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Ecotossicità, pH estremi e rifiuti: questioni operative

di Chiara Zorzino

Categoria: Rifiuti

Gli aspetti operativi emersi durante il corso di formazione di TuttoAmbiente sui Rifiuti Pericolosi, svoltosi a Milano lo scorso 17 gennaio 2013, denotano quanto sia complesso e non privo di insidie il percorso di attribuzione delle caratteristiche di pericolo ai rifiuti.
La Dott.ssa Loredana Musmeci, Direttore Dipartimento Ambiente e Prevenzione Primaria dell’ISS, docente della seconda parte del corso sopraccitato, ha dapprima illustrato lo stato dell’arte della legislazione comunitaria e nazionale in materia di sostanze e preparati pericolosi e si è in seguito soffermata sulle questioni più spiccatamente tecniche della materia.
Il presupposto su cui si erge tutta la difficile questione è il sistema di classificazione dei rifiuti pericolosi che è, per molti aspetti, sovrapponibile a quello adottato per la classificazione delle sostanze e preparati pericolosi. Infatti nella nota 1 all’allegato I alla parte IV del D.Lgs. 152/06 si legge che “l’attribuzione delle caratteristiche di pericolo (..) è effettuata secondo i criteri stabiliti nell’all. VI, parte I.A e II.B della dir. 67/548/CEE (..) e ss.mm., concernente il riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose”. La dir. 2008/98/CE, recepita in Italia con il D.Lgs. 205/2010, afferma che si applicano ai rifiuti non solo i criteri delle sostanze e dei preparati pericolosi, ma anche le metodologie. Per inciso i diversi livelli di ecotossicità possono essere contraddistinti con le cosiddette “frasi di rischio” (es. R50- altamente tossico per gli organismi acquatici), come stabilito dalla “vecchia norma” del ’67 sopracitata o con le “indicazioni di pericolo” (es. H400- Molto tossico per gli organismi acquatici- Acquatic acute 1) della “nuova norma” Reg. (CE) 2008/1272, del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, noto ai più come “CLP” (Classification, labelling and packaging), relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele che modifica e abroga le direttive 67/548/CEE, già citata, e 1999/45/CE, sui preparati pericolosi, e che reca modifica al Reg. (CE) 2006/1907. Il Regolamento riprende i principi del Globally Harmonized System (GHS) precedentemente definito dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite indirizzato verso una classificazione ed etichettatura armonizzate a livello mondiale.
Facendo un passo indietro, in estrema sintesi si può affermare che sia l’allegato I alla parte IV del D. Lgs. 152/06, elencante le caratteristiche di pericolo, da H1 a H15, utili per la determinazione della natura (pericolosa o meno) del rifiuto, sia l’allegato D del sopraccitato decreto, direttamente collegato a quanto disposto dalla Dec. 2000/532/CE (istitutiva del CER), sono stati modificati dal D. Lgs. 205/2010 (che recepisce la dir. 2008/98/CE). Tra le sedici classi di pericolosità: H1, H2, H3-A, H3-B, H4, H5, H6, H7, H8, H9, H10, H11, H12, H13, H14 e H15, la più indefinita e oscura si è dimostrata subito essere la H14-Ecotossico; a tal punto che nell’art.3, c. 6, del D. L. 2/2012 (convertito con modificazioni in legge 24 marzo 2012, n.28) viene sottolineato, modificando il punto 5 all’all. D alla parte IV del D.Lgs.152/06, che “se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso è classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio percentuale in peso), tali da conferire al rifiuto in questione una o più delle proprietà di cui all’allegato I”. Si chiarisce inoltre che “ Per le caratteristiche da H3 a H8, H10 e H11, di cui all’allegato I, si applica quanto previsto al punto 3.4 del presente allegato.” Poi, esplicita ufficialmente la grave mora normativa: “Per le caratteristiche H1, H2, H9, H12, H13 e H14, di cui all’allegato I, la decisione 2000/532/CE non prevede al momento alcuna specifica”. Ed ecco che arriviamo al nodo della questione: l’Italia subisce la mancata emanazione, da parte del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di uno specifico decreto che stabilisca la procedura tecnica per l’attribuzione della caratteristica H14 (“Ecotossico”). Allo stato attuale, in virtù di tale lacuna e sentito il parere dell’ISPRA, “tale caratteristica viene attribuita ai rifiuti secondo le modalità dell’accordo ADR per le classi 9-M6 e M7”( art.3, c. 6, D. L. 2/2012).
Pertanto, per l’attribuzione dell’ecotossicità ai rifiuti occorre basarsi – attualmente – sui criteri di classificazione ADR. E’ tale armonizzazione dei criteri e delle metodologie del sistema di classificazione delle sostanze e dei preparati pericolosi a quello dei rifiuti la culla dei problemi, dei dubbi e delle perplessità, incontrate quotidianamente dagli operatori del settore, ai quali risulta difficile, se non impossibile, l’applicabilità di taluni principi teorici.
Lo scoglio maggiore su cui ci si incaglia nel nostro Paese è costituito fondamentalmente dalla difficoltà di applicare la normativa, anche quando essa sia relativamente di chiara interpretazione. In primo luogo si dovrebbe classificare il rifiuto in base all’origine: pericoloso e non pericoloso. Qualora il nostro rifiuto fosse identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose (“voci a specchio”), esso andrebbe classificato come pericoloso solo se le sostanze in oggetto raggiungessero determinate concentrazioni. In caso contrario il rifiuto sarebbe “non pericoloso”. Purtroppo a livello nazionale è ormai diffusissimo un atteggiamento ultra conservativo e iper precauzionistico e si eseguono spesso analisi su tutto, anche quando non richieste. Così vengono condotti tests anche sui rifiuti non pericolosi (dall’origine), ma che non possono essere ri-classificati come pericolosi qualora emergano dati critici! Altra precisazione importante emersa durante il corso è stata la distinzione tra Caratterizzazione e Analisi: sono due operazioni ben diverse. La prima si conduce sulla base documentale, la seconda sugli esperimenti o test specifici secondo le metodologie previste dalla disciplina.
Innanzitutto ai sensi dell’ADR verranno considerate merci pericolosi, e quindi prenderanno l’indicazione di pericolo “rifiuto H14-ecotossico”, solo se presenteranno, sulla base del CLP, una tossicità acuta1, cronica 1 o cronica 2. Non vengono considerate le categorie “tossicità cronica 3 e 4” e, poiché l’ADR considera solo la lesività della sostanze per l’ambiente acquatico, l’ecotossicità è intesa come “pericolosità per l’ambiente acquatico”.
Nel capitolo “Materie pericolose per l’ambiente acquatico”, alla voce “Definizioni generali”, si esplicitano i concetti di “sostanza”, “ambiente acquatico” (inteso come organismi acquatici che vivono in acqua, ma anche l’ecosistema acquatico di cui fanno parte) e tutt’una serie di parametri e termini da considerare per classificare le sostanze (ad. es. BCF- fattore di bioconcentrazione, BOD- domanda biochimica di ossigeno, e ancora CE50, CL50, COD, Kow, NOEC,..). In linea generale, il sistema dell’ADR per le sostanze si basa prioritariamente sull’analisi mediante metodi di prova armonizzati secondo le Linee Guida OCSE o metodi equivalenti, conformi però alle BPL (biotest). Tali tests, eseguiti sui pesci, crostacei e alghe, sono volti a determinare:

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