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La corretta gestione dei reflui oleari

di Anna Flavia Fodera'

Categoria: Rifiuti

Premessa
Il presente lavoro nasce dalla volontà di applicare alcune delle conoscenze acquisite durante il conseguimento del Master in Responsabili e Consulenti Ambientali, edito da TuttoAmbiente SpA, e a seguito dell’attività di tirocinio svolto presso ARPA Sicilia Struttura Territoriale di Trapani. Nello specifico, prendendo spunto da alcuni illeciti contestati dalla ST di Trapani come organo di controllo, si è voluto approfondire il tema della gestione dei reflui quali acque di vegetazione e sanse umide, derivanti dall’attività dei frantoi oleari.
In Sicilia l’olivicultura rappresenta una delle attività agricole più diffuse e secolari dell’isola divenendo elemento integrante e caratteristico del paesaggio antico quanto di quello moderno. Secondo dati ISTAT la Sicilia con più di 160 mila ettari di superficie in produzione, si colloca al terzo posto per la produzione di olio, dopo Puglia e Calabria. Nella regione, l’olivicoltura si trova localizzata principalmente nelle province di Messina (35.000 ha), Agrigento (25.145 ha) Trapani (23.000 ha) e Palermo (22.400 ha). In particolare, volendo prendere in considerazione la sola Provincia di Trapani, la coltura dell’olivo risulta essere estremamente diffusa e di alta qualità tanto da essere tutelata da diversi marchi Dop comunitari, come “Valli Trapanesi”, “Val di Mazara” e “Valle del Belice”. Gli uliveti sono principalmente destinati alla produzione di olive da mensa e di olio extravergine, i frantoi di conseguenza, generano grandi quantitativi di sottoprodotti derivanti dal ciclo produttivo.
L’obiettivo del lavoro è quello di contribuire a fornire un quadro conoscitivo sugli aspetti tecnici e normativi per il corretto espletamento delle attività di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e sanse umide. Si è cercato inoltre di sottolineare l’importanza della corretta somministrazione di tali sottoprodotti al terreno, ovvero del loro utilizzo ai fini irrigui e fertirrigui. Inoltre, si è fatto un breve riferimento sull’utilizzo dei sottoprodotti ai fini della produzione energetica, in un’ottica di un economia circolare in cui gli scarti di produzione devono poter essere reimpiegati in sostituzione di materie prime convenzionali non rinnovabili.
Ripercorrendo l’intero ciclo di produzione è stato affrontato il tema della caratterizzazione dei reflui oleari e della loro utilità come prodotti fertirrigui; nonché quello delle migliori modalità e tecniche di utilizzo al fine di evitare eventuali effetti negativi al terreno, alle colture, alle falde acquifere e, di conseguenza, all’uomo. Infatti, l’uso agronomico delle acque di vegetazione e delle sanse umide, oltre a rispondere a criteri di razionalità in relazione alle quantità, ai tempi e alle modalità di spandimento, deve soprattutto essere conforme alle condizioni del sito destinato a riceverle, in relazione delle caratteristiche pedo-geomorfologiche, idrogeologiche ed agro-ambientali.
Per ovvie ragioni si è scelto di affrontare la tematica anche dal punto di vista normativo, essendo un argomento abbastanza complesso ed articolato che negli anni ha generato un profondo dibattito. Infine, sono stati riportati alcuni casi di smaltimento illecito in Provincia di Trapani al fine di porre in evidenza i principali problemi connessi allo smaltimento delle acque di vegetazione e delle sanse umide.

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L’attività dei frantoi oleari

 

