art. 68, commi 1-4).
Va da sé che la mancata convocazione di taluni Enti Locali interessati a suddetta conferenza possa portare a vizi di legittimità del Piano stesso, in quanto approvato senza il necessario e dialettico confronto fra le Amministrazioni coinvolte dagli effetti che tale piano apporterà sui loro territori[4].

4. La realizzazione delle vasche di laminazione alla luce della D.lgs. n. 49/2010.
Come ormai noto, la Direttiva Europea 2007/60/CE, recepita nel diritto italiano con D.lgs. n. 49/2010, ha introdotto anche nel nostro ordinamento una specifica disciplina inerente alla “valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni”, in modo da ridurre le conseguenze negative per la salute umana, l’ambiente, il patrimonio culturale e le attività economiche connesse con le alluvioni all’interno della Comunità (art. 1).
In termini di pianificazione territoriale, oltre a quanto già esposto ai punti precedenti, tale normativa ha imposto un ulteriore novero di incombenze cui le Amministrazioni sono chiamate a fare fronte.
Nel dettaglio, il D.lgs. di recepimento attribuisce, ancora una volta, alle Autorità di Bacino la competenza ad occuparsi dei passaggi procedimentali governanti la materia. Passaggi che possono essere così riassunti: in primo luogo, le Autorità di Bacino effettuano la valutazione preliminare del rischio di alluvione all’interno del proprio distretto idrografico (art. 4[5]); successivamente, sulla base di dette valutazioni, individuano le zone ove possa sussistere un rischio potenziale significativo di alluvioni (art. 5); a tale operazione segue la mappatura della pericolosità e del rischio di alluvioni (art. 6); infine, vengono redatti i Piani di gestione del rischio di alluvioni (PGRA).
Quest’ultimi, a detta dell’art. 7, riguardano tutti gli aspetti della gestione del rischio, in particolare la prevenzione, la protezione e la preparazione, comprese le previsioni di alluvione.
Alla luce di quanto esposto, è allora evidente che il tema delle vasche di laminazione venga necessariamente coinvolto dalla recente disciplina in esame che, infatti, riserva a quello specifico argomento la lett. c) del comma 5 art. 7, laddove è sancito che i piani di gestione contengono una sintesi delle normativa previgente e tengono conto degli aspetti relativi alle attività di “regolazione dei deflussi posta in essere anche attraverso piani di laminazione”.
Per la sua portata, il PGRA è sottoposto alla valutazione strategica ambientale e, ancora una volta, è richiesta la “partecipazione attiva di tutti i soggetti interessati”, come per l’art. 66, comma 7, del D.lgs 152/2006, nonché il coinvolgimento del pubblico in generale.

5. Conclusioni.
Sulla base di quanto argomentato ed in virtù dell’ampia normativa riguardante l’argomento delle vasche di laminazione – da cui è scaturita una cospicua giurisprudenza innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche[6] – il tratto che più interessa codesta esposizione è rappresentato dalla necessità, riconosciuta a più riprese dal legislatore nazionale, di redigere una dettagliata pianificazione prima di procedere alla realizzazione di qualunque intervento concernente la sistemazione idrica delle acque.
Pianificazione che, come si è visto, è ad appannaggio dell’Autorità di Bacino, chiamata ad adottare specifici Piani (di Bacino, Stralcio di Distretto e/o di Gestione del rischio alluvioni) pur, tuttavia, garantendo l’indispensabile contraddittorio fra le parti interessate (Enti Locali in primis) che hanno pieno diritto di esprimere la propria posizione sulle disposizioni di tali Piani.
Una volta che si è venuta a delineare siffatta programmazione, la Regione territorialmente competente, tenendo fede al principio costituzionale di leale collaborazione, potrà deliberare in merito all’esecuzione dei progetti (fra cui rientrano a pieno titolo i sistemi di laminazione) fornendo parere positivo alla VAS e alla VIA.
Al contrario, dalle norme del Codice dell’Ambiente si evince che nessuna iniziativa di vasto interesse può essere avviata, né approvata, in via autoreferenziale dalla singola amministrazione comunale al di fuori di una programmazione di interventi definita preliminarmente con gli strumenti che sono stati illustrati.

 

[1] Il novero dei ricorsi presso il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche contro provvedimenti approvativi di tali progetti decisi unilateralmente dal singolo Comune, in piena violazione dell’intera normativa nazionale, si sta sempre più incrementando (da ultimo, si menziona Comune di Bresso / Regione Lombardia e Comune di Milano).

