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Stefano Maglia

La disciplina dell'AUA

di Leonardo Benedusi

Categoria: AUA

 
La disciplina dell'AUA
 
L’Autorizzazione Unica Ambientale (A.U.A.) trae origine dall’art. 23 del D.L. 9 febbraio 2012 n. 5 (in vigore dal 10 febbraio 2012) convertito con L. 4 aprile 2012 n. 35 (entrata in vigore il 7 aprile 2012) laddove era prevista l’emanazione di un regolamento volto a disciplinare tale nuova forma autorizzatoria finalizzata alla semplificazione degli adempimenti delle piccole e medie imprese (PMI) e degli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di AIA, “Ferme restando le disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale di cui al titolo 3-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.
 
L’obiettivo del legislatore era quello di introdurre una nuova autorizzazione rilasciata da un unico ente in sostituzione di “ogni atto di comunicazione, notifica ed autorizzazione previsto dalla legislazione vigente in materia ambientale” e, per quanto attiene il procedimento di AUA, ma avrebbe dovuto essere “improntato al principio di proporzionalità degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell’impresa e al settore di attività, nonché all’esigenza di tutela degli interessi pubblici”.
Così, seppur con un ritardo di circa nove mesi rispetto ai tempi prefissati (10 agosto 2012), il 29 maggio 2013, è stato pubblicato il D.P.R. 13 marzo 2013 n. 59, entrato in vigore il 13 giugno 2013 e riguardante non solo l’AUA, ma anche la parte quinta del D.L.vo n. 152/06.
 

Le origini dell’A.U.A. nel processo di semplificazione procedurale

 
L’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) nasce sulla scia di un processo di semplificazione amministrativa iniziato con il D.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 “Regolamento per la semplificazione e il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’art. 38, co. 3 del D.L. 25 giugno 2008. n. 112, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133”. Tale decreto è importante anche ai fini dell’AUA, in quanto tale autorizzazione per definizione è rilasciata dal lo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP).
Il D.P.R. 160/2010 ha apportato interessanti novità in tema di SUAP, introdotto nel sistema normativo nazionale dal D.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447.
 
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Quest’ultimo decreto, rimasto in vigore fino al 2010 quando venne abrogato dal D.P.R. 160/2010, rappresentò una vera e propria rivoluzione per quanto attiene i rapporti tra i richiedenti privati e la Pubblica Amministrazione. Esso aveva ad oggetto “la localizzazione degli impianti produttivi di beni e servizi, la loro realizzazione, ristrutturazione, ampliamento, cessazione, riattivazione e riconversione dell’attività produttiva, nonché l’esecuzione di opere interne ai fabbricati adibiti ad uso di impresa” e si applicava a “attività di produzione di beni e servizi, ivi incluse le attività agricole, commerciali e artigiane, le attività turistiche ed alberghiere, i servizi resi dalle banche e dagli intermediari finanziari, i servizi di telecomunicazioni”, con l’obiettivo di semplificare e, soprattutto, di unificare le procedure abilitative.
 
A tal fine i Comuni, anche in forma associata, avrebbero dovuto individuare una struttura unica in grado di fornire agli utenti adeguate informazioni e pareri preliminari. Detta struttura, denominata Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP) era, ed è tutt’ora anche con il D.P.R. 160/2010, l’unico ufficio al quale i richiedenti devono rivolgersi per ottenere le autorizzazioni del caso.
Con la nascita del SUAP, il richiedente non deve più rivolgersi direttamente e in modo disgiunto a tutte le Amministrazioni coinvolte settorialmente, bensì è compito del SUAP coinvolgere quelle interessate. Pertanto il SUAP ha iniziato a fornire un’unica risposta, il “provvedimento conclusivo del procedimento”, che costituisce “titolo unico per la realizzazione dell’intervento richiesto” (art. 4 del D.P.R. 447/1998).
 
Come detto innanzi, il D.P.R. 160/2010 ha abrogato il D.P.R. 447/1998, modificandone e innovandone alcuni aspetti.
Ovviamente il D.P.R. 160/2010 riconosce la centralità del SUAP, definito come “l’unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva, che fornisce una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni, comunque coinvolte nel procedimento”.
 
Il SUAP costituisce l’unico “soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l’esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi, e quelli relativi alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, nonché cessazione o riattivazione delle suddette attività”, ivi compresi quelli di cui al D.L.vo n. 59/2010 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno).
Pertanto le domande, le dichiarazioni, le segnalazioni e le comunicazioni concernenti le attività rientranti nel campo di applicazione del D.P.R. 160/2010 ed i relativi elaborati tecnici ed allegati sono presentati al SUAP, non più in modo cartaceo, ma con modalità più in linea con i tempi, ossia “esclusivamente in modalità telematica”, fissando anche specifiche modalità uniformanti.
 
Il D.P.R. 160/2010 non si applica a tutte le categorie di attività, in quanto il co. 4 dell’art. 2 esclude “gli impianti e le infrastrutture energetiche, le attività connesse all’impiego di sorgenti di radiazioni ionizzanti e di materie radioattive, gli impianti nucleari e di smaltimento di rifiuti radioattivi, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, nonché le infrastrutture strategiche e gli insediamenti produttivi” di cui agli artt. 161 e seguenti del D.L.vo n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE).
Quindi l’esclusione, oltre a riguardare opere pubbliche e impianti poco diffusi, si estende a tutti gli impianti energetici, compresi quelli alimentati da fonti rinnovabili.
 
Con il D.P.R. 160/2010, la centralità del SUAP è ribadita e sottolineata nell’art. 4, laddove viene ricordato che il SUAP “assicura al richiedente una risposta telematica unica e tempestiva in luogo degli altri uffici comunali e di tutte le amministrazioni pubbliche comunque coinvolte nel procedimento”, con la precisazione che in queste sono “comprese quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità”.
Tutti i soggetti pubblici interessati dal procedimento devono necessariamente rapportarsi con il richiedente attraverso il SUAP, “non possono trasmettere al richiedente atti autorizzatori, nulla osta, pareri o atti di consenso, anche a contenuto negativo, comunque denominati e sono tenute a trasmettere immediatamente al SUAP tutte le denunce, le domande, gli atti e la documentazione ad esse eventualmente presentati, dandone comunicazione al richiedente”; ciò significa anche che i tempi istruttori vanno computati a far data dalla presentazione al SUAP delle istanze complete.
 