La lavorazione delle olive è un’arte antichissima; da attività artigianale, molto spesso occasione di convivio, nel tempo è diventata una vera e propria attività in cui la tecnologia, specialmente negli ultimi anni, ha assunto un ruolo integrante nel ciclo produttivo oleario.
In estrema sintesi, la produzione dell’olio, previa defogliazione e lavaggio delle olive, è realizzata attraverso la frantumazione delle drupe fino alla loro riduzione in pasta a partire dalla quale, mediante l’adozione di opportune tecnologie di separazione, si giunge all’estrazione dell’olio dai sottoprodotti. I sistemi adottati per l’estrazione dell’olio sono essenzialmente i seguenti: l’estrazione tradizionale a pressione, man mano sostituito dai sistemi ad estrazione continua a centrifugazione sopratutto negli oleifici con maggiori volumi di prodotto trasformato. L’elemento caratteristico di quest’ultimo sistema è il decanter che estrae olio per centrifugazione dalla pasta ben gramolata e diluita con acqua. A sua volta si distingue il sistema di estrazione “a due fasi” e “a tre fasi” in cui la differenza sta, oltre che nella modalità di separazione della sansa dalla pasta di olive, nel grado di umidità della sansa.
La progressiva sostituzione dei frantoi tradizionali a pressione con i nuovi sistemi ad estrazione centrifuga ha portato un’ottimizzazione del processo sia in termini qualitativi che quantitativi; da una capacità di lavorazione di 0,2 – 0,3 t/h per linea di lavorazione (Sciancalepore, 1998), si è passati ad oltre 4 t/h. Affinché questo sia stato possibile, è stato necessario incrementare i quantitativi d’acqua che, oltre a quella destinata al lavaggio delle olive, con il nuovo sistema sono necessari per fluidificare la pasta delle olive in fase di estrazione e agevolare la fuoriuscita dell’olio. Ciò ha determinato delle modifiche nelle caratteristiche dei sottoprodotti, le più evidenti delle quali riguardano l’incremento dell’umidità delle sanse ed una maggiore diluizione della componente solida nelle acque di vegetazione. Per questo motivo la normativa vigente in materia di utilizzazione agronomica dei sottoprodotti oleari (L. 574/96 e DM 6 Luglio 2005) prevede apporti massimi diversificati a seconda del metodo di estrazione adottato. Ad esempio, per le acque di vegetazione l’acqua di costituzione delle olive ammonta al 40-50% in peso della drupa, l’acqua di lavaggio corrisponde a circa il 5% del peso delle olive lavorate, mentre l’acqua di lavaggio degli impianti rappresenta il 5-10%. Pertanto le acque di vegetazione prodotte nel processo di estrazione tradizionale corrispondono al 50-65% del peso delle drupe lavorate; nel processo continuo a tre fasi si deve considerare anche l’acqua necessaria a fluidificare la pasta di olive in fase di estrazione per agevolare la fuoriuscita dell’olio; di conseguenza la produzione delle acque reflue aumenta fino al 90-120%.
Di seguito si riporta uno schema di flusso relativo al processo produttivo mettendo in evidenza come a parità di olive cambiano i quantitativi di olio e dei sottoprodotti in relazione al sistema di estrazione adottato.
Dall’attività dei frantoi oleari, come in tutte le lavorazioni artigianali ed industriali, oltre alla produzione dell’elemento primario, l’olio nel nostro caso, si ha la produzione di residui di lavorazione che non rispondono alla definizione di rifiuto in quanto sostanze che possono essere reimpiegate in un’altra attività. Nel caso specifico, si tratta di reflui liquidi e solidi: rispettivamente, acque di vegetazione e sansa umida, disponibili generalmente in un arco di tempo che va da metà ottobre ad aprile. La differenza principale tra questi effluenti è rappresentata dal contenuto in acqua e dalla presenza di componenti lignocellulosici.
Il principale sottoprodotto della lavorazione delle olive è dato dalle acque di vegetazione, le quali provengono dalle acque di lavaggio delle olive e degli impianti, oltre che dalla frazione acquosa dei succhi della drupa. Esse sono costituite da un liquido caratterizzato da un tipico odore che ricorda quello della drupa da cui derivano. La composizione chimico-fisica risulta variabile in quanto dipende dalla tecnologia estrattiva (pressatura o per centrifugazione), dal grado di maturazione delle olive, dalle condizioni di stoccaggio. Tali reflui, sostanzialmente privi di sostanze pericolose (agenti patogeni, metalli pesanti, virus, ect.,), contengono numerosi composti organici tra cui zuccheri, polifenoli, lipidi, sostanze azotate, minerali come potassio, fosforo, calcio, ecc., acidi organici che, come l’acido magico e citrico, conferiscono al refluo un pH acido.
Le acque di vegetazione per molto tempo sono state considerate un refluo fra i più inquinanti a causa dell’elevato carico organico; queste infatti sono caratterizzate da valori di COD (domanda chimica di ossigeno) e BOD5 (domanda biologica di ossigeno) molto alti (Feria, 2000; Borja, 1997). Inoltre, sono caratterizzate da bassa biodegradabilità a causa della presenza dei polifenoli, di cui è nota l’azione antimicrobica in grado di rallentare i processi di trasformazione e di biodegradazione del refluo. È importante tener presente che a seguito dello stoccaggio effettuato in apposite vasche prima dello smaltimento, la concentrazione di alcuni composti organici, facilmente fermentescibili, diminuisce per l’azione dei microrganismi aerobi ed anaerobi, il pH aumenta, mentre il BOD5 tende a diminuire, così come la quantità dei solidi sospesi che tende a sedimentare.
A seguire in tabella 1 vengono riportate le caratteristiche chimico-fisiche delle acque di vegetazione provenienti da impianti tradizionali ed a estrazione continua (Tomati, 2011).
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Tabella 1: Caratteristiche chimico-fisiche delle acque di vegetazione nei due processi estrattivi (Da Tomati, 2001).
Dalla lavorazione delle olive in aggiunta alle acque di vegetazione si ottiene un altro sottoprodotto: la sansa vergine di consistenza più o meno solida, costituita da frammenti legnosi del nocciolo (30- 40%) e dalla polpa (30-60%) oltre che da un’alta percentuale di olio. Si distingue la sansa vergine, proveniente da impianti a pressione e da impianti centrifughi a tre fasi, dalla sansa umida, proveniente dai sistemi centrifughi a due fasi (Amirante, et al., 1993). La sansa vergine normalmente viene venduta dai frantoi ai sansifici dove viene sottoposta ad un processo chimico con solvente (esano) da cui si ottiene olio di sansa, successivamente raffinato per essere utilizzato ai fini alimentari in miscela con olio vergine d’oliva (Ministero delle politiche agricole, 2001). Dall’estrazione dell’olio di sansa, come sottoprodotto, si ottiene la sansa esausta che viene usata come combustibile.Nella tabella 2 a seguire si riportano le caratteristiche delle sanse in funzione del tipo di estrazione (CNR-MURST, 2004).
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Tabella 2: Caratteristiche della sansa umida in un impianto ad estrazione centrifuga e tradizionale (Da CNR-MURST, 2004).

Rifiuto, sottoprodotto, biomassa

 

Inizialmente tali scarti di produzione vennero identificati come rifiuti ma, nel corso degli anni, in seguito al diffondersi del principio della sostenibilità ambientale, si è assistito ad un’evoluzione anche normativa. Questi, infatti, non sono stati più visti come sostanza od oggetto di cui il produttore o detentore si disfa, abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsene (art. 183, D.Lgs 152/2006), ma bensì come sottoprodotti da cui trarne qualcos’altro; nel caso dei reflui oleari: pellet per stufe, fertilizzante per terreni agricoli, alimento zootecnico e/o acqua pulita per i lavaggi.
Per sottoprodotto dunque si intende la sostanza od oggetto originato da un processo produttivo, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto (art. 184-bis, D.lgs 152/2006). Per attribuire ad una determinata sostanza od oggetto la definizione di sottoprodotto e non di rifiuto, possono essere adottati dei criteri qualitativi o quantitativi in riferimento al Decreto del Ministro dell’ambiente n. 264 del 13 ottobre 2016 “Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti”.
Identificare uno scarto di produzione come sottoprodotto, oltre che essere normato da una normativa speciale, rende la sua gestione più semplice in quanto la nozione di rifiuto comporta al produttore o al detentore una serie di obblighi per la corretta gestione. Egli, infatti, è tenuto ad affidare il rifiuto solo a soggetti (trasportatore, gestore dell’impianto di destinazione, commercianti senza detenzione di rifiuti, intermediari di servizio di smaltimento) autorizzati alla gestione di quel determinato rifiuto, principalmente al recupero e solo in via residuale allo smaltimento. Ogni produttore del rifiuto, infatti, prima ancora di effettuare qualsiasi movimentazione dello stesso, dovrà attribuire al rifiuto il codice corretto relativo all’attività produttiva e alle caratteristiche chimico-fisiche. Il codice CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti) permetterà di identificare e di classificare il rifiuto. Sulla base di ciò, oltre a scegliere un trasportatore abilitato a trasportare quel determinato rifiuto (iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali) con un determinato veicolo anch’esso debitamente autorizzato, dovrà rispettare una serie di adempimenti che cambiano in funzione della classificazione del rifiuto (formulari identificativi, registri di carico e scarico, MUD). L’errata codifica del codice CER può comportare l’affidamento del rifiuto a soggetti privi di titoli abilitativi richiesti esponendo il produttore o detentore alle sanzioni previste per aver favorito lo svolgimento di un’attività di gestione di rifiuti non autorizzata (art. 256, D.Lgs 152/2006).

