Top

Preveniamo rischi Risolviamo problemi Formiamo competenze

"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni
TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale
Conta su di noi"
Stefano Maglia

Le acque meteoriche di dilavamento non sono più “assimilabili” alle acque reflue industriali

di Pasquale Giampietro

Categoria: Acqua


 
Sommario:
 
1. La problematica delle acque di pioggia.
2. La nozione indiretta di “acque meteoriche di dilavamento” desunta dall’art. 74 comma 1, lett. h), del T.U. ambientale, relativo alle “acque reflue industriali”.
3. Conferme dirette dell’assunto: le acque meteoriche secondo l’art. 113.
4. Il regime sanzionatorio di cui agli artt. 133, comma 9 (illecito amministrativo) e 137, comma 9 (illecito penale) del TUA.
4.1 Sull’attuale assenza di base normativa del criterio di “assimilazione” delle acque di dilavamento, di prima pioggia e di lavaggio alle acque reflue industriali.
5. Il tema dell’assimilabilità dopo le modifiche dell’art. 74, lett. h), ex D.Lgs. n. 4/2008.
5.1 L’attuale tenore dell’art. 74, lett. h), esclude il ricorso all’assimilazione.
5.2 La Cassazione Penale (sez. III, n. 2867 del 30 ottobre 2013 – il 22 gennaio 2014) prende atto della sopravvenuta abrogazione del parametro della “assimilabilità”, superando i suoi precedenti indirizzi.
5.3… . ma poi si auto-censura con sentenza n. 2832/2015.
6. Ultimi rilievi tecnico-giuridici.
7. Conclusioni.
 
Master Gestione Rifiuti da remoto in streaming
 

1. La problematica delle acque di pioggia

 
Le acque di pioggia hanno rappresentato, nell’ambito della disciplina posta a tutela delle acque dall’inquinamento, uno degli argomenti più ardui in termini di definizione e dunque di corretta gestione. Superando non poche forzature ermeneutiche, fondate su una legislazione prima assente poi imprecisa – che, una volta, le contrapponeva ed altra le “assimilava” alle acque reflue industriali – solo alla fine del secolo scorso… (con l’art. 39, del d.lgs. n. 152/1999, sostanzialmente confermato dal successivo Testo Unico Ambientale del 2006), sono state introdotte delle norme di principio volte a fare chiarezza e, conseguentemente, a superare evidenti e diffusi imbarazzi, interpretativi e applicativi, direttamente connessi alla loro classificazione. Ma non è stato ancora sufficiente…..
 
Nelle considerazioni che seguono, intendo ritornare su questa tematica che attiene, innanzi tutto, alla corretta qualificazione delle acque meteoriche di dilavamento (e di “prima pioggia”), in conformità all’odierno tenore dell’art. 113, del (TUA), come interpretato dagli ultimi arresti della giurisprudenza di legittimità.
 
Dette acque, infatti, ruscellando da piazzali ove insistono, in ipotesi, materiali e/o rifiuti che ne possano determinare la contaminazione, sarebbero suscettibili di assumere – per “assimilazione” – la stessa qualifica delle acque reflue industriali, come definite dall’art. 74, comma 1, lett. h), del T.U.A. Parte III; ovvero, in presenza di altre condizioni di fatto, quali “rifiuti liquidi”, da sottoporre alla disciplina della Parte IV del T.U.A., sulla loro gestione.[1]

 
Procedendo all’esame del primo interrogativo, al fine di fornire una risposta esauriente relativa ai criteri per la loro qualificazione, in considerazione degli aspetti qualitativi (di possibile contaminazione da contatto con altre sostanze: materiali, rifiuti ecc.) e di destinazione (quanto al loro recapito, previa eventuale, depurazione)[2], occorre prendere le mosse da una rigorosa ricostruzione della loro definizione e del relativo regime giuridico (amministrativo e penale) in contrapposizione alla nozione di “acque reflue industriali”, cui sovente sono state “assimilate” (ove contaminate da rifiuti o da sostanze pericolose ovvero “… da sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici” come nell’ipotesi prevista dall’art. 113, comma 3, in fondo, TUA).
 