Il processo di istituzione del SUAP non è stato rapido, tant’è che a distanza di dodici anni dal D.P.R. 447/1998 il legislatore ha previsto che al momento della scadenza del termine di cui all’art. 12, co. 1, lettera a) (ossia al 30 marzo 2011), il Comune che non avesse istituito il SUAP, o qualora questo non possedesse i requisiti previsti, l’esercizio delle relative funzioni sarebbe stato delegato automaticamente, ossia anche in assenza di provvedimenti espressi, alla Camera di Commercio territorialmente competente, che deve assicurare la partecipazione dell’ANCI alla gestione del portale, sulla base della convenzione quadro tra Unioncamere e ANCI.
 
Proceduralmente il D.P.R. 160/2010 prevede due differenti modalità:
– un procedimento automatizzato in caso di segnalazioni certificate di inizio attività (SCIA), previste dall’art. 19 della L. 241/1990 come sostituito dall’art. 49, co. 4-bis, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010 n. 122;
– un procedimento ordinario.
Nel caso del procedimento automatizzato (art. 5 del D.P.R. 160/2010) la SCIA è presentata al SUAP, che, con modalità telematica ne verifica la completezza; se tutta la documentazione prodotta soddisfa i requisiti richiesti, il SUAP rilascia automaticamente la ricevuta e invia la SCIA alle amministrazioni ed agli uffici competenti, ed il richiedente può avviare l’intervento.
Nel caso di procedura ordinaria, comportante una risposta espressa, l’iter è più articolato ed è regolamentato dall’art. 7 del D.P.R. 160/2010.
 
Naturalmente l’istanza deve essere presentata al SUAP il quale può chiedere “integrazioni” finalizzate al completamento della domanda entro 30 giorni, salvi termini più brevi stabiliti dalle Regioni. Decorsi tali 30 giorni l’istanza si intende correttamente presentata, dopodiché il SUAP deve adotta il provvedimento conclusivo entro 30 giorni (anche in tal caso, salvi termini più brevi indicati dalle Regioni) dalla verifica di completezza, quindi al più entro 60 giorni dalla presentazione della domanda, ovvero indice apposita conferenza dei servizi qualora sia necessario acquisire intese, nulla osta, concerti o assensi di diverse amministrazioni pubbliche.
La conferenza è indetta ai sensi e per gli effetti previsti dagli artt. da 14 a 14-quinquies della L. 241/90. Va precisato che la conferenza dei servizi non è facoltativa, bensì deve essere sempre indetta nei seguenti casi:
– qualora risulti già prevista da norme settore;
– nel caso in cui i procedimenti necessari per acquisire le suddette intese, nulla osta, concerti o assensi abbiano una durata superiore a 90 giorni;
– nei casi previsti dalle discipline regionali.
 
Scaduto il termine per la conclusione del procedimento (ossia i 30+30 giorni massimi), ovvero in caso di mancato ricorso alla conferenza di servizi, si applica l’art. 38, co. 3, lettera h), del D.L. 112/08 convertito con L. 133/08.
Esso prevede che “in caso di mancato ricorso alla conferenza di servizi, scaduto il termine previsto per le altre amministrazioni per pronunciarsi sulle questioni di loro competenza, l’amministrazione procedente conclude in ogni caso il procedimento prescindendo dal loro avviso; in tal caso, salvo il caso di omessa richiesta dell’avviso, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata emissione degli avvisi medesimi”.
 
Ciò significa, o meglio dovrebbe significare, tempi certi per i richiedenti e dovrebbe consentire di individuare i responsabili di eventuali ritardi, nel senso che il responsabile del SUAP può non essere ritenuto tale solo se o ha indetto conferenza dei servizi oppure ha provveduto a richiedere il rilascio delle autorizzazioni o dei nulla osta settoriali.
Sulla scia delle semplificazioni introdotte D.P.R. 160/10, l’anno successivo venne emanato il D.P.R. 19 ottobre 2011 n. 227 che prevede agevolazioni applicabili solo alle PMI in tema di rumore e acque di scarico.
In sintesi, il D.P.R. 227/2011 all’art. 2 prevede criteri di assimilabilità alle acque reflue domestiche, applicabili solo qualora non esistano diverse disposizioni regionali.
 
Le acque assimilabili alle domestiche sono le seguenti:
– acque che prima di ogni trattamento depurativo presentano le caratteristiche qualitative e quantitative di cui alla tabella 1 dell’Allegato A al D.P.R. 227/11;
– le acque reflue provenienti da insediamenti in cui si svolgono attività di produzione di beni e prestazione di servizi i cui scarichi terminali provengono esclusivamente da servizi igienici, cucine e mense;
– le acque reflue provenienti dalle categorie di attività elencate nella tabella 2 dell’Allegato A al D.P.R. 227/2011, con le limitazioni indicate nella medesima tabella.
 
Tali acque si aggiungono a quelle già riconosciute assimilabili alle domestiche dal co. 7 dell’art. 101 del D.L.vo n. 152/2006 solo in presenza di mancanza di specifici indirizzi normativi delle Regioni in merito alla lett. e) del co. 7 dell’art. 101.
Giova ricordare che le acque assimilabili alle domestiche sono comunque soggette all’autorizzazione di cui all’art. 124 del D.L.vo n. 152/2006, in quanto i soli “scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi nell’osservanza dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato ed approvati dall’ente di governo dell’ambito” come prevede il co. 4 dell’art. 124. Pertanto, il vantaggio dell’assimilazione delle acque di cui alla lett. e) del co. 7 dell’art. 101 del D.L.vo n. 152/2006 consiste principalmente nel non dover essere, di regola, accessibili per il campionamento.
 
Sempre in tema di acque reflue, il D.P.R. 227/2011 ha previsto che il rinnovo dell’autorizzazione allo scarico possa essere richiesto anche sei mesi prima della scadenza, in deroga alla scadenza del termine fissato dal co. 8 dell’art. 124 del D.L.vo n. 152/2006, che prevede che la domanda di rinnovo debba essere presentata un anno prima della scadenza. Tale agevolazione, tuttavia, non è applicabile a tutti gli scarichi, ma solo a quelli che non contengono le sostanze pericolose di cui all’art. 108 del D.L.vo n. 152/2006 e per i quali sono rimaste immutate tutte le condizioni valutate in sede di rilascio della precedente autorizzazione (ciclo produttivo, sostanze in esso impiegate, volumi di scarico, ecc.).
 