Particolare attenzione dovrebbe essere posta all’utilizzo delle sanse e delle acque di vegetazione a scopi energetici che, oltre ad essere una possibilità di abbattimento dei costi, potrebbe essere una fonte di reddito. Si tratterrebbe di un sistema produttivo e di consumo incentrato sulla “bioeconomia”, un’economia basata sull’utilizzazione sostenibile di risorse naturali rinnovabili e sulla loro trasformazione secondo criteri di “circolarità”. L’obiettivo è quello dunque di incentivare la nascita di attività in cui vi sia la compartecipazione di una pluralità di attori di filiera, ciascuno con un preciso compito da svolgere, in grado di gestire i differenti prodotti e relative fasi: residui colturali di campo, scarti del processo di lavorazione, stoccaggio e vendita. In questo modo sul territorio si innescherebbero una serie di rapporti che creerebbero un indotto socio-economico, alleggerendo gli oneri dovuti allo smaltimento dei residui (Prof.Massimo Monteleone, docente presso l’Università di Foggia). In questa direzione, l’Associazione Interregionale Produttori Olivicoli (AIPO) insieme ad altri istituti di ricerca universitari ha intrapreso un’attività di ricerca e sviluppo al fine di migliorare la qualità nella gestione dell’oliveto e nella produzione di olio d’oliva rendendo eco compatibili e sfruttabili i suoi sottoprodotti.

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Utilizzazione agronomica dei reflui oleari

 

Come si evince, gli impieghi dei sottoprodotti del processo oleario sono molteplici; tra i più significativi, ed ad oggi molto praticati, vi è l’utilizzazione agronomica ovvero l’applicazione al terreno delle acque di vegetazione e delle sanse umide per il loro utilizzo irriguo o fertiriguo, finalizzati all’utilizzo delle sostanze nutritive e ammendanti nei medesimi contenute.
Dopo numerosi decreti, l’uso agronomico delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari è stato normato ex novo dalla Legge 11 novembre 1996 n. 574 e dal Decreto Ministeriale del 6 luglio 2005 che stabilisce i criteri e le norme tecniche generali per l’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide.
L’utilizzo agronomico è stato favorito dalla presa di coscienza della perdita di sostanza organica nei suoli, problema ricorrente in Italia specialmente nelle regioni meridionali dove la sostanza organica si decompone più rapidamente. Tale impoverimento può provocare profondi cambiamenti delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche dei terreni, con conseguenti fenomeni degenerativi di cui l’erosione e la perdita di fertilità sono gli aspetti più evidenti. Infatti, i sottoprodotti oleari per il loro elevato contenuto in potassio, azoto, fosforo, etc, devono essere sparsi omogeneamente sul terreno come mezzo per reintegrare la perdita di sostanza organica nei suoli.
Lo spandimento delle acque di vegetazione e delle sanse umide deve essere praticato nel rispetto di criteri generali di utilizzazione riportati nelle normative di settore e tenendo conto delle caratteristiche pedo-geomorfologiche, idrogeologiche ed agro-ambientali del sito, oltre che nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, di tutela ambientale ed urbanistiche.
In letteratura sono noti gli effetti positivi derivanti dall’applicazione delle acque di vegetazione, confermando il loro valore fertilizzante, ma non solo (Ben Rouina et al., 1999; Bonari e Ceccarini, 1991; Briccoli Dati e Lombardo, 1990; Convertini et al., 2007; Di Giovacchino e Seghetti, 1990; Fiestas Ros de Ursinos, 1977; Morisot, 1979, Rinaldi et al., 2002; Saviozzi et al., 1991). In generale, si osserva un miglioramento del sistema dei pori, nel caso specifico della macroporosità (Colucci et al., 2003; Mastrorilli et al., 2002) e, di conseguenza, delle caratteristiche idrogeologiche del terreno.
La conducibilità idraulica nei primi giorni della somministrazione è caratterizzata da bassi valori mentre dopo circa tre mesi dalla distribuzione in campo i valori aumentano (Pagliai et al., 2001). Tuttavia, nonostante risultino privi di sostanze pericolose (agenti patogeni, virus, etc.,), in virtù del ricco contenuto di composti organici ed elementi naturali, possono essere fonte d’inquinamento per il terreno, per le falde acquifere e per la salute umana.
Il problema di questi sottoprodotti è infatti il loro corretto smaltimento inteso sia in termini di quantità per unità di superficie che in tempi d’applicazione. Ad esempio, l’abbassamento dei valori del pH del terreno, in genere proporzionale alla dose somministrata, tende ad attenuarsi nel tempo fino ad annullarsi pochi mesi dopo lo spandimento (Bonari e Ceccarini, 1991; Riffaldi et al., 1992). Una dinamica analoga sembra riscontrarsi per ili BOD5 e soprattutto per il COD, i cui valori tendono a riassestarsi entro breve tempo (Saviozzi et al., 1993; Bonari, 1996).

La questione che maggiormente incide sulla compatibilità ambientale è la loro carica in polifenoli totali, da cui dipendono poteri fitotossici e antimicrobici in grado di rallentare i processi di trasformazione e di biodegradazione del refluo. Teli effetti risultano però limitati nel tempo e rilevanti solamente nel caso di trattamenti effettuati con dosi massicce; alle dosi normalmente distribuite nel terreno i polifenoli sono demoliti nel giro di pochi mesi (Saviozzi et al., 1990,1991; Riffaldi et al., 1992, Alianello, 2001). Solo in condizioni di saturazione del suolo, a seguito ad esempio di abbondanti precipitazioni, è stato riscontrato come effetto negativo la riduzione della macroporosità, determinata dall’occlusione dei vuoti ad opera della frazione lipidica in essi contenuta (Ranalli e Strazzullo, 1995). In questo caso la scelta delle dosi e del periodo di distribuzione dei reflui può contribuire ad attenuare tale inconveniente.
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Aspetti ambientali ed agronomici per la corretta utilizzazione

 

Per valutare l’impatto ambientale ed il relativo rischio derivante dall’impiego delle acque di vegetazione e delle sanse umide in agricoltura si deve tener conto delle quantità da somministrare, dei tempi, delle modalità di spandimento ma, soprattutto, delle caratteristiche ambientali del sito destinato a riceverle: regime pluviometrico, caratteristiche pedologiche, contesto idrogeologico. Di seguito si analizzeranno brevemente i principali fattori per una corretta utilizzazione:

  • Il clima esercita la sua influenza sull’utilizzazione agronomica in base al regime termico e all’andamento delle Per quanto riguarda il primo fattore, la temperatura modula la velocità delle reazioni chimiche che avvengono nel terreno e, di conseguenza, i processi di degradazione dei composti organici. Elevate temperature assicurano un più rapido ripristino delle condizioni iniziali, ovvero prima dell’apporto dei reflui oleari. Le precipitazioni determinano la lisciviazione del terreno con il trasporto in soluzione dei sali solubili dei reflui sparsi sul terreno. Ciò, oltre a determinare la perdita dei nutrienti, può diventare causa di inquinamento in falda con effetti negativi sulla salute dell’uomo. Il rischio maggiore si verifica nei periodi in cui le precipitazioni sono massicce e l’evapotraspirazione minima; il tutto ovviamente dipende anche dalle caratteristiche geologiche e idrogeologiche del mezzo in cui si verificano i fenomeni di lisciviazione (successione stratigrafica, spessori di orizzonti litologici, dimensione dei grani, dimensione dei vuoti, velocità d’infiltrazione, porosità, permeabilità, presenza e profondità della falda).
  • Il terreno è un mezzo multifase costituito da una fase solida (grani), una fase liquida (acqua) ed una fase gassosa (aria). Le caratteristiche del terreno che influenzano la sua permeabilità sono la tessitura e la struttura, da cui deriva la porosità. La tessitura o granulometria rappresenta la composizione percentuale delle sue particelle solide distinte per classi granulometriche; la struttura, invece, descrive la conformazione spaziale con cui tali particelle risultino associate fra loro. Un terreno fine risulta più compatibile con la distribuzione dei reflui rispetto ad uno granulare sabbioso, poiché in quest’ultimo la capacità d’infiltrazione è maggiore e quella di ritenzione è minima, venendosi a creare percorsi preferenziali per la percolazione dell’acqua e delle sostanze in essa presenti. Allo stesso tempo, però, bisogna prestare molta attenzione ad immettere notevoli quantità d’acqua quando si hanno terreni argillosi mal strutturati in quanto questi, in funzione della loro composizione mineralogica e della loro struttura, sono in grado di assorbire acqua passando ad uno stato liquido, molto pericoloso dal punto di vita della stabilità.
  • Altro fattore da cui dipende l’efficienza di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari è la topografia. Sono da evitare terreni con pendenza superiore al 15 % in quanto non deve crearsi assolutamente ruscellamento al fine di annullare l’assorbimento del terreno delle sostanze nutritive.
  • Lo spandimento dei sottoprodotti oleari sul terreno è anche fortemente condizionato dalle modalità di distribuzione del refluo intesa come dose, periodo, tecnica di distribuzione. Quando si programma uno spandimento è infatti fondamentale elaborare un cronoprogramma dell’attività, che descriva in modo dettagliato i volumi di acque di vegetazione interessati e gli accorgimenti tecnici necessari al fine di garantire la corretta gestione, in riferimento alla tutela della salute e dell’ambiente. I volumi d’acqua che dovranno essere sparsi omogeneamente sul terreno dovranno tener conto delle caratteristiche del terreno valutando, oltre alla permeabilità, anche il rischio di apportare al terreno eccessive quantità di elementi minerali o composti organici in grado di interferire negativamente con le normali funzionalità del suolo. Per quanto riguarda i tempi di spargimento, è fondamentale che le applicazioni siano distanziate tra di loro di un tempo necessario affinché vengano ristabilite le condizioni iniziali di permeabilità. Infatti, trattandosi di reflui in grado di ridurre la permeabilità del terreno, si dovrà considerare il lasso di tempo necessario per la degradazione del film polisaccaridico che si forma sulle pareti delle particelle riducendo il volume dei vuoti e, di conseguenza, la porosità. Inoltre, è essenziale evitare lo spandimento durante la stagione delle piogge o sui suoli saturi d’acqua o gelati. La tecnica di distribuzione da adottare deve assicurare una ripartizione omogenea dell’effluente evitando ristagni, ruscellamento ed eccessiva percolazione dell’acqua; deve tener conto dunque della natura, della morfologia del terreno e delle caratteristiche climatiche dell’area in cui ricade il sito dello spandimento.

 

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Inquadramento normativo

 

Per molto tempo la gestione delle acque di vegetazione dei frantoi oleari è stata regolata dalla Legge 10 Maggio 1976 n. 319-Legge Merli- la quale, assimilandole alle acque reflue di altra provenienza, ne proibiva lo spargimento sui terreni agrari in relazione all’elevato carico organico, decretando così l’obbligo di provvedere alla depurazione o di ricorrere allo smaltimento in discarica. Con il passare del tempo, nonostante l’avvicendarsi di normative di settore che ne disciplinavano la loro corretta gestione, la consuetudine più frequente per smaltire le acque di vegetazione è sempre stata quella di distribuirle sul terreno agricolo.
Dopo un susseguirsi di normative, si pensi per esempio alla delibera del C.I.T.A.I. 8 Maggio 1980 che assimilava le acque di vegetazione agli scarichi provenienti da insediamenti civili, la materia è stata regolamentata ex novo dalla Legge 11 novembre 1996 n. 574 recante “Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari” e dal Decreto Ministeriale delle politiche agricole e forestali del 6 luglio 2005 che stabilisce “Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari, di cui all’articolo 38, D.Lgs. 11 maggio 1999 n. 152”.
Oltre alla normativa di settore, la gestione delle acque di vegetazione per scopi agronomici è disciplinata dal D.Lgs 3 aprile 2006 n. 152 e ss.mm.ii. in cui all’articolo 74 viene riportata la definizione di utilizzazione agronomica. In coerenza con questa definizione, l’articolo 112 dello stesso decreto disciplina tale attività.
Come sopra riportato, le acque di vegetazione dei frantoi oleari sono specificatamente disciplinate dalla già citata L. 574/96 che autorizza l’utilizzo agronomico, prevedendo lo spandimento controllato sui terreni adibiti ad uso agricolo delle acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccanica delle olive che non hanno subito alcun trattamento né ricevuto alcun additivo ad eccezione delle acque per la diluizione delle paste o per il lavaggio degli impianti (art. 1, comma 1). Possono essere, altresì, utilizzate come ammendanti le sanse umide provenienti dalla lavorazione delle olive e costituite dalle acque e dalla parte fibrosa del frutto e dai frammenti del nocciolo (art. 1 comma 2).
Per l’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione è previsto un limite di accettabilità di cinquanta metri cubi per ettaro di superficie interessata nel periodo di un anno per le acque di vegetazione provenienti da frantoi a ciclo tradizionale e, di ottanta metri cubi per ettaro di superficie interessata nel periodo di un anno per le acque di vegetazione provenienti da frantoi a ciclo continuo (art. 2).
Lo spandimento delle acque di vegetazione deve essere realizzato assicurando un’idonea distribuzione ed incorporazione delle sostanze sui terreni in modo da evitare conseguenze tali da mettere in pericolo l’approvvigionamento idrico, nuocere alle risorse viventi ed al sistema ecologico. Lo spandimento deve essere realizzato in mondo tecnicamente corretto e compatibile con le condizioni di produzione nel caso di distribuzione uniforme del carico idraulico sull’intera superficie dei terreni in modo da evitare fenomeni di ruscellamento (art. 4).
E’ vietato lo spandimento e delle sanse umide in alcune categorie di terreni (art.5):