Master Esperto Ambientale in diretta
 

2. La nozione indiretta di “acque meteoriche di dilavamento” desunta dall’art. 74 comma 1, lett. h), del T.U. ambientale, relativo alle “acque reflue industriali”

Con riferimento al profilo classificatorio, osservo, preliminarmente, che, con la locuzione “acque meteoriche di dilavamento”, si fa riferimento ad una peculiare tipologia di acque di origine piovana che, depositandosi su un suolo impermeabilizzato, “dilavano” le superfici, attingendo indirettamente, i corpi ricettori (acque superficiali e suolo o negli strati superficiali del sottosuolo, ex art. 103, comma 1, lett. e).[3]

 
Questa descrizione consiste, con evidenza, nella semplice rappresentazione di un fenomeno naturale[4] che, peraltro, trova, nell’ordinamento giuridico vigente (v. Parte III, del d.lgs. 152/2006[3]), una sua espressa regolamentazione, anche se priva di una preliminare ed esplicita definizione.
 
Master e-learning Diritto Ambientale (Formazione a Distanza)
 
Comunque, e nel merito, ponendoci alla ricerca dei parametri normativi per la sua individuazione, occorre, innanzitutto:
I) valorizzare, in via indiretta (o ragionando contrario sensu), due disposizioni del TUA (gli artt. 74 e 113, novellati) in cui è fatto espresso riferimento a dette acque. In particolare, nel testo dell’art. 74, sono richiamate “le acque meteoriche di dilavamento” – non già per fini identificativi espressi – quanto per definire, in contrapposizione, un’altra tipologia di effluenti, e cioè le “acque reflue industriali” a cui non sono, ex lege, riconducibili.
 
La lett. h) del suo primo comma, descrive le “acque reflue industriali” come “qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche [6] e dalle acque meteoriche di dilavamento“.
 
Si può dunque anticipare, fin da ora, che, anche solo dal tenore letterale della disposizione evocata, le acque derivanti da precipitazioni atmosferiche – per espressa previsione di legge – si presentano come una tipologia del tutto autonoma e contrapposta alle altre categorie di acque reflue industriali e domestiche, con riferimento a parametri codificati, quali: la fonte di provenienza (edifici e impianti), le modalità di formazione (da attività commerciali e di produzione di beni), le modalità di deflusso, ecc. Tutte caratteristiche che appaiono decisive, per riservare loro una disciplina di specie (contrapposta a quella “generale”, pertinente lo “scarico”) e autonoma (v. oltre).
 
E, nondimeno, proprio allo scopo di meglio intendere le eventuali interferenze tra le varie tipologie di “acque reflue” e di quelle meteoriche, conviene altresì tenere presente:
II) alcune definizioni di base – che forniscono seri argomenti per tale autonomia categorialeintrodotte dallo stesso art. 74 cit., che attengono:

  • “alle acque reflue urbane”, ex lett. i) – dove possono essere convogliate le acque meteoriche di dilavamento immesse in reti fognarie (ex lett. dd), anche separate (v. lett. ee) – costituite da: “acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato”)[7];
  • rete fognaria (lett.dd): un sistema di condotte per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane;
  • fognatura separata (lett. ee):” la rete fognaria (lett. dd) costituita da due canalizzazioni, la prima delle quali adibita alla raccolta ed al convogliamento delle sole acque meteoriche di dilavamento (e dotata o meno di dispositivi per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia); la seconda adibita alla raccolta e al convogliamento delle acque reflue urbane (v. lett. i), (unitamente alle eventuali acque di prima pioggia);

in estrema sintesi, e al netto di residue confusioni e sovrapposizioni nelle riportate definizioni normative, si può dire che nella “rete fognaria” (dd) – come corpo ricettore – sono raccolte e convogliate “le acque reflue urbane” (lett. i) le quali possono raccogliere anche le acque meteoriche di dilavamento;

  • la rete fognaria, così definita, può essere strutturata o costituita da due canalizzazioni (“c.d. “fognatura separata”, che convogliano le acque indicate sopra, sub ee). Come rilevato, la prima canalizzazione convoglia le acque meteoriche di dilavamento (salvo l’eventuale dotazione di dispositivi per la raccolta e separazione delle acque di prima pioggia); la seconda, le acque reflue urbane, ma anche le eventuali acque di prima pioggia.
  • E’ appena il caso di sottolineare che le acque di prima pioggia possono essere presenti (perché immesse) sia nella prima che nella seconda canalizzazione; e che in quest’ultima (seconda: delle acque reflue urbane), oltre alle eventuali acque di prima pioggia (ex lett. ee, in fondo) possono ritrovarsi anche le acque meteoriche di dilavamento (ex lett. i, ultima parte)[8];
  • alla nozione d’inquinamento (v. lett. cc) come introduzione, diretta o indiretta, da attività umana. di sostanze .. nelle acque o nel terreno che possono nuocere alla salute umana… “ [9];
  • al trattamento, riservato dalla legge, in linea di principio, alle “acque reflue urbane, industriali, domestiche (lett. ii ed ll), e non esteso alle acque meteoriche, secondo il principio generale di esonero – di queste ultime (meteoriche) – dall’assoggettamento al regime delle acque reflue, sancito dal comma 2, dell’art. 113, salvo deroghe (ma sul tema, v. oltre).Ma, soprattutto, l’autonomia – di nozione e disciplina – delle acque meteoriche (rispetto alla categoria delle “acque reflue industriali”), si radica, a mio avviso, sul piano sistematico :