Altrettanto rilevanti, anche ai fini dell’autorizzazione unica ambientale, sono le agevolazioni introdotte per le PMI dall’art. 4 del D.P.R. 227/2011 in tema di inquinamento acustico.
Esso prevede:
– l’esclusione dall’obbligo di presentare la documentazione di cui ai commi 2, 3 e 4 della L. 447/1995 per le attività riconosciute a bassa rumorosità ed elencate nell’Allegato B, “fatta eccezione per l’esercizio di ristoranti, pizzerie, trattorie, bar, mense, attività ricreative, agroturistiche, culturali e di spettacolo, sale da gioco, palestre, stabilimenti balneari che utilizzino impianti di diffusione sonora ovvero svolgano manifestazioni ed eventi con diffusione di musica o utilizzo di strumenti musicali”;
– che per l’esercizio di ristoranti, pizzerie, trattorie, bar, mense, attività ricreative, agroturistiche, culturali e di spettacolo, sale da gioco, palestre, stabilimenti balneari che utilizzino impianti di diffusione sonora ovvero svolgano manifestazioni ed eventi con diffusione di musica o utilizzo di strumenti musicali è obbligatorio predisporre la documentazione di previsione di impatto acustico ai sensi del co. 2 dell’art. 8 della L. 447/1995. Si noti bene che stranamente viene asserito l’obbligo di predisporla, ma non di presentarla, tant’è che l’art. 4 del D.P.R. 227/2011 ricorda che “resta ferma la facoltà di fare ricorso alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di cui all’articolo 8, co. 5, della L. 26 ottobre 1995, n. 447, ove non vengano superati i limiti di emissione di rumore di cui al co. 2” (ossia quelli della zonizzazione acustica comunale o, in assenza di essa, quelli fissati dal D.P.C.M. 14 novembre 1997);
– che per attività diverse da quelle di cui ai punti precedenti, aventi emissioni di rumore non superiori ai limiti della classificazione acustica comunale o, in mancanza, a quelli del D.P.C.M. 14 novembre 1997, la documentazione di previsione di impatto acustico ai sensi del co. 2 dell’art. 8 della L. 447/95 possa essere resa mediante dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ai sensi del co. 5 dell’art. 8 della L. 447/1995, quindi secondo le modalità stabilite dalle Regioni;
– che in tutti i casi in cui le attività comportino emissioni di rumore superiori ai limiti stabiliti dalla classificazione acustica comunale o, in assenza di essa, dal D.P.C.M. 14 novembre 1997, è obbligatoria la presentazione di cui al co. 6 dell’art. 8 della L. 447/95 finalizzata all’ottenimento del previsto nulla-osta e predisposta da un tecnico competente in acustica.
Fatta eccezione per le attività a bassa rumorosità, uno smodato ricorso all’autocertificazione può rilevarsi controproducente, comportando il rischio di effettuare dichiarazioni su ambiti sui quali occorre un riscontro strumentale per avere la certezza del rispetto del limite oppure una specifica competenza che, un semplice gestore, qualora provveda egli stesso all’autodichiarazione, generalmente non ha.
 
A pochi mesi di distanza dall’emanazione del D.P.R. 227/2011, nel 2012 vennero gettate le fondamenta per la nascita dell’autorizzazione unica ambientale (A.U.A.): l’art. 23 “Autorizzazione unica ambientale per le piccole e medie imprese” del D.L. 9 febbraio 2012 n. 5 (in vigore dal 10.2.2012) convertito con L. 4 aprile 2012 n. 35 (entrata in vigore il 7 aprile 2012) ha previsto che:
“Ferme restando le disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale di cui al titolo 3-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, al fine di semplificare le procedure e ridurre gli oneri per le PMI e per gli impianti non soggetti alle citate disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale, anche sulla base dei risultati delle attività di misurazione degli oneri amministrativi di cui all’articolo 25 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, il Governo è autorizzato ad emanare un regolamento ai sensi dell’articolo 17, co. 2, della L. 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e del Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, volto a disciplinare l’autorizzazione unica ambientale e a semplificare gli adempimenti amministrativi delle piccole e medie imprese e degli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale, in base ai seguenti principi e criteri direttivi, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 20, 20-bis e 20-ter, della L. 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni”.
 
Lo stesso art. 23 del D.L. 5/2012, ha stabilito che:
“a) l’autorizzazione sostituisce ogni atto di comunicazione, notifica ed autorizzazione previsto dalla legislazione vigente in materia ambientale;
b) l’autorizzazione unica ambientale è rilasciata da un unico ente;
c) il procedimento deve essere improntato al principio di proporzionalità degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell’impresa e al settore di attività, nonché all’esigenza di tutela degli interessi pubblici e non dovrà comportare l’introduzione di maggiori oneri a carico delle imprese”.
Il regolamento AUA avrebbe dovuto essere emanato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del D.L. 5/2012 (ossia entro il 10 agosto 2012) e successivamente alla sua emanazione, il citato art. 23 avrebbe comportato l’abrogazione delle norme dei procedimenti superati dal regolamento dell’AUA.
 
Le premesse, pertanto erano ottime: una nuova autorizzazione unica per coordinare ed unificare le autorizzazioni settoriali, una unica autorità competente e una unica procedura, a cui si sarebbe aggiunta una semplificazione normativa. Come si vedrà più avanti, però, l’attuazione degli intenti del D.L. 5/12, non ha mantenuto appieno le attese.
 

 

Campo di applicazione

 
Nonostante una esame letterale dell’art. 1 del D.P.R. 59/2013 possa indurre a ritenere che il regolamento è rivolto a:
– PMI (senza distinguere se esse siano o meno AIA);
– Impianti non AIA.
 
Va osservato che le norme in tema di AIA sono fatte salve dall’art. 23 del D.L. 5/2012, quindi si deve escludere con certezza dal campo di applicazione dell’AUA le installazioni AIA (come definite nella parte seconda del D.L.vo n. 152/2006), per cui si applica a tutti gli impianti che non rientrano nell’AIA, come peraltro tardivamente precisato nel paragrafo 1 della circolare del MATTM del 7 novembre 2013.
Purtroppo non tutto è lineare così come potrebbe sembrare, in quanto va analizzato come ci si debba comportare in presenza di impianti ed infrastrutture esclusi dall’obbligo di rivolgersi al SUAP in virtù di quanto stabilito dal co. 4 dell’art. 2 del D.P.R. 160/2010. Tenendo conto della definizione di AUA fornita dall’art. 1, il quale stabilisce che essa è “il provvedimento rilasciato dallo sportello unico per la attività produttive…”, per sillogismo si può concludere che ciò che è escluso dall’ambito di applicazione del SUAP sia a sua volta escluso dall’AUA.
 
