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Il punto sull’attività di raccolta e trasporto rifiuti effettuate in forma ambulante

di Silvia Bettineschi

Categoria: Rifiuti

Le attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate in forma ambulante, quindi prive del carattere di professionalità ed imprenditorialità, sono tema di particolare interesse in quanto soggette ad un particolare regime derogatorio. Secondo quando disposto dall’art. 266 c. 5 del D.Lgs. 152/2006, infatti, i soggetti abilitati all’esercizio di tali attività, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio, sono esenti dagli obblighi previsti dagli articoli 189, 190, 193 e 212 del D.Lgs. 152/2006, ossia gli obblighi inerenti rispettivamente il “Catasto dei rifiuti”, il “Registro di carico e scarico”, il “Trasporto dei rifiuti” e l’ “Albo nazionale gestori ambientali”[1].
Sull’argomento la recente giurisprudenza ha manifestato un medesimo orientamento circa i requisiti necessari affinché le attività suindicate non integrino il reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata di cui all’art. 256 D.Lgs. 152/2006.
L’occasione per fare il punto sull’argomento è data da alcune sentenze emesse nell’anno appena trascorso, l’ultima delle quali è la sentenza della Corte di Cassazione Pen. n. 48952 del 11 dicembre 2015, il cui caso in esame prende le mosse da un’attività di raccolta e trasporto di rifiuti speciali e pericolosi condotta in assenza dell’iscrizione all’Albo gestori ambientali prevista dall’art. 212, D.Lgs. n. 152/2006.
Tale pronuncia ribadisce quanto più volte affermato dalla stessa Corte: l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti non pericolosi prodotti da terzi effettuata in forma ambulante non integra il reato di gestione non autorizzata dei rifiuti ex art. 256 D.Lgs. 152/2006 a condizione che:
a) il soggetto sia in possesso del titolo abilitativo per l’attività commerciale in forma ambulante;
b) si tratti di rifiuti che formavano oggetto del suo commercio[2].
Sul primo punto più approfondita è la sentenza della Corte di Cassazione Pen. n. 28758 del 7 luglio 2015. Il giudice rileva, innanzitutto, che, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 152/2006, tale fattispecie era regolata dall’art. 58 c. 7 quater del D.Lgs. 22/1997[3], introdotto dalla Legge 426/98. Tale ultimo articolo richiedeva quale titolo abilitativo per gli esercenti la raccolta e il trasporto rifiuti in forma ambulante l’iscrizione in apposito registro previsto dall’art. 121 TULPS[4]. Detta norma è stata abrogata ad opera del D.p.r. 311/2001, ma la previsione di un titolo abilitativo è rimasta immutata nell’art. 58 c. 7 quater D.Lgs. 22/1997 prima, poi nell’art. 266 c. 5 D.Lgs. 152/2006, ora vigente.
Nonostante, dunque, chi raccolga e trasporti rifiuti in forma ambulante non sia tenuto a compilare il MUD, a tenere il registro di carico e scarico, a compilare i FIR e ad iscriversi all’Albo nazionale gestori ambientali, è comunque tenuto a conseguire un titolo abilitativo.
La giurisprudenza si è interrogata sull’esistenza – nella normativa di settore – di uno specifico titolo abilitante in tal senso. La Corte ha ritenuto che, non contemplando la disciplina generale sui rifiuti (salvo la disposizione suindicata) l’attività di raccolta e trasporto di rifiuti in forma ambulante e considerato che la deroga opera limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del commercio del soggetto abilitato, è alla disciplina sul commercio attualmente in vigore che deve farsi riferimento.
Precedentemente, la sentenza della Corte di Cassazione Pen. n. 29992 del 9 luglio 2014, ugualmente, conclude affermando che “la deroga prevista dall’art. 266, comma 5 d.lgs. 152/06 per l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti prodotti da terzi, effettuata in forma ambulante opera qualora ricorra la duplice condizione che il soggetto sia in possesso del titolo abilitativo per l’esercizio dell’attività commerciale in forma ambulante ai sensi del D.lgs 31 marzo 1998, n. 114 e, dall’altro, che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio”. Su quest’ultimo punto la sentenza n. 19111/2013 della Cassazione offre una serie di precisazioni, specificando che il settore merceologico entro il quale il commerciante è abilitato ad operare “deve essere pertanto oggetto di adeguata verifica, così come la riconducibilità del rifiuto trasportato all’attività autorizzata”. Un’ulteriore controllo dovrà essere espletato nel caso in cui detta attività non sia svolta direttamente da colui che vi è abilitato.
Queste, dunque, le due condizioni in cui la ratio della deroga di cui all’art. 266 c. 5 si realizza; deroga giustificata dalla valutazione di minor pericolosità per la salute e per l’ambiente operata dal legislatore, relativamente alla quale occorre determinare con precisione i confini.

[1] Sul punto v. MAGLIA S., La gestione dei rifiuti dalla A alla Z – 350 problemi, 350 soluzioni, TuttoAmbiente Editore, 2015, pag. 19.
[2] In tal senso anche Cass. Pen. n. 272 del 8 gennaio 2015 e n. 2864 del 22 gennaio 2015.
[3] L’art. 58, comma 7-quater del D.L.vo n. 22/1997 prevedeva che “le disposizioni di cui agli articoli 11 [Catasto dei rifiuti], 12 [Catasto dei rifiuti], 15 [Trasporto dei rifiuti] e 30 [Imprese sottoposte ad iscrizione] non si applicano alle attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio”.
[4] Norma istitutiva del registro degli esercenti dei mestieri girovaghi – R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, c.d. TULPS)

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