III) sulla definizione di scarico (v. art. 74 lett. ff, in combinato disposto con la lett. gg) riservato, in linea di sistema, alle “acque reflue”, su cui rotea sostanzialmente la disciplina amministrativa e penale della Parte III, del TUA, come si desume dalla lettura, in sequenza, delle lett. ff) e gg, citt.), relative, rispettivamente:

  1. allo “scarico”, come “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria” (definizione chiaramente non estensibile alle acque meteoriche di dilavamento) …indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’art.114” e:
  2. alla definizione di “acque di scarico: tutte le acque reflue provenienti da uno scarico” (v. lett. gg), come definito sub a).

3. Conferme dirette dell’assunto: le acque meteoriche secondo l’art. 113

La singolarità della disciplina propria delle acque dette genericamente meteoriche, individuate dal legislatore nella duplice tipologia di “acque meteoriche” e “acque di prima pioggia”, trova il suo diretto fondamento giuridico:

    • IV) nell’art.113[10] che affida direttamente alle Regioni, ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, il compito di stabilire, a seconda dei casi:
    • forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate degli agglomerati in cui esse sono immesse (v. comma 1, lett. a, e retro, par. 2);
    • “ulteriori prescrizioni” (“può essere richiesto…”) ”….ivi compresa l’eventuale autorizzazione” (v. comma 1, lett. b), nei casi di immissioni nei corpi ricettori delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, (diverse da condutture qualificabili come reti fognarie, di cui al comma 1, lett. a[11]);
    • imporre che le acque siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione (comma 3) nelle ipotesi in cui ci sia il rischio che le acque meteoriche dilavino superfici impermeabili scoperte, recanti, in relazione alle attività sulle stesse svolte, sostanze pericolose o sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici.Merita rammentare, infine, che l’art. 103, comma 1, lett. e) consente che siano recapitati, nel suolo, gli scarichi di acque meteoriche convogliate in reti fognarie separate.

Da ultimo, si prevede un generale divieto di scarico o immissione diretta di tali acque nelle acque sotterranee (ex comma 4), in considerazione del principio generale di cui all’art. 104, sul divieto di ogni scarico in questo ricettore. Per la violazione di tale precetto non è prevista espressamente alcuna sanzione, anche se vale, in via generale, il divieto di cui all’art. 104 TUA, sanzionato dall’art. 137, comma 1.
 
In conclusione: le ipotesi in cui le acque meteoriche devono essere sottoposte alla normativa speciale ex art. 113, del D.lgs. 152/2006 sono quelle di cui ai commi 1, 3 e 4 (con previsioni di possibile rispetto di particolari trattamenti, limiti e autorizzazione alle immissioni, da tener – comunque – concettualmente distinti dal regime delle autorizzazioni degli “scarichi” delle acque reflue industriali, ex art. 124, e relativi limiti di emissione: su ciò v. oltre).
 
Il comma 2 dell’art. 113 cit. prevede, infatti – come regola generale (anche se residuale) – che: “Le acque meteoriche non disciplinate ai sensi del comma 1 (ma si tenga conto anche del comma 3 sulle acque di lavaggio), non sono soggette a vincoli o prescrizioni della Parte III del presente decreto[12].
In più chiare lettere, esse restano estranee e quindi non ricadono in detta disciplina e nelle sue “finalità” ex art. 53, TUA.
 

4. Il regime sanzionatorio di cui agli artt. 133, comma 9 (illecito amministrativo) e 137, comma 9 (illecito penale) del TUA

 
Nelle ipotesi di violazioni della disciplina regionale (eventualmente) adottata per regolare le modalità di gestione, trattamento e immissione delle acque meteoriche di dilavamento, trova applicazione il regime sanzionatorio, proprio ed autonomo di cui all’art. 137 (Sanzioni penali) del Testo unico ambientale.
 