  • Nei terreni situati a distanza inferiore a trecento metri dalle aree di salvaguardia delle captazioni di acque destinate al consumo umano;
  • Nei terreni situati a distanza inferiore a duecento metri dai centri abitati;
  • Nei terreni investiti da colture orticole in atto;
  • Nei terreni i cui siano localizzate falde che possono venire a contatto con le acque di percolazione del suolo e comunque nei terreni in cui siano localizzate falde ad una profondità inferiore ai dieci metri ;
  • Nei terreni gelati, innevati, saturi d’acqua e inondati;

 

Ulteriori limitazioni all’utilizzo sono introdotte dal DM 6 luglio 2005 in base al quale non si può procedere allo spandimento delle acque di vegetazione e delle sanse umide, oltre che nei casi sopra elencati, anche nei seguenti luoghi:

  • A distanza inferiore a dieci metri dai corsi d’acqua misurati a partire delle sponde e dagli inghiottitoi e doline, ove non diversamente specificato dagli strumenti di pianificazione;
  • A distanza inferiore ai dieci metri dall’inizio dell’arenile per le acque marino-costiere e lacuali;
  • In terreni con pendenza superiore al 15 % privi di sistemazione idraulico-agraria;
  • Nei boschi;
  • Nei giardini e nelle aree di uso pubblico;
  • Nelle aree di cava;

 

Gli operatori che intendono avvalersi di tale pratica devono inoltrare almeno trenta giorni prima dello spandimento una comunicazione al sindaco del comune in cui sono ubicati i terreni interessati. Tale comunicazione, redatta secondo quanto riportato nell’allegato 1 del decreto, comprende una relazione tecnica conforme all’allegato 2 dello stesso, elaborata da un agronomo, perito agrario, o agrotecnico o geologo iscritto nel rispettivo albo professionale, in cui devono essere indicati: l’assetto pedogeomorfologico, le condizioni idrogeologiche e le caratteristiche in genere dell’ambiente ricevitore. Tutte le varie parti della comunicazione compresi gli elaborati, devono essere debitamente timbrati e sottoscritti dalle varie figure interessate. Inoltre, devono essere riportati i tempi di spandimento previsti, i mezzi meccanici necessari per garantire un’idonea distribuzione e la relativa mappatura.

Il sindaco competente può, con richiesta motivata, chiedere ulteriori accertamenti o disporre direttamente controlli e verifiche (art. 3). Unico caso in cui vige l’esclusione dall’obbligo di comunicazione, ai sensi dell’art. 112 (comma 3, lettera b) del D.Lgs 152/2006, è riferita ai frantoi aventi una capacità di lavorazione effettiva uguale o inferiore a 2 tonnellate nelle otto ore. Tale condizione dovrà risultare da apposita documentazione.
I contenuti della comunicazione devono essere conformi a quanto riportato nell’allegato 1 del DM 6 luglio 2005, mentre la relazione tecnica, compresa nella comunicazione da inoltrare al sindaco, deve riportare le informazioni di cui all’allegato 2 dello stesso DM. Inoltre, il DM prevede che per gli spandimenti successivi al primo può essere eseguita una comunicazione “semplificata” contenente sempre le informazioni relative ai dati del legale rappresentante e i dati e le caratteristiche del frantoio (all. 1 lett. B, DM 6 luglio 2005), dati relativi al sito di spandimento (all. 1 lett. C, DM 6 luglio 2005). Le informazioni riguardanti i dati e le caratteristiche dei contenitori di stoccaggio (all. 1 lett. D, DM 6 luglio 2005) devono essere, invece, comunicate solo in caso di una loro variazione (art. 3, DM 6 luglio 2005).
A tal riguardo, lo stoccaggio delle acque di vegetazione deve essere effettuato per un termine non superiore a trenta giorni in silos, cisterne o vasche interrate o sopraelevate all’interno del frantoio o in altra località, previa comunicazione al sindaco del luogo ove ricadono (art. 6, L. 574/96). Tutte le operazioni di stoccaggio e trasporto delle acque di vegetazione e delle sanse umide destinate al riutilizzo agronomico sono disciplinate dal DM 6 luglio 2005 artt. 5 e 6 che vietano la miscelazione delle stesse con effluenti zootecnici, agroindustriali o con rifiuti di cui al D.Lgs 152/2006.
Secondo quanto riportato nella L. 574/96 e nel DM le regioni e le province autonome con propri provvedimenti possono: redigere un apposito piano di spandimento delle acque di vegetazione prevedendo anche semplificazioni per la comunicazione, stabilire ulteriori divieti di spandimento e definire gli adempimenti relativi allo stoccaggio, definire gli adempimenti relativi e allo stoccaggio e al trasporto delle acque di vegetazione e delle sanse umide. Il criterio per cui si demanda alle regioni il compito di stabilire il periodo di stoccaggio è quello di tener conto delle caratteristiche ambientali del sito dello spandimento, impedendo così gli spargimenti fino a quando perdurano le piogge e fino a quando i terreni si presentano saturi d’acqua, al fine di tutelare i corpi idrici superficiali e sotterranei.
La regione Sicilia con il Decreto del 17 gennaio 2007 D.D.G. n.61 allegato 1 e successivi decreti correttivi (ultimo DDG n. 44 del 2 febbraio 2012) recepisce la L. 574/96 approvando la “Disciplina regionale relativa all’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari”. La presente normativa definisce, ai sensi dell’art. 112 (commi 2 e 3) del D.Lgs 152/2006, i criteri e le norme tecniche per l’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide dei frantoi oleari nella Regione Sicilia (art.1) riprendendo quanto stabilito dalla Legge nazionale n. 574 del 1996 ed in osservanza al decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali del 6 luglio 2005, al fine di garantire la tutela dei corpi idrici ed il raggiungimento o il mantenimento dei relativi obiettivi di qualità.
Il Decreto, così come previsto dalla normativa nazionale, dispone ulteriori adempimenti e divieti come segue:

  • Fermo restando quanto previsto dalla normativa nazionale dove annualmente, almeno trenta giorni prima dall’inizio dello spandimento, la comunicazione viene inoltrata al sindaco del comune in cui ricade il terreno destinato all’attività; copia della comunicazione deve essere contestualmente inviata, per le attività di monitoraggio ambientale e gli altri adempimenti di competenza, anche al Dipartimento Regionale Territorio e Ambiente (in copia integrale con firme e timbri in originale) per il tramite della Commissione provinciale per la tutela dell’ambiente e la lotta contro l’inquinamento competente per territorio (art. 4, comma 3).