Pertanto, in virtù delle esclusioni di cui al co. 4 dell’art. 2 del D.P.R. 160/2010, l’AUA non può applicarsi a:
– impianti e infrastrutture energetiche;
– attività connesse all’impiego di sorgenti di radiazioni ionizzanti e di materie radioattive;
– impianti nucleari e di smaltimento di rifiuti radioattivi;
– attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi;
– infrastrutture strategiche e gli insediamenti produttivi di cui agli art. 161 e seguenti del D.L.vo n. 163/2006.
 
Se si focalizza l’attenzione sul precedente punto 1, si nota che l’esclusione riguarda meramente gli “impianti energetici” e non gli stabilimenti in cui sono svolte anche attività energetiche, il che letteralmente comporterebbe che solo una parte di tali stabilimenti sia escluso dall’AUA, mentre la rimanente parte, in cui magari vengono svolte attività differenti, potrebbe rientrare nell’ambito di competenza del SUAP e, in presenza di impatti ambientali, potenzialmente soggetto ad AUA.
Per alcune materie ambientali si potrebbe pensare anche che sia possibile ottenere autorizzazioni separate, una riguardante impianti soggetti ad AUA e una – riguardante gli impianti esclusi dal SUAP – in provvedimenti di autorizzazione diversi (ad es. per gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati a fonti rinnovabili si veda il D.L.vo n. 387/2003 ed il D.L.vo n. 28/2011).
Il frazionamento non dovrebbe, però, risultare possibile in presenza di una autorizzazione ad effettuare le emissioni in atmosfera che deve essere obbligatoriamente unica per lo stabilimento, come inequivocabilmente stabilisce l’art. 269 del D.L.vo n. 152/2006, ma non è chiaro quale dovrà essere il procedimento dominante.
 
Il legislatore nel D.P.R. 59/2013 non ha quindi preso atto che vi sono altre autorizzazioni/procedure uniche oltre all’AUA, quali sono, ad esempio, quelle previste in tema di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, quella di cui all’art. 208 del D.L.vo n. 152/2006 per l’autorizzazione alla costruzione ed esercizio di impianti di smaltimento e recupero o quella di cui al co. 7 dell’art. 11 del D.L.vo n. 115/2008 riguardante impianti cogenerativi non alimentati a fonti rinnovabili.
Qualche Regione, che si ricorda non essere l’autorità competente direttamente individuata dallo Stato, ha comunque formulato specifici indirizzi in materia[1] in modo da garantire uniformità di comportamento da parte delle proprie Province.
 
Una ulteriore mancanza di chiarezza deriva dal fatto che nell’art. 2 del D.P.R. 59/2013 non vi sono specifiche definizioni né di impianto né di stabilimento, nonostante il regolamento AUA le utilizzi in più parti senza lasciare intendere le reali intenzioni del legislatore: ad esempio, nell’art. 3 è previsto che sia il gestore degli impianti a dover presentare la domanda di AUA, mentre nell’art. 2 il gestore stesso viene definito come il soggetto “che ha potere decisionale circa l’installazione o l’esercizio dello stabilimento”, facendo propria la definizione presente nella parte quinta del D.L.vo n. 152/2006.
 
Di fronte a tale situazione occorre comunque trovare una soluzione operativa che garantisca la semplificazione procedimenti amministrativi, pertanto sembra logico ritenere che, laddove il legislatore ha riportato impianti, ci si debba riferire all’intero stabilimento, costituito non solo da impianti, ma anche attività che generano impatti ambientali e che i titoli ambientali necessari vadano ricondotti alle procedure di favore previste da normative speciali (fonti rinnovabili, ecc.).
Tale proposta risulta coerente con gli artt. 268 e 269 del D.L.vo n. 152/2006 e con la definizione di cui alla lett. uu) del co. 2 dell’art. 74 del D.L.vo n. 152/2006.
 
Esplicitamente esclusi dall’AUA sono, invece, i progetti sottoposti alla procedura di VIA vera e propria di cui agli artt. da 21 a 28 del D.L.vo n. 156/2006 in quanto essa stessa è già un provvedimento che “sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l’esercizio dell’opera o dell’impianto”, in virtù di quanto stabilito dal co. 4 dell’art. 26 del D.L.vo n. 152/2006. Si ritiene, però, che i gestori di opere che hanno già ottenuto una pronuncia di VIA, debbano acquisire l’AUA alla scadenza delle autorizzazioni coordinate nella VIA stessa comunque necessarie per la prosecuzione dell’esercizio.
 
In base al co. 4 dell’art. 3 del D.P.R. 59/2013 non sono esclusi dall’AUA i progetti e gli impianti soggetti alla verifica di assoggettabilità alla VIA ai sensi dell’art. 20 del D.L.vo n. 152/2006 a condizione che la procedura di verifica li escluda dalla VIA; i gestori interessati possono richiedere l’AUA solo dopo aver esperito tale procedura.
 
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Titoli sostituiti dall’AUA

 
I titoli ambientali sostituiti dall’AUA in base all’art. 3 del D.P.R. 59/2013 sono i seguenti:
– autorizzazione agli scarichi di acque reflue (art. 124 e seguenti del D.L.vo n. 152/2006);
– comunicazione preventiva per l’utilizzo agronomico degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e delle acque reflue delle medesime aziende (art. 112 del D.L.vo n. 152/2006);
– autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti (art. 269 del D.L.vo n. 152/2006);
– autorizzazione alle emissioni in atmosfera di carattere generale per gli impianti e le attività in deroga (art. 272 del D.L.vo n. 152/2006);
– nulla osta di cui all’art. 8, commi 4 e 6, della L. 447/1995 (Legge quadro sull’inquinamento acustico), per il rilascio di concessioni edilizie relative a nuovi impianti ed infrastrutture adibiti ad attività produttive, sportive e ricreative e a postazioni di servizi commerciali polifunzionali;
– autorizzazione all’utilizzo in agricoltura dei fanghi derivanti dal processo di depurazione (art. 9 del D.L.vo n. 99/1992);
– comunicazioni in materia di autosmaltimento e recupero di rifiuti (artt. 215 e 216 del D.L.vo n. 152/1006).
Le Regioni e le Province autonome possono individuare altri atti di comunicazione, notifica ed autorizzazione in materia ambientale che possono essere ulteriormente compresi nell’AUA.
 