[2] Le regioni, ferme restando le attività da queste svolte nell’ambito delle competenze del Servizio nazionale di protezione civile, ove occorra d’intesa tra loro, esercitano le funzioni e i compiti ad esse spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali, ed in particolare:
a) collaborano nel rilevamento e nell’elaborazione dei piani di bacino dei distretti idrografici secondo le direttive assunte dalla Conferenza istituzionale permanente di cui all’articolo 63, comma 4, ed adottano gli atti di competenza;
b) formulano proposte per la formazione dei programmi e per la redazione di studi e di progetti relativi ai distretti idrografici;
c) provvedono alla elaborazione, adozione, approvazione ed attuazione dei piani di tutela di cui all’articolo 121;
d) per la parte di propria competenza, dispongono la redazione e provvedono all’approvazione e all’esecuzione dei progetti, degli interventi e delle opere da realizzare nei distretti idrografici, istituendo, ove occorra, gestioni comuni;
e) provvedono, per la parte di propria competenza, all’organizzazione e al funzionamento del servizio di polizia idraulica ed a quelli per la gestione e la manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni;
f) provvedono all’organizzazione e al funzionamento della navigazione interna, ferme restando le residue competenze spettanti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
g) predispongono annualmente la relazione sull’uso del suolo e sulle condizioni dell’assetto idrogeologico del territorio di competenza e sullo stato di attuazione del programma triennale in corso e la trasmettono al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio entro il mese di dicembre;
h) assumono ogni altra iniziativa ritenuta necessaria in materia di conservazione e difesa del territorio, del suolo e del sottosuolo e di tutela ed uso delle acque nei bacini idrografici di competenza ed esercitano ogni altra funzione prevista dalla presente sezione.

[3] Cfr. Tribunale Superiore Acque Pubbliche, 12.06.2008, sent. n. 112. La Corte ha accolto il ricorso dell’Associazione Agricoltori Medio Tagliamento ed altri per l’annullamento delle deliberazioni di adozioni del Piano Stralcio per la sicurezza idraulica del medio e basso corso del Fiume Tagliamento. Oltre ad essere riconosciuto ai ricorrenti l’interesse ad agire per “la lesione del bene della vita”, il Tribunale ha riconosciuto la fondatezza della censura sul “difetto d’istruttoria circa lo stato dei luoghi ed il difetto di ragionevolezza e di proporzionalità fra il sacrificio imposto ai privati con l’estensione del vincolo di rispetto agli obiettivi da realizzare” (p. 28), oltreché la necessità che l’atto si conformi “alle esigenze della proprietà privata, volta a contemperare la realizzazione delle opere e messa in sicurezza del territorio interessato con le esigenze dei proprietari interessati, la cui compressione deve osservare criteri di proporzionalità e di finalizzazione delle opere” (p. 30).

[4] Cfr. ricorso presso T.S.A.P. fra Comune di Bresso / Regione Lombardia di cui supra nota 1. In tale fattispecie, il Comune ricorrente non ha mai partecipato alla conferenza programmatica del PAI – perché non convocato – senza quindi poter portare in quella sede le proprie considerazioni e valutazioni ostative.

[5] D.lgs n. 49/2010, art. 4, comma 2: “La valutazione preliminare del rischio di alluvioni fornisce una valutazione dei rischi potenziali, principalmente sulla base dei dati registrati, di analisi speditive e degli studi sugli sviluppi a lungo termine, tra cui, in particolare, le conseguenze dei cambiamenti climatici sul verificarsi delle alluvioni e tenendo conto della pericolosità da alluvione. Detta valutazione comprende almeno i seguenti elementi:
a)cartografie tematiche del distretto idrografico in scala appropriata comprendenti i limiti amministrativi, i confini dei bacini idrografici, dei sottobacini e delle zone costiere, dalle quali risulti la topografia e l’uso del territorio;
b) descrizione delle alluvioni avvenute in passato che hanno avuto notevoli conseguenze negative per la salute umana, il territorio, i beni, l’ambiente, il patrimonio culturale e le attività economiche e sociali e che, con elevata probabilità, possono ancora verificarsi in futuro in maniera simile, compresa l’estensione dell’area inondabile e, ove noti, le modalità di deflusso delle acque, gli effetti al suolo e una valutazione delle conseguenze negative che hanno avuto;
c) descrizione delle alluvioni significative avvenute in passato che pur non avendo avuto notevoli conseguenze negative ne potrebbero avere in futuro;
d) valutazione delle potenziali conseguenze negative di future alluvioni per la salute umana, il territorio, i beni, l’ambiente, il patrimonio culturale e le attività economiche e sociali, tenendo conto di elementi quali la topografia, la localizzazione dei corpi idrici superficiali e le loro caratteristiche idrologiche e geomorfologiche generali, le aree di espansione naturale delle piene, l’efficacia delle infrastrutture artificiali esistenti per la difesa dalle alluvioni, la localizzazione delle aree popolate, di quelle ove esistono attività economiche e sociali e gli scenari a lungo termine, quali quelli socio-economici e ambientali, determinati anche dagli effetti dei cambiamenti climatici.”

[6] Secondo l’orientamento prevalente, l’art. 143, 1° comma, lett. a) del Regio Decreto n. 1775/1933, va inteso nel senso che appartengono alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche tutti i ricorsi contro provvedimenti che siano caratterizzati dall’incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche, anche se adottati da autorità diverse da quelle specificatamente preposte alla tutela delle acque. Il discrimine, dunque, è dato proprio da tale influenza diretta dell’atto amministrativo sul governo delle acque. Un caso scuola, per esempio, di suddetta incidenza è fornito da tutti i ricorsi avverso provvedimenti che, per effetto della loro incidenza sulla realizzazione, sospensione, o eliminazione di un’opera idraulica (quali sono le vasche di laminazione) riguardante acque pubbliche, concorrono, in concreto, a disciplinare le modalità di utilizzazione di dette acque.

 

 

 

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