 

  • Per quanto riguarda i divieti la normativa regionale è più restrittiva in quanto la distanza dei siti in cui può avvenire lo spandimento dai corsi d’acqua, dagli inghiottitoi e dalle doline non deve essere inferiore ai trenta metri, ove non diversamente specificato dagli strumenti di pianificazione (contro i 10 m). Anche la distanza prevista dall’inizio dell’arenile per le acque marino costiere e lagunari è più restrittiva; essa infatti non deve essere inferiore ai 150 metri (contro ai 10 m). Ulteriore divieto riportato dal D.D.G. si riferisce alla distanza dal limite autorizzativo (identificato con recinzione) degli invasi naturali e artificiali, la quale non deve essere inferiore ai 120 m (art.5, comma 2).
  • Infine, ma non per importanza, la normativa regionale sancisce che è vietato lo spandimento di acque di vegetazione e di sanse umide nelle aree in cui è previsto il divieto in base a strumenti di pianificazione territoriale, di bacino, o piani di tutela regionale (art. 5, comma 3). A tal riguardo, il Decreto Assessoriale del 30 marzo 2007 – Assessorato regionale Territorio e Ambiente, pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 20 del 27 aprile 2007, emana le Prime disposizioni d’urgenza relative alle modalità di svolgimento della valutazione di incidenza ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. 12 marzo 2003 n. 120, in sostituzione del DPR n. 357/1997. Il decreto disciplina che qualora un piano/progetto/intervento interessi pSIC, SIC, ZSC, ZPS ricadenti, interamente od in parte, in un’area naturale protetta, come definita dalla legge regionale 6 agosto 1991, n. 98 e successive modifiche ed integrazioni, la valutazione d’incidenza è effettuata previo parere dell’ente di gestione dell’area stessa.

 

  • Riguardo al termine di stoccaggio non superiore a trenta giorni delle acque di vegetazione previa comunicazione al sindaco, la normativa regionale aggiunge che al fine di consentire l’ottimale uso irriguo e nutrizionale ai fini agronomici delle acque di vegetazione, le operazioni di deposito e spandimento possono protrarsi, per frantoi che si dotano di adeguate attrezzature di stoccaggio e gestione, per un periodo non superiore a undici mesi e comunque non oltre il 30 settembre di ogni anno. In caso di superamento del limite di trenta giorni, la relazione tecnica dovrà prevedere una sezione con un cronoprogramma sulle modalità di spandimento, che descriva in modo dettagliato i volumi di acque di vegetazione interessati e gli accorgimenti tecnici utilizzati per garantire la corretta gestione (art. 6, comma 1).

 

  • Nel dimensionamento delle strutture di stoccaggio si dovrà tener conto, in funzione delle condizioni climatiche, pedologiche, agronomiche locali e comunali di (art. 6, comma 3):
  1. Volume delle acque di vegetazione comprensivo delle acque di lavaggio delle olive, qualora non smaltite in fognatura o corpo idrico superficiale, autorizzate ai sensi del D.Lgs 152/2006 e ss.mm.ii., prodotte in sette giorni sulla base delle potenzialità effettiva di lavorazione del frantoio nelle otto ore;
  2. Apporti delle precipitazioni, che possono incrementare il volume delle acque se non si dispone di coperture adeguate;
  3. Franco di sicurezza di almeno dieci centimetri. Il franco deve essere sempre libero dalle acque di vegetazione.
  • Il fondo e le pareti dei contenitori di stoccaggio delle acque di vegetazione e delle sanse umide devono essere impermeabilizzati con materiale naturale o artificiale (K > 1*10 -7 cm/s) . Per garantire un adeguato controllo durante la movimentazione, le acque di vegetazione e le sanse umide devono essere accompagnate da apposito documento di identificazione, conservato per almeno due anni, al fine di essere disponibile per accertamenti svolti dalle autorità di controllo.

 

  • Così come disciplinato dalla normativa nazionale L. 574/96 anche il Decreto Assessoriale della Regione Sicilia n.61 ss.mm.ii art.8 regolamenta: lo spandimento delle acque e delle sanse umide che deve essere realizzato assicurando una idonea distribuzione ed assimilazione delle sostanze distribuite sui terreni, in modo da evitare conseguenze tali da mettere in pericolo l’approvvigionamento idrico, nuocere alle risorse viventi ed al sistema ecologico. Lo spandimento delle acque di vegetazione si intende realizzato in modo tecnicamente corretto e compatibile con le condizioni di produzione nel caso di distribuzione uniforme del carico idraulico sull’intera superficie dei terreni, in modo da evitare fenomeni di ruscellamento.

 

  • L’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione mediante spandimento è consentita nel rispetto dei limiti di accettabilità annui previsti dall’art. 2 della L. 574/96 e dall’art. 4 comma 3 del Decreto Legislativo 6 luglio 2005, ovvero:
  1. 50 m3/ettaro/anno per le acque di vegetazione provenienti da impianti a ciclo tradizionale;
  2. 80 m3/ettaro/anno per le acque di vegetazione provenienti da impianti a ciclo continuo;
  3. 50 m3/ettaro/anno per le acque di vegetazione provenienti da impianti di tipo misto (tradizionali e continui), se le acque di vegetazione non sono gestite separatamente ma sono miscelate.

 

La normativa regionale disciplina anche i limiti di accettabilità annui per le sanse umide:

  1. 10 m3/ettaro/anno, se prodotte da impianti a ciclo tradizionale;
  2. 15 m3/ettaro/anno, se prodotte da impianti a ciclo continuo.

 

Lo spandimento delle sanse umide deve essere eseguito, nell’arco temporale di 48 ore, da adeguato interramento attraverso lavorazioni agro-meccaniche.