Il vantaggio di ricondurre tutte le autorizzazioni e gli atti di assenso sopra ricordati in un unico provvedimento è indubbiamente garantito dall’unicità della procedura abilitativa e dall’unicità della scadenza fissata in quindici anni, che, di fatto, viene a coincidere con il lasso di tempo più lungo previsto dalle norme ambientali di settore, ossia quello riferito all’autorizzazione ad effettuare le emissioni in atmosfera ex art. 269 del D.L.vo n. 152/2006.
 
Nella tabella seguente sono riportati, per i titoli ambientali sostituiti, le autorità competenti individuate dalla normativa statale di settore ed i tempi previsti per le relative istruttorie, importanti per comprende quali siano i tempi istruttori per l’ottenimento dell’AUA in funzione dei titoli necessari allo stabilimento da autorizzare ed i soggetti competenti in materia ambientale coinvolti nell’istruttoria.
 

Autorizzazione/assensoAutorità competente in base alla normativa statale di settoreTempi istruttoriDurata validità
Autorizzazione scarichiProvincia90 giorni4 anni
Autorizzazione emissioni art. 269 del D.L.vo n. 152/06Regione120 giorni (150 giorni in caso di richiesta integrazioni) per nuovi stabilimenti, trasferimenti o modifiche sostanziali8 mesi (o 10 mesi nel caso di richiesta integrazioni) per i rinnovi ex art. 281 del D.L.vo n. 152/0615 anni
Autorizzazione di carattere generale art. 272 del D.L.vo n. 152/06Regione45 giorni (termine perché acquisisca validità l’adesione all’ACG)10 anni
Comunicazione preventiva di cui all’art. 112 del D.L.vo n. 152/06Regione30 giorni di preavviso5 anni
Comunicazione o nulla osta di cui all’art. 8 commi 4 o 6 della L. 447/95Comunenon stabiliti (vedasi tempi del D.P.R. 380/01 e smi)non prevista
Comunicazione all’utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura di cui all’art. 9 del D.L.vo n. 99/92Regionenon stabiliti (vedasi, quindi, L. 241/90)5 anni
Comunicazioni in materia di rifiuti di cui agli artt. 215 e 216 del D.L.vo n. 152/06Province90 giorni di preavviso5 anni

 
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Obbligatorietà dell’AUA

 
Innanzitutto è importante osservare che l’AUA non è facoltativa, bensì è resa obbligatoria nei casi individuati dal co. 1 dell’art. 3 del D.P.R. 59/2013, quindi ogni qualvolta un gestore di un impianto sia assoggettato, ai sensi della normativa ambientale vigente, a:
– rilascio;
– formazione;
– rinnovo;
– od aggiornamento di uno dei titoli abilitativi sostituiti.
Pertanto, è necessaria la presentazione della domanda di AUA in occasione di primo rilascio, ossia in presenza di nuovi impianti, nonché in concomitanza di modifiche di impianti esistenti che comportino l’aggiornamento anche di uno solo dei titoli sostituiti, oltre che in occasione della loro scadenza.
 
In base a quanto stabilito dal co. 2 dell’art. 10 del D.P.R. 59/2013, per impianti esistenti la prima AUA non può essere richiesta a piacimento, ma solo qualora ci si trovi in presenza della scadenza di uno dei titoli sostituiti.
Tale eventualità va interpretata nel senso che se non vi sono modifiche, non è possibile chiedere l’AUA, ed ottenerne i potenziali benefici finché non sia obbligatorio rinnovare uno dei titoli sostituiti all’approssimarsi della sua scadenza.
L’obbligatorietà dell’AUA è resa evidente dal fatto che il legislatore utilizza la locuzione “i gestori… presentano” e non possono presentare, quindi il “presentano” non può che essere inteso come “devono presentare”.
In tal senso la circolare del MATTM del 7 novembre 2013 ha fornito, seppur con ritardo, una interpretazione ufficiale in merito al co. 2 dell’art. 10 del D.P.R. 59/2013, precisando che il verbo servile (“può”) ivi riportato sta ad indicare “il discrimine temporale a partire dal quale deve ritenersi vigente il nuovo regime”.
 
L’unica possibilità di non avvalersi dell’AUA si verifica qualora “si tratti di attività soggette solo a comunicazione, ovvero ad autorizzazione di carattere generale”, come prevede espressamente il co. 3 dell’art. 3.
Come va interpretata la congiunzione “ovvero”? Va intesa come “oppure” o come “o meglio”?
La ratio della norma è quella di semplificare e agevolare, per cui è sensato ritenere che le agevolazioni debbano poter essere estese al maggior numero di attività, concedendo loro la possibilità di scegliere tra AUA e procedure autorizzative settoriali semplificate al di fuori dell’AUA (sempre e comunque per il tramite del SUAP) nel caso di “impianti” che siano esclusivamente in regimi semplificati, intesi come comunicazione e/o autorizzazione di carattere generale per le emissioni in atmosfera.
Su tale aspetto la circolare del 7 novembre 2013 risulta di ostica lettura, tuttavia arriva alla medesima conclusione, riconoscendo che “quando l’attività è soggetta unicamente a più comunicazioni oppure, congiuntamente, a comunicazioni ed autorizzazioni di carattere generale, il gestore ha la facoltà, e non l’obbligo, di richiedere l’AUA”.
 
Ma il vero problema, rimasto irrisolto anche con l’emanazione della circolare del MATTM, consiste nel comprendere cosa intendesse il legislatore con i sostantivi “impianto” e “stabilimento”. Come sopra anticipato tale aspetto non è affatto marginale, soprattutto se si ricordano le definizioni fornite dalla parte quinta del D.L.vo n. 152/2006 in tema di emissioni in atmosfera, valide però solo in quel contesto, in cui l’impianto rappresenta un sottoinsieme dello stabilimento.
Tenendo conto che l’art. 3 del D.P.R. 59/2013 prevede che “i gestori degli impianti di cui all’art. 1” (ossia quelli del campo di applicazione già analizzato) presentino domanda di AUA sembrerebbe letteralmente possibile che ogni impianto presente in uno stabilimento debba entrare in possesso di AUA, tuttavia non si possono ignorare tre aspetti:
– l’art. 2 fornisce la definizione di gestore, indicandolo nella “persona fisica o giuridica che ha potere decisionale circa l’installazione o l’esercizio dello stabilimento”, e non del singolo impianto;
– il SUAP è l’unico punto di accesso per tutti gli aspetti amministrativi riguardanti l’attività produttiva di un richiedente e “fornisce una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni coinvolte nel procedimento”;
– da ultimo l’art. 269 del D.L.vo n. 152/2006, come modificato dal D.L.vo n. 128/2010, prevede che l’autorizzazione ad effettuare le emissioni in atmosfera sia unica per l’intero stabilimento: “L’autorizzazione è rilasciata con riferimento allo stabilimento. I singoli impianti e le singole attività presenti nello stabilimento non sono oggetto di distinte autorizzazioni”.
Tali elementi fanno propendere per l’ipotesi che l’AUA, rilasciata dal SUAP, debba riguardare l’intero stabilimento e non solo una sua parte.
 