In particolare, qualora risultino inosservate le prescrizioni particolari e/o l’obbligo di richiedere l’autorizzazione per gli scarichi di acque meteoriche di dilavamento, fissate dalle Regioni, ex art. 113, comma 1, lett. b) cit., è prevista – dall’art. 133 comma 9 – l’applicazione, nei confronti del responsabile, di una “sanzione amministrativa pecuniaria da millecinquecento euro a quindicimila euro”.
 
Nel caso, invece, d’inosservanza delle disposizioni regionali che impongono – ex art. 113, comma 3 cit. – il convogliamento e il trattamento delle acque meteoriche in impianti di depurazione, l’art. 137, comma 9, commina, in caso di condanna, una sanzione penale, “dell’arresto da due mesi a due anni o con l’ammenda da 1.500 euro a 10.000 euro[13].
 
Consulenze ambientali per aziende, enti e professionisti
 

4.1 Sull’attuale assenza di base normativa del criterio di “assimilazione” delle acque di dilavamento, di prima pioggia e di lavaggio alle acque reflue industriali

 
Le conclusioni, sopra raggiunte, sulla regolazione attuale delle acque meteoriche – ancorata alla disciplina di diritto positivo vigente, sopra esaminata e, in specie, alle specifiche definizioni dell’artt. 74 e 113 citt. (v. retro p. I/IV) – vanno sottoposte a verifica – nella loro tenuta logica e di sistema – alla stregua del noto e risalente parametro della “assimilazione” (a tutt’oggi evocato da una parte della dottrina[14]).
 
Secondo il quale, se lo scarico di acque meteoriche[15] si connota, da un punto di vista specificamente “qualitativo”, con le caratteristiche proprie (chimico, fisiche, biologiche) delle acque reflue industriali[16] esso ne dovrebbe seguire la disciplina[17] (in questa nota non considero i casi, inversi, di assimilazione alle acque domestiche, degli scarichi da impresa agricola, da impianti di acquacoltura, acque termali, di laboratori di macellazione, di caseifici, allevamenti ittici, ecc., ex art. 101, comma 7).
 
Cioè il suo titolare verrebbe assoggettato alla normativa tecnica, amministrativa e penale più severa – sulle acque reflue industriali – perché lo scarico perderebbe la sua originaria qualifica, secondo i precetti definitori sopra ricordati (sulle acque meteoriche di dilavamento, di prima pioggia e di lavaggio di aree esterne) e sarebbe sottratto alla sua disciplina distinta (ex art. 113) e meno stringente. [18]
 
Si potrebbe obiettare, sin da ora: a) che il dato normativo (appunto l’art. 113) non prevede affatto che esse – cadendo su superfici aziendali (piazzali, vasche, luoghi di deposito, ecc.), con presenza di materiali, sostanze, olii, ecc. contaminanti – divengano, per ciò solo, acque reflue industriali, con la conseguenza che, in assenza di autorizzazione o in ipotesi di superamento dei valori limite di emissione previsti per quest’ultime, possano configurarsi delle responsabilità a carico del loro titolare (essendo affatto diversa la soluzione adottata dal legislatore: v. anche infra) l; b) né sussiste altra disposizione che codifichi e disciplini, in tal senso, il parametro in esame (v. retro).
 
Ma tale risposta – del tutto coerente con quanto sinora esposto – potrebbe apparire inappagante qualora non si facesse carico di spiegare, sul piano “storico” e di merito, le ragioni sostanziali che hanno indotto la giurisprudenza e la dottrina (non unanime) a superare tali indirizzi, soprattutto alla luce delle modifiche apportate dal d. lgs. n. 4/2008 all’art. 74 cit., TUA e ad una “rilettura” sistematica dell’’art. 113 del giudice di legittimità.
 
Per il “passato”, Il cambio di qualifica delle acque di pioggia in acque reflue industriali era, infatti, “giustificato”, sul piano sostanziale, dall’accertata presenza di contaminanti che ne avrebbero snaturato le caratteristiche, fornendo una spiegazione “tecnica” per la loro assimilazione (alle acque reflue industriali), proprio al fine di evitare pericoli e pregiudizi alla qualità dei corpi idrici e, indirettamente, alla salute (ma tali rischi, come si dirà, sono contemplati…. dall’art. 113 che fornisce, altresì, gli strumenti giuridici e tecnici, per superarli).
 
Sotto l’aspetto formale, la legittimità del mutamento di “classificazione” e disciplina delle acque meteoriche (contaminate) è stata normativamente giustificata, com’è noto, puntando soprattutto sul tenore testuale della prima versione dell’art. 74 lett. h), per la quale le “.. acque reflue industriali” erano definite come “qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento”, con la precisazione per queste ultime, che si intendono “…tali” (cioè meteoriche) “anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento“.
 