L’inosservanza delle norme stabilite dalla disciplina regionale è soggetta, a seconda della gravità della violazione, alle sanzioni di cui all’art. 8 della L. 574/96 e all’art. 137, comma 14, D.Lgs 152/2006 e successive modifiche ed integrazioni.
Per l’accertamento delle violazioni previste sono competenti Comune, Provincia regionale e ARPA. All’irrogazione delle relative sanzioni provvede la Provincia regionale. Il sindaco, in caso di mancato rispetto dei criteri e delle norme tecniche previste dalla normativa regionale, e visto l’art.8, comma 1, del DM 6 luglio 2005, adotta i necessari provvedimenti per sospendere o limitare lo spandimento delle acque di vegetazione e/o delle sanse umide.
L’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente procede, secondo quanto previsto all’art. 9 comma 1 della legge 574/96, e secondo un piano concordato con il Dipartimento Regionale Territorio e Ambiente, alla verifica periodica delle operazioni di spandimento a fini di tutela ambientale. L’Agenzia fornisce inoltre il supporto tecnico previsto dall’art. 7, comma 1 del decreto 6 luglio 2005, al fine di contribuire al corretto espletamento delle attività di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide.

Casi di smaltimento illecito

 

Come premesso, i casi studio presi in esame si collocano entrambi all’interno del territorio della provincia di Trapani in cui la produzione di olio d’oliva conta più di 23 mila ettari di superficie in produzione.
Tra gli illeciti più frequenti vi è lo sversamento puntuale sul terreno, in tombini, pozzi, fiumi e cave dismesse, fino ad operare in assenza di autorizzazione. Di seguito vengono riportati due casi-studio emblematici di gestione illecita di utilizzazione agronomica dei reflui oleari contestati dal personale dell’ARPA Sicilia ST Trapani congiuntamente all’Autorità Giudiziaria competente dei comuni, ricadenti in Provincia di Trapani, in cui sono ubicati i siti di spandimento. Chi scrive, in qualità di tirocinante presso la ST Trapani, ha partecipato ai sopralluoghi prendendo così atto della diffusa scorretta gestione dello smaltimento dei reflui oleari. Da questa consapevolezza si è preso spunto per redigere il presente elaborato il cui obiettivo principale è fornire ai soggetti coinvolti nella filiera olearia un supporto tecnico e normativo per il corretto espletamento delle attività di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e sanse umide.

Caso 1:

 

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Figura 1: Panoramica del sito dello sversamento.

 

A seguito di segnalazione di un presunto caso di inquinamento ambientale, i tecnici dell’Arpa ST Trapani ed il personale della Polizia Municipale del comune in cui ricadeva il sito hanno accertato la realizzazione di 19 vasche su una vasta area di terreno. Le vasche, di circa 25 m2 ciascuna e profonde circa 1 m, sono scavate nel terreno e si sviluppano per una lunghezza di circa 200 m (Figura 1). All’ interno di alcune di queste è stata constata la presenza di un liquido di colore scuro, presumibilmente acque di vegetazione, mentre in altre è stato rinvenuto un residuo semi-solido anch’esso di colorazione scura-verdastra.

Al fine di accertare la natura del liquido presente nelle vasche, il personale ARPA ha proceduto ad effettuare appositi campionamenti prelevando sia campioni liquidi che solidi da caratterizzare (Figure 2-3).

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Figura 2-3: Campioni liquidi e solidi da caratterizzare.

 

Inoltre, al fine di caratterizzare il sito oggetto di sversamento, è stato prelevato un campione di suolo “bianco”distante dalle vasche.

Successivamente, sono stati individuati i soggetti coinvolti che risultano il titolare dell’oleificio ed il proprietario del terreno, i quali hanno dichiarato che le vasche sono state realizzate per contenere una parte delle acque di vegetazione prodotte dall’oleificio al fine di fronteggiare un’emergenza dovuta ad una notevole produzione di acque di vegetazione nella campagna olearia 2017.

Inoltre, gli stessi hanno dichiarato che i reflui sarebbero stati utilizzati successivamente ad uso agronomico.

Per quanto dichiarato dai due responsabili, e in funzione delle ricerche effettuate preliminarmente, i verbalizzanti hanno potuto constatare che il sito oggetto di sopralluogo non risultava autorizzato allo spandimento ad uso agronomico dei reflui oleari.

In funzione di quanto sopra descritto, l’illecito è stato sanzionato penalmente con l’art. 137 comma 14 parte terza del D.L.gs 152/2006 ss.mm.ii., per aver utilizzato le acque di vegetazione al di fuori di quanto previsto dalla L. 574/96. Inoltre, è stato violato l’art.8 del Decreto Ministeriale delle politiche agricole e forestali del 6 luglio 2005 ed ancora l’art. 8 del Decreto del 17 Gennaio 2007 D.D.G. n.61 allegato 1 e successivi decreti correttivi.

Su disposizione della Procura della Repubblica l’area interessata allo smaltimento illecito delle acque di vegetazione è stata posta sotto sequestro e l’illecito è stato sanzionato con l’art. 256 D.L.gs 152/2006 “Attività di gestione di rifiuti non autorizzata”.

Caso 2:

A seguito di richiesta urgente per uno “scarico di acque di vegetazione” presso un sito ricadente in zona SIC (Sito di Importanza Comunitaria) i tecnici dell’Arpa ST Trapani ed il personale del Distaccamento Forestale di competenza si sono lì recati dopo aver convocato il titolare dell’oleificio e hanno preso visione della relativa documentazione tecnica fornita dal responsabile dei Servizi tecnici del comune. Dagli atti si evince che, in funzione delle relative normative, è stata eseguita la comunicazione preventiva al comune. Si è così giunti sul luogo oggetto di sversamento (Figura 4), di proprietà di un altro soggetto, il quale ha dichiarato di aver eseguito il trasporto delle acque di vegetazione mediante trattore fornito di cisterna, giusta scrittura privata di noleggio con il titolare dell’oleificio.

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Figura 4: Panoramica del sito dello sversamento.

 

Dal sopralluogo ambientale è stato riscontrato un varco dal quale, presumibilmente, sono stati sversati i reflui oleari. Tale ipotesi è stata elabora in funzione della presenza di chiari segni di ruscellamento, come la vegetazione piegata e i residui presenti lungo un percorso preferenziale che conduce fino ad un invaso artificiale ad uso irriguo (Figura 5). All’interno di questo è stata rilevata la presenza di un residuo di colore scuro, verosimilmente residuo delle acque di vegetazione, ormai probabilmente in parte evaporate e in parte infiltrate nel sottosuolo.