Problemi interpretativi permangono, invece, nel caso di stabilimenti in cui sono presenti sia impianti riconducibili a normative speciali che non fanno riferimento al SUAP (come già detto, si tratta di quelli esclusi dall’ambito di applicazione di cui al D.P.R. 160/2010 in virtù di quanto previsto dal co. 4 dell’art. 2, di quelli soggetti all’autorizzazione ex art. 208 del D.L.vo n. 152/2006, ecc.) sia impianti rientranti nell’ambito di competenza del SUAP: si deve far completo riferimento solo alle norme speciali per tutto lo stabilimento oppure possono ottenere l’AUA per gli impianti non esclusi dal D.P.R. 160/2010?
 
Una risposta può consistere nel fatto che si debbano sicuramente ricondurre alle norme speciali le autorizzazioni ambientali settoriali previste per impianti singolarmente rientranti nell’ambito di applicazione del D.P.R. 160/2010, ma in qualche modo connessi a quelli diversamente disciplinati, mentre, dal punto di vista strettamente normativo, non è possibile trarre alcuna conclusione nel caso in cui vi sia una riconosciuta indipendenza degli impianti presenti nello stabilimento.
 
In tal caso, comunque, è innegabile che l’AUA è nata con la finalità di semplificare i procedimenti amministrativi e che gli impatti vadano esaminati con una istruttoria seria che tenga conto di tutte le pressioni generate dall’attività svolta in uno stabilimento, a prescindere dall’indipendenza o meno degli impianti ivi presenti, quindi si può ragionevolmente ritenere che, in ogni caso, eventuali procedure distinte siano almeno coordinate a livello istruttorio, anche se ciò non consente di ovviare alla impossibilità normativa di rilasciare autorizzazioni ad effettuare emissioni in atmosfera ex art. 269 del D.L.vo n. 152/2006 per singole parti di stabilimento.
 
La circolare del 13 novembre 2013, al proprio punto 3, individua la possibilità di differire l’obbligo di richiedere l’AUA nel caso in cui venga a scadere una adesione ad una autorizzazione di carattere generale; in tal caso la circolare, interpretando l’art. 7 del D.P.R. 59/2013, ritiene possibile che un gestore possa rinnovare solo l’autorizzazione di carattere generale presentando una “autonoma istanza” tramite il SUAP, anche se l’attività sia soggetta ad altri titoli abilitativi sostituiti dall’AUA.
Va osservato che l’AUA dovrà comunque essere richiesta alla scadenza di uno di questi titoli (qualora diversi da semplici comunicazioni), obbligando quindi il gestore a due adempimenti in un lasso di tempo limitato (si ricordi che l’autorizzazione allo scarico di acque reflue dura, in base al D.L.vo n. 152/2006, solo 4 anni), adempimenti che si ritiene non soddisfino l’esigenza di una semplificazione dei procedimenti amministrativi.
 

Modalità di ottenimento dell’AUA

 
L’istanza di AUA deve essere presentata in modo telematico, in base a quanto stabilito dal D.P.R. 160/2010, al SUAP competente e deve contenere:
– gli atti di notifica, comunicazione ed autorizzazione sostituiti;
– i documenti previsti dalle vigenti normative di settore riguardante i titoli sostituiti.
Una volta presentata domanda di AUA al SUAP, questo deve trasmetterla immediatamente, in modalità telematica all’autorità competente e ai soggetti competenti in materia ambientale, già coinvolti nei procedimenti sostituiti dall’AUA ed entro 30 giorni dalla presentazione della domanda, il SUAP e l’autorità competente devono verificare la completezza formale dell’istanza e della documentazione prodotta.
Trascorso invano detto periodo, in assenza di alcuna comunicazione, l’istanza si intende correttamente presentata e l’iter deve essere obbligatoriamente avviato.
 
Qualora, nei 30 giorni iniziali, vengano invece ravvisate incompletezze, l’autorità competente deve comunicarlo “tempestivamente e in modalità telematica” al SUAP evidenziando gli elementi mancanti e fissando il termine per la loro presentazione.
Si osservi che nel co. 2 dell’art. 4 del D.P.R. 59/2013 si parla di “elementi mancanti” e non di integrazioni, seppur impropriamente, poi, il decreto le chiami “integrazioni”, ma forse solo per non ripetere il medesimo sostantivo.
Il co. 3 dell’art. 4 prevede che “nel caso di richiesta documentale ai sensi del co. 2, si applica l’articolo 2, co. 7, della L. 7 agosto 1990, n. 241”[2].
Un’analisi letterale lascia intendere che se vengono individuati e chiesti elementi mancanti (ossia quelli di cui al co. 2 dell’art. 4 del D.P.R. 59/2013) in fase di verifica di correttezza formale il procedimento non possa più essere interrotto nel seguito dell’istruttoria (“i termini … possono essere sospesi per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni”), il che costituisce un problema, in quanto le integrazioni conseguono necessariamente ad una istruttoria tecnica ad opera anche dei “soggetti competenti in materia ambientale” e non solo del SUAP o dell’autorità competente, con la conseguenza che senza tali integrazioni si potrebbe prevenire a decisioni penalizzanti per i gestori in presenza di documentazione imprecisa.
 
Quale parziale deroga a quanto previsto dal co. 2 dell’art. 7 della L. 241/1990, il D.P.R. 59/2013 prevede che il gestore possa chiedere una proroga del termine dei 30 giorni per la presentazione degli “elementi mancanti” in ragione della complessità della documentazione da presentare, diversamente, qualora non sia prodotto quanto evidenziato entro il termine fissato dall’autorità competente, l’istanza viene archiviata ex lege.
 