Era facile desumere da tale definizione (come fece la giurisprudenza e la dottrina), che il legislatore del 2006, aveva introdotto un criterio qualitativo (“differenti qualitativamente… dalle acque meteoriche”) e di provenienza (“provenienti da attività commerciali o di produzione”).
 
In questa nuova previsione (rispetto al d. lgs. n. 152/1999) si derogava, dunque, al criterio della “assimilabilità” di tipo qualitativo (con riferimento al caso di contaminazione delle acque meteoriche non connessa con le attività dello stabilimento industriale); ma si consentiva, sul piano interpretativo, di poter affermare che, ove le acque meteoriche fossero contaminate “da sostanze o materiali inquinanti connessi con le attività esercitate nello stabilimento”, questa “assimilabilità” (sempre di tipo qualitativo), ragionando contrario sensu, andava ri-affermata, e cioè che le acque di pioggia dovevano qualificarsi acque reflue industriali (e assoggettate alla stessa disciplina).[19]
In definitiva, sulla scorta della nuova previsione dell’art. 74, lett. h (prima versione, anteriore al 2008), erano sottratte a vincoli e prescrizioni solo:

  • le acque meteoriche di dilavamento che restavano tali prima del loro recapito (immissione) nei corpi ricettori, senza alcun contatto con sostanze inquinanti;
  • le acque meteoriche venute a contatto con materiali e sostanze, anche inquinanti, purché non connessi con le attività esercitate nello stabilimento.Qualora non ricorressero le condizioni di cui sopra, tornava a valere:- il criterio dell’assimilabilità (qualitativa) per cui dette acque erano sottoposte alla disciplina degli scarichi delle acque reflue industriali, sempre che si verificassero i presupposti normativi dello “scarico” e cioè si trattasse di “immissione diretta effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega, senza soluzione di continuità”, il luogo di formazione del refluo[20] con il corpo ricettore” (v. art. 74, ff).

 
Con la conseguenza di assoggettare le stesse acque meteoriche al medesimo regime autorizzatorio (e dunque sanzionatorio) previsto dagli artt. 101 e 124 del TUA, per lo scarico di reflui industriali.[21]

5. Il tema dell’assimilabilità dopo le modifiche dell’art. 74, lett. h), ex D.Lgs. n.4/2008.

La problematica sulla “assimilabilità”, non fondata, come indicato, su alcun riscontro normativo, ha dato luogo a nuovi interrogativi nel momento in cui l’art. 74, comma 1, lett. h, subiva una “amputazione” rispetto alla sua versione originaria,[22] del seguente tenore (a seguito dell’approvazione del d.lgs. n. 4 del 2008): “acque reflue industriali”: qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento”.
 
Ci si è chiesti, infatti, se la soppressione della definizione delle acque meteoriche come quelle che, pur venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, rimanevano tali (meteoriche) purché le sostanze o i materiali non fossero “connessi” con le attività esercitate nello stabilimento”, volesse significare la volontà del legislatore:
a) di escludere, sempre e comunque, la qualifica di acque meteoriche, anche nel caso in cui la contaminazione riguardasse sostanze o materiali non connessi con le attività esercitate nello stabilimento. E, dunque, con un intento di maggiore severità rispetto alla versione precedente.
 
Ovvero, in senso opposto, se, con il decreto del 2008, si è voluto:
b) sopprimere, una volta per tutte, il criterio della “assimilabilità” per cui le acque meteoriche di dilavamento, comunque contaminate (con sostanze anche connesse con l’attività “commerciali o di produzione di beni” dello stabilimento) non sarebbero più “assimilabili” alle acque reflue industriali in base ai nuovi (recte: specificati) parametri di qualificazione giuridica.
Ed, invero, “le acque meteoriche di dilavamento” – avendo una loro origine, formazione e modalità di rilascio (non tramite “scarico, ex art. 74, lett. ff) specifiche e diverse dal refluo industrialenon potrebbero mai essere concettualmente confuse, sul piano definitorio (e ricondotte, ai fini della disciplina amministrativa e penale applicabile) alle acque reflue industriali (da “edifici e installazioni”; con effluenti connotati dalle attività commerciali o di produzione di beni ivi allocate). [23]
 

5.1 L’attuale tenore dell’art. 74, lett. h), esclude il ricorso all’assimilazione

 
Si è già evidenziato sopra che, nella prima versione del Testo Unico Ambientale, l’art. 74, comma 1, lett. h) prevedeva che dovessero intendersi, per acque meteoriche, anche quelle contaminate purché “ . le sostanze o i materiali, anche inquinanti non fossero connessi con le attività esercitate nello stabilimento”.
 