Al fine di accertare la natura delle sostanze presenti sul terreno, il personale ARPA ha proceduto ad effettuare appositi campionamenti prelevando sia campioni liquidi che solidi da caratterizzare (Figura 5).

 

Inoltre, al fine di caratterizzare il sito oggetto di sversamento, è stato prelevato un campione di suolo “bianco”distante dallo sversamento.

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Figura 5: A sinistra segni di ruscellamento che giungono sino all’invaso artificiale. In alto a destra dettaglio del
fondo dell’invaso con presenza di residuo solido da caratterizzare. In basso a destra campionamento della presunta
acqua di vegetazione.

 

Da quanto acquisito sono emerse le seguenti difformità:

  • Con l’entrata in vigore del DPR 59/2013 che disciplina che disciplina l’Autorizzazione Unica Ambientale AUA e il D.L.gs 22/2016, sui procedimenti oggetto di autorizzazione, l’oleificio deve richiedere l’AUA;
  • Il terreno dove avviene lo spandimento delle acque di vegetazione per l’utilizzo agronomico è ubicato in zona SIC e fa parte della rete “Natura 2000” comprendente le zone di protezione speciale previste dalla direttiva 79/409/CEE e all’art. 1 comma 5 della L.157/1992, definite all’art. 6 del DPR N. 120/2003 dove per le zone di protezione speciale occorre l’obbligo, art. 4 e 5 del DPR, della valutazione d’incidenza.
  • I terreni risultano avere una pendenza di circa 20% e conducono al sottostante invaso artificiale. In funzione del contesto geomorfologico in base all’art. 5 del Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 6 luglio 2005 e all’art. 5 Decreto del 17 Gennaio 2007 D.D.G. n.61 allegato 1 e successivi decreti correttivi, il sito risulta non idoneo allo spandimento.
  • Le modalità di trasporto delle acque di vegetazione non sono state eseguite correttamente in quanto non in possesso di autorizzazione al trasporto in conto terzi né del soggetto produttore. Sono state violate le norme in materia di trasporto delle acque di vegetazione di cui all’art.8 del Decreto Ministeriale delle politiche agricole e forestali del 6 luglio 2005 e art. 6 del Decreto del 17 Gennaio 2007 D.D.G. n.61 allegato 1 e successivi decreti correttivi.
  • Lo spandimento avviene in difformità a quanto comunicato al Comune e con modalità difformi rispetto l’art. 4 della L. 574/1996 in quanto la distribuzione dell’ammendante non avviene in modo uniforme ma attraverso sversamento puntuale che dà luogo al ruscellamento dei reflui. Inoltre, è stato violato l’art.8 del Decreto Ministeriale delle politiche agricole e forestali del 6 luglio 2005, l’art. 8 del Decreto del 17 Gennaio 2007 D.D.G. n.61 allegato 1 e successivi decreti correttivi. L’illecito è stato sanzionato penalmente con l’art. 137 comma 14 parte terza del L.gs 152/2006 ss.mm.ii.

In base a quanto sopra descritto, il personale dell’ARPA ha chiesto la diffida dell’oleificio e che venga sospeso lo spandimento affinché venga rivista la prima comunicazione in funzione della presenza del vincolo SIC. Inoltre, è stato chiesto il ripristino dello stato dei luoghi e dell’invaso artificiale e, successivamente all’esito analitico, l’eventuale bonifica del sito art. 250 e 253 D.L.gs 152/2006.

 

 

Conclusioni

Nel presente lavoro si è scelto di affrontare il tema della gestione dei reflui derivanti dall’attività dei frantoi oleari quali: acque di vegetazione e sanse umide. Questi, in funzione del loro uso possono assumere diverse identità come rifiuto, sottoprodotto, biomassa, rispondendo dunque a normative e gestioni differenti; nello specifico, è stata approfondita la normativa e di conseguenza la loro gestione come sottoprodotti. Gli impieghi di tali scarti di produzione possono essere molteplici ma, tra i più utilizzati vi è l’utilizzazione in campo agronomico, ovvero la loro applicazione al terreno come prodotto ammendante, qualora vengano somministrati nel modo corretto.

 

Malgrado le acque di vegetazione e le sanse umide risultino prive di sostanze pericolose ed i loro effetti positivi sul terreno siano ormai ben noti e apprezzati, in virtù del loro ricco contenuto di composti organici e di polifenoli, possono rivelarsi fonte di inquinamento per i suoli, per le falde acquifere e quindi per la salute umana. Il problema è incentrato infatti proprio sul loro corretto smaltimento il quale deve essere praticato nel rispetto dei criteri generali di utilizzazione riportati nelle normative di settore e, tenendo conto delle caratteristiche pedo-geomorfologiche, idrogeologiche ed agro-ambientali del sito di spandimento, oltre che nel rispetto delle norme igenico-sanitarie, di tutela ambientale ed urbanistica.

 

Come dimostrano i due casi studio presi in considerazione, fra gli illeciti più frequenti vi è lo sversamento puntuale sul terreno, in tombini, fiumi e cave dismesse, fino ad operare in assenza di autorizzazione. In questi casi, le disposizioni sancite dalle normative di settore sull’utilizzazione agronomica dei reflui oleari, sono state disattese, non inquadrandosi come sottoprodotto utile ai fini irrigui e fertirrigui. Tali scarti sono stati così identificati come rifiuto e, come tali, sono stati soggetti alla normativa generale e dunque alla parte quarta e/o terza del D.Lgs 152/2006, relative rispettivamente ai rifiuti e agli scarichi.

 

In conclusione, dunque, si è potuto constatare come nonostante le normative di settore autorizzino e disciplinino molto dettagliatamente la gestione dei reflui oleari ai fini agronomici, la consuetudine più frequente rimane quella di smaltirli in modo illecito. Da tale consapevolezza si è preso spunto per redigere tale elaborato il cui obiettivo principale è fornire ai soggetti coinvolti nella filiera olearia un supporto tecnico e normativo per il corretto espletamento delle attività di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide. Gli obiettivi futuri dunque sono quelli di portare avanti campagne di divulgazione e sensibilizzazione degli addetti al settore sull’importanza della corretta utilizzazione in relazione alle caratteristiche pedo-geomorfologiche, idrogeologiche ed agroambientali del sito oggetto di spandimento. Inoltre, si potrebbe promuovere l’utilizzo di tali reflui in campo energetico il che si rivelerebbe oltre che una ulteriore soluzione per lo smaltimento, anche la possibilità di abbattimento dei costi dello stesso impianto produttivo.

 

 

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