Terminata la fase di verifica di completezza, inizia l’istruttoria vera e propria. Essa può avvenire in due modi con diverse durate: 90 giorni oppure 120 o 150 giorni (150 giorni nel caso di richiesta di integrazioni vere e proprie, ma formulata solo in sede di conferenza dei servizi). La modalità istruttoria è funzione della durata dei singoli procedimenti sostituiti fissata dalla vigente normativa ambientale come previsto ai commi 4 e 5 dell’art. 4 del D.P.R. 59/2013.
 
Ferme restando diverse disposizioni regionali previgenti per i titoli sostituiti, si ricorda che il titolo che di fatto determina la modalità istruttoria è l’autorizzazione ad effettuare le emissioni in atmosfera; se essa può essere ottenuta con l’autorizzazione di carattere generale, i suoi tempi sono inferiori ai 90 giorni, quindi i tempi massimi di rilascio dell’AUA sono di 90 giorni; se, invece, risulta necessaria l’autorizzazione ordinaria ex art. 269 del D.L.vo n. 152/2006 in quanto trattasi di nuovi stabilimenti, trasferimenti, modifiche sostanziali o rinnovi ex art. 281 del medesimo decreto, allora i tempi istruttori massimi aumentano a 120 giorni (o 150 giorni in caso di richieste integrazioni in sede di conferenza dei servizi), in virtù del fatto che gli artt. 269 e 281 del D.L.vo n. 152/2006 prevedono tempi superiori a 90 giorni.
 
Qualora tutti i titoli abilitativi sostituiti abbiano una termine fissato dalle norme di settore inferiore ai 90 giorni, il co. 4 dell’art. 4 stabilisce che l’autorità competente adotti il provvedimento entro 90 giorni dalla presentazione della domanda, durante i quali la stessa autorità deve effettuare l’istruttoria promuovendo il coordinamento dei soggetti competenti, diversamente può essere indetta l’apposita conferenza dei servizi prevista dall’art. 7 del D.P.R. 160/2010.
 
L’art. 7 del D.P.R. 160/2010 al co. 3 attribuisce al responsabile del SUAP la possibilità di indire una conferenza dei servizi ai sensi e per gli effetti previsti dagli artt. da 14 a 14-quinquies della L. 241/1990 qualora risulti necessario “acquisire intese, nulla osta, concerti o assensi di diverse amministrazioni pubbliche”.
Il fatto che l’art. 7 del D.P.R. 160/10 faccia espresso riferimento agli artt. da 14 a 14-quinquies della L. 241/1990 dovrebbe comportare che i lavori della conferenza e le sue regole siano quelli stabiliti da detti articoli.
Il co. 4 dell’art. 4 del D.P.R. 59/2013 non rende obbligatoria la conferenza dei servizi, tuttavia esistono due casi in cui si ritiene si debba provvedere alla sua indizione:
– nei casi previsti dalle norme di settore relative ai titoli sostituiti dall’AUA;
– nei casi previsti dalla L. 241/2990.
 
Per quanto riguarda il primo caso, le norme ambientali nazionali riguardanti i titoli ad oggi sostituiti dall’AUA, per i quali è fissata una durata minore od uguale a 90 giorni, non impongono la conferenza dei servizi, mentre nel secondo caso è molto probabile che il SUAP debba indirla in virtù di quanto stabilito dal co. 2 dell’art. 14 della L. 241/2990 (“La conferenza di servizi è sempre indetta quando l’amministrazione procedente deve acquisire intese concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell’amministrazione competente, della relativa richiesta”), poiché è lecito ritenere che l’autorità competente faccia fatica a rilasciare l’AUA in soli 30 giorni.
Il co. 5 dell’art. 4 del D.P.R. 59/2013 regolamenta, invece, la procedura nel caso in cui almeno uno dei titoli sostituiti dall’AUA presenti un termine di conclusione del procedimento superiore a 90 giorni.
 
Per comprendere con quali modalità debba svolgersi l’istruttoria occorre effettuare una lettura congiunta dei co. 5 e 7 dell’art. 4 del D.P.R. 59/2013:
– nei casi in cui vi siano ulteriori assensi, oltre all’AUA, da ottenere nell’ambito del più completo procedimento avviato presso il SUAP (titolo edilizio, autorizzazione paesaggistica, anticendio, ecc.) la conferenza dei servizi deve essere indetta dal SUAP ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. 160/2010 entro 30 giorni dalla ricezione della domanda;
– qualora l’unica autorizzazione da conseguire nell’ambito della procedura unica sia l’AUA stessa la conferenza dei servizi deve essere convocata dalla Provincia “ove previsto”. Il legislatore non ha spiegato cosa si debba intendere per “ove previsto”, per cui ci si limita ad osservare che, ad oggi, l’unico caso di conferenza di servizi obbligatoria prevista dalle norme di settore riguarda stabilimenti nuovi o trasferimenti che necessitano di un’autorizzazione ex art. 269 del D.L.vo n. 152/2006 e che, in ogni caso, la L. 241/1990 concede anche all’autorità competete di usufruire di tale strumento istruttorio, da considerarsi il migliore in quanto consente un confronto diretto tra tutti i soggetti coinvolti nel procedimento;
– qualora non si ricada nella casistica dell’”ove previsto” di cui al co. 7 dell’art. 4, l’istruttoria può avvenire con semplici richieste di pareri avanzate dal l’autorità competente ai soggetti competenti in materia ambientale interessati dai titoli sostituiti dall’AUA.
 
Il tempo massimo per il rilascio dell’AUA diventa quindi pari a 120 giorni oppure a 150 giorni nel caso in cui in conferenza dei servizi vengano richieste integrazioni ex co. 8 dell’art. 14-ter della L. 241/1990.
I soggetti competenti in materia ambientale possono non partecipare alla conferenza dei servizi solo nel caso in cui abbiano espresso parere favorevole, cosa che avvalora maggiormente il principio generale riguardante le modalità di espressione del dissenso contenuto nell’art. 14-quater della L. 241/1990.
Terminata l’istruttoria, l’AUA viene adottata dalla Provincia, e successivamente rilasciata dal SUAP, quindi assume validità solo una volta concluso il procedimento attivato presso il SUAP stesso, in virtù di quanto riconosciuto nella definizione di cui all’art. 2 del D.P.R. 59/2013.
 