Sicché, ai sensi di tale disposizione, gli elementi distintivi tracciati dal d.lgs. 152/2006, per i reflui industriali, andavano individuati:

  • nella loro provenienza (“…provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni”);
  • e nelle relative caratteristiche “qualitative” ( …differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e meteoriche).

 
Si lasciava intendere, in tal modo, che, nel diverso caso di acque meteoriche di dilavamento venute, invece, in contatto con sostanze o materiali inquinanti originati dalle attività dello stabilimento, dette acque “perdessero” la natura di acque piovane di dilavamento, divenendo, a tutti gli effetti, acque reflue industriali, secondo il canone della “assimilabilità” (normativamente non previsto ma) sostanzialmente seguito dalla giurisprudenza. In tal senso, si consideri il seguente passo di una pronuncia della S.C del 2007:
“…la nuova disciplina…”(di cui al d.lgs. 152/2006) “esclude dalle acque reflue industriali quelle meteoriche di dilavamento, precisando però che devono intendersi per tali anche quelle contaminate da sostanze o materiali non connessi con quelli impiegati nello stabilimento”.
 
“Sembrerebbe perciò che, quando le acque meteoriche siano, invece, contaminate da sostanze impiegate nello stabilimento, non debbano più essere considerate come “acque meteoriche di dilavamento”, con la conseguenza che dovrebbero essere considerate reflui industriali. In particolare …con il D.Lgs. n. 152 del 2006 le acque di dilavamento contaminate dall’attività produttiva tipica dell’insediamento da cui provengono sembrano doversi ritenere assimilate a quelle industriali, e quindi soggette al relativo regime normativo”[24].
 
In seguito, come ricordato, è stato eliminato dal testo della norma:

  • il riferimento al criterio “qualitativo” per l’individuazione delle acque reflue e cioè, più specificamente, l’inciso secondo il quale dovevano intendersi “acque meteoriche di dilavamento” anche “quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”.

Con tale riformulazione dell’art.74, oggi vigente, si può ragionevolmente affermare – seguendo l’interpretazione indicata a par. precedente, sub lett. b) – che è stata definitivamente espunta, dalla normativa di settore sulla tutela delle acque (di cui alla parte III del TUA) la base giuridica per qualsiasi ricorso al criterio (qualitativo) della “assimilazione” (delle acque meteoriche di dilavamento alle acque reflue industriali) e ciò anche qualora esse entrino in contatto con sostanze o materiali connessi alle attività economico-produttive svolte nello stabilimento (le cui superfici vengono dilavate dalle acque piovane), per le seguenti ragioni.
 
Non solo perché:
1) è stato soppresso (appunto nel 2008) l’inciso della norma a cui la giurisprudenza precedente si era ancorata per sostenere detta assimilazione qualitativa (ragionando, a contrario, sulla previsione del mantenimento della qualifica di “acque meteoriche” contaminate da sostanze “non connesse” all’attività dello stabilimento”[25]).
 
Ma anche in ragione dell’introdotto:
2) criterio unico della “provenienza”, una volta rimossa la specificazione “qualitativa” (riferita agli “inquinanti”) che seguiva nella lett. h), dell’art. 74, dopo la frase “acque meteoriche di dilavamento” (mi riferisco, appunto, al criterio della assimilazione), oltre che:
3) del dato testuale secondo cui le acque meteoriche di dilavamento, come le acque di prima pioggia e di lavaggio – fatte oggetto della disciplina speciale di cui all’art. 113 – non sono le acque pluviali naturali o “pure”(contemplate dal comma 2) ma, diversamente, quelle a rischio di contaminazione per aver dilavato – da superfici impermeabili scoperte – sostanze pericolose o pregiudizievoli per la salute o per le qualità ambientali dei corpi idrici ricettori, ai sensi del commi 1, b) e comma 3), dell’articolo da ultimo cit. (proprio quelle su cui si insiste per la loro “assimilazione”).
 
Ma v’è di più:
4) la base testuale della normasecondo cui l’assimilazione poteva essere dedotta (anche se non era espressamente prevista, nella prima versione dell’art. 74, lett. h), nel caso in cui le acque meteoriche di dilavamento venissero “… a contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, connessi con le attività esercitate nello stabilimento” – è venuta meno dopo la modifica del 2008 (come rilevato retro) per essere prevista e ri-compresa nell’art. 113 (comma 1, b e comma 3).
 
Quest’ultima disposizione, infatti, introduce una disciplina autonoma, d’impianto regionale, non solo quando il dilavamento interessa:
a) sostanze, materiali, residui pericolosi presenti nelle superfici o aree esterne (impermeabili e scoperte) “non connessi con le attività commerciali o di produzione di beni” (come un tempo, per escludere l’assimilabilità); ma anche:
b) quando il dilavamento o le acque di prima pioggia e di lavaggio cadono su “sostanze pericolose o che creano pregiudizio” (ambientale) “.. in relazione alle attività svolte” (così testualmente il nuovo art. 74, lett. h). Cioè proprio nelle ipotesi in cui, secondo l’originaria formulazione di quest’ultima norma, la giurisprudenza riteneva giustificato, ragionando a contrario, il criterio dell’assimilazione (per via della “connessione”).
 
In definitiva, l’attuale versione della lett. h) dell’art. 74, toglie ogni appiglio – testuale, sistematico e logicodeduttivo – per sostenere che l’art. 113 del TUA non preveda una sua specifica disciplina per le acque di dilavamento, a rischio di contaminazione, tanto da giustificare il mantenimento in vita del parametro dell’assimilazione per i contaminanti connessi o non connessi con le attività esercitate nello stabilimento.[26]
Ne deriva che, allo stato, è doveroso qualificare come “acque reflue industrialisoltanto quelle provenienti da edifici o impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, e che non siano state originate:

  1. dal metabolismo umano o da attività tipicamente domestiche (nel qual caso si tratterà di acque reflue domestiche);
  2. né abbiano origine “piovana” (costituendo in questa ipotesi, per l’appunto, solo “acque “meteoriche”: 1) pure; 2) di dilavamento o 3) di prima pioggia, senza alcuna ulteriore denominazione, per assimilazione).

 
Sul piano ermeneutico questa conclusione si rafforza ove si consideri che la frase parentetica evidenziata (differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento”), lungi dal voler introdurre o enfatizzare un criterio distintivo fondato sulla qualità dello scarico, ha la diversa e più semplice funzione di fondare l’introdotta distinzione classificatoria (acque industriali, domestiche e meteoriche) ancorata alla provenienza, formazione e modalità di rilascio delle acque (per caduta/precipitazione o tramite “scarico”).[27]
Appare, ovviamente, assodato che, se le acque meteoriche entrano nel circuito delle acque reflue industriali e si mescolano nel medesimo scarico finale, ne seguiranno, ovviamente, la disciplina.
 

5.2 La Cassazione Penale (sez. III, n. 2867 del 30 ottobre 2013 – il 22 gennaio 2014, ric. Pieri) prende atto della sopravvenuta abrogazione del parametro della ”assimilabilità”, superando i suoi precedenti indirizzi

 
Il convincimento, appena sopra esplicitato, fondato sul dato normativo fornito dall’art. 74-lett. h), nella versione (modificata) vigente, ha ricevuto, da ultimo – e per la prima volta – l’autorevole avallo della Corte di Cassazione (Sez. III, penale, sentenza n. 2867 del 30 ottobre 2013 – 22 gennaio 2014).
La quale, dopo aver esaminato, nel dettaglio, l’evoluzione normativa in tema di acque meteoriche di dilavamento, ha fissato taluni importanti principi (da considerare, per l’autorevolezza dell’organo giudicante, punti fermi per il futuro) ai fini di una corretta interpretazione del combinato disposto degli artt.74 e 113 del TUA, dai quali le Autorità amministrative e gli organi di controllo difficilmente potranno discostarsi.
Il Collegio ha esordito, nella sua argomentazione, affermando che:
 
1. il fatto contestato[28] non rientra nella previsione degli illeciti penali, di cui all’art. 137, bensì in quella dell’art. 133 (illeciti amministrativi), non essendo applicabile la normativa statale ma quella regionale (toscana).
 
Rileva poi che:
2. la legge statale non dà una definizione di acque meteoriche di dilavamento e di prima pioggia, ex art. 113, ma ne fornisce una nozione indiretta e in negativo, con l’art. 74, lett. g (acque reflue domestiche) e h («acque reflue industriali»: «qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento», per concludere che:
3. “… l’art. 74 cit., pertanto, pur non fornendo una diretta definizione delle acque meteoriche di dilavamento, le considera diverse e distinte dalle acque reflue industriali e, quindi, non assimilabili a quest’ultime, nell’ambito del sistema definitorio”.
 