L’AUA ha una durata di quindici anni e deve contenere tutti gli elementi previsti dalle normative di settore sostituite, comprese le prescrizioni riguardanti il monitoraggio che non devono essere eccessive, ma stabilite “tenendo conto della dimensione dell’impresa e del settore di attività”.
Decorsi inutilmente i termini per la conclusione del procedimento, il gestore può rivolgersi al soggetto di cui al co. 9-bis del co. 2 della L. 241/1990, il quale dispone della metà del tempo originariamente fissato, e soprattutto deve indicare nel proprio provvedimento il tempo previsto ex lege e quello effettivamente impiegato.
 

Rinnovo dell’AUA e modifiche

 
Nel caso di rinnovo dell’AUA, alla sua scadenza il “titolare” (altro modo usato dal legislatore per intendere il “gestore”) deve presentare, con sei mesi di anticipo, una domanda di rinnovo al SUAP, aggiornando la documentazione fornita in sede di primo rilascio. Solo qualora non sia cambiato nulla il gestore può far riferimento a quanto già depositato. I tempi e le modalità istruttorie sono quelli dell’art. 4 del D.P.R. 59/2013.
 
Nella norma sembrerebbe esservi una sorta di silenzio assenso in caso di inerzia nella concessione del rinnovo; in realtà, tale eventualità ad oggi è solo virtuale, nel senso che il co. 4 dell’art. 4 del decreto prevede che “l’esercizio dell’attività o dell’impianto può continuare sulla base della precedente autorizzazione” fatta salva diversa previsione contenuta nella specifica normativa di settore”.
Molto probabilmente le normative di settore cambieranno nei prossimi anni, ma qualora rimangano come le attuali, non sarebbe possibile proseguire in parecchi casi (in particolare, per quanto riguarda le emissioni in atmosfera, si ricordi quanto disposto dal co. 3 dell’art. 11 del D.P.R. 59/2013, mentre per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue pericolose si veda quanto previsto dal co. 8 dell’art. 124).
Il legislatore ha previsto, al co. 5 dell’art. 5, la possibilità che l’autorità competente imponga unilateralmente il rinnovo dell’AUA o la revisione delle prescrizioni quando:
– le prescrizioni impediscano o pregiudichino il conseguimento degli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dagli strumenti di pianificazione e programmazione settoriali;
– sia reso necessario da nuove disposizioni legislative nazionali o comunitarie.
 
In caso di modifiche da apportarsi all’attività o all’impianto, il gestore deve comunicare all’autorità competente le variazioni progettate. L’art. 6 del D.P.R. 59/2013 prevede che la comunicazione venga trasmessa direttamente alla Provincia (autorità competente), dimenticandosi dell’esistenza del SUAP e del suo ruolo di interfaccia tra la Pubblica Amministrazione e gestori.
In analogia con l’AIA, la procedura prevista in caso di modifiche prevede che il gestore possa realizzarle una volta trascorsi 60 giorni dalla propria comunicazione ed in mancanza di risposta dell’autorità competente. Quest’ultima, entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, può giudicare la modifica sostanziale ed ordinare al gestore di presentare istanza ex art. 4 del D.P.R. 59/2013. In caso di modifica non sostanziale, invece, la Provincia può provvedere all’aggiornamento dell’AUA già adottata.
In merito alla sostanzialità delle modifiche è indispensabile sottolineare che la definizione fornita dall’art. 2 del D.P.R. 59/2013 non aiuta molto, in quanto è strettamente legata alle definizioni presenti nelle normative di settore, a loro volta piuttosto generiche, se non addirittura assenti (vedasi ad esempio il caso delle procedure semplificate ex artt. 215 e 216 del D.L.vo n. 152/2006).
Le Regioni potrebbero definire ulteriori criteri di qualificazione delle modifiche sostanziali e individuare i casi in cui, in presenza di modifiche non sostanziali, per le quali non è necessario presentare alcuna comunicazione, ma sempre nel rispetto delle norme di settore. Anche tale potere sembra comunque limitato ad alcune matrici, in quanto la parte quinta del D.L.vo n. 152/2006 prevede che possa essere esercitato esclusivamente dal MATTM.
 

Sanzioni

 
L’aspetto più sconcertante del regolamento dell’AUA è che nel D.P.R. 59/2013 non sono previste sanzioni. L’AUA è nata non come un procedimento unico in cui semplicemente confluiscono differenti titoli ambientali, bensì come un provvedimento che “sostituisce gli atti di comunicazione, notifica ed autorizzazione in materia ambientale di cui all’articolo 3” del D.P.R. 59/2013, quindi è una nuova forma autorizzativa a tutti gli effetti e in quanto tale, non sembra corretto ritenere che per relationem si possano applicare le sanzioni, in particolare quelle penali, previste dalle norme settoriali.
L’AUA va quindi considerata come l’AIA, per la quale il legislatore ha giustamente individuato disposizioni specifiche in caso di mancato rispetto delle condizioni del titolo III-bis del D.L.vo n. 152/2006, e precisamente agli artt. 29-decies e 29-quattuordecies, indicanti rispettivamente i provvedimenti amministrativi e le sanzioni previste in caso di inottemperanza.
Tuttavia non si può neppure pensare che non vi siano conseguenze per specifiche violazioni, tant’è che la Regione Lombardia, nella propria circolare del 5 agosto 2013, nel riconoscere l’assenza di sanzioni, ha cercato di rimediare alla lacuna, prevedendo che “fino ad eventuale diversa disposizione nazionale continuano a valere le normative settoriali e si ritengono pertanto applicabili le sanzioni previste dalle norme settoriali che a vario titolo disciplinano i titoli abilitativi sostituiti dall’AUA”.
Pertanto, non resta che attendere una rettifica del D.P.R. 59/2013 ed osservare quale sarà l’orientamento della giurisprudenza.
 
21.04.2016
 
[1] Il parere di chi scrive, già esternato nella primavera del 2013 in più corsi formativi e nel volume “L’autorizzazione unica ambientale” di L. Benedusi e G. Galotto, Irnerio Editore 2013, trova conferma nella posizione assunta da alcune Regioni italiane, si vedano la circolare n. 19 del 5.8.2013 della Regione Lombardia, la circolare n. 1/AMB del 28 gennaio 2014 della Regione Piemonte e la DGR n. 1775 del 3 ottobre 2013 della Regione Veneto.
[2] Co. 7 dell’art. 2 della L. 241/1990: “Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 17, i termini di cui ai co. 2, 3, 4 e 5 del presente articolo possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell’articolo 14, co. 2”.
*Tratto da “Gestione Ambientale – Manuale operativo“, TuttoAmbiente Edizioni, 2015.

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