La stessa Corte osserva, inoltre, che, nel caso di specie, il giudice di primo grado ha applicato le norme statali sui reflui industriali, antecedenti alla modifica legislativa del 2008, appunto mediante il richiamo ad un precedente (e cioè alla sentenza della Sez. III, 11.10,2007, n. 40191, Schimberni, cit. retro), senza tener conto che:
a) l’art. 74, lett. h) era stato modificato (a far data dal 13 febbraio 2008) dal d.lgs. 4/2008, sicché non è “… più possibile accomunare le acque meteoriche di dilavamento e le acque reflue industriali”.
Aggiunge, in proposito, la S.C., seguendo un ineccepibile argomento logico, secondo cui:
a) “.. la nuova formulazione dell’art. 74, lett. g)[29], esclude ogni riferimento qualitativo alla tipologia delle acque, dal momento che è stato eliminato dal dato normativo sia il riferimento alla differenza qualitativa dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, sia l’inciso “intendendosi per tali (acque meteoriche di dilavamento) anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connesse con le attività esercitate nello stabilimento”, di talché sembrerebbe non più possibile oggi assimilare, sotto un profilo qualitativo, le due tipologie di acque (reflui industriali e acque meteoriche di dilavamento)”;
 
b) “ né sembrerebbe possibile ritenere che le acque meteoriche di dilavamento (una volta venute a contatto con materiali o sostanze anche inquinanti connesse con l’attività esercitata nello stabilimento) possano essere assimilate ai reflui industriali”, per la sottolineata autonomia delle due tipologie di acque, in termini di provenienza e quindi di disciplina e di definizione (v. sopra);
 
c) nella specie, in ogni caso, “… anche volendo prescindere dalla modifica legislativa, ignorata dalla sentenza di primo grado, il primo giudice “…. ha anche omesso di considerare che l’art. 113, rubricato appunto «Acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia», prevede che le Regioni, «ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali», emanino una disciplina delle acque meteoriche che dilavano le superfici e si riversano in differenti corpi recettori” (e dunque, per coerenza logica e normativa, si impone l’assoggettamento delle acque meteoriche alla disciplina regionale e non statale, del tutto distinta, autonoma ed autosufficiente).
 
In conclusione, la Cassazione statuisce, univocamente, che le acque meteoriche sono esclusivamente assoggettate alla disciplina regionale (salvo la deroga di cui al comma 2, dell’art. 113) e non statale, affatto distinta, attesa:
– la modifica legislativa dell’art. 74, lett. h (che esclude ogni riferimento qualitativo alla tipologia delle acque);
– l’investitura legislativa alle Regioni di una potestà specifica di disciplinare autonomamente ed espressamente proprio “…. le acque meteoriche che dilavano le superfici e si riversano in corpi ricettori”, cioè le acque di pioggia a rischio contaminazione già qualificate assimilabili dalla giurisprudenza cit. (anche “…. a prescindere dalla modifica legislativa”, come sottolinea la S.C.).
 
Ma v’è di più: con la sua pronuncia il Giudice di legittimità ha tolto qualsiasi attendibilità ermeneutica ai “tentativi” di applicare, alle acque meteoriche, il regime sanzionatorio fissato per i reflui industriali irregolari (senza autorizzazione o fuori limiti tabellari, ecc.), tentativi considerati non conformi a legge.
 
Su questo specifico tema – direttamente conseguenziale alla negazione del criterio della “assimilabilità” – quel Collegio ha rilevato univocamente, e una volta per tutte, che:

  • d) “… nel caso di violazioni della normativa regionale, che regola le modalità di gestione, trattamento, scarico delle acque meteoriche di dilavamento, “… non è invece applicabile la normativa di cui al d. lgs. del 3 aprile 2006 152, artt. 101-124, non solo perché esclusa dal medesimo decreto delegato”;
  • e) “ ma anche perché essa riguarda gli scarichi di reflui industriali e non già gli scarichi o immissioni di acque meteoriche di dilavamento, tipologie di acque diverse tra loro….”.

L’autonomia della disciplina (anche penale) relativa alle acque meteoriche e, pertanto, la loro non assoggettabilità al regime sanzionatorio previsto per i reflui industriali, tramite il parametro della assimilazione, è dunque saldamente argomentata dalla Cassazione e ribadita, con forza, nei motivi appena rassegnati oltre che negli ulteriori seguenti passaggi:
 
f) “…Per quanto attiene al momento repressivo, l’art. 133, comma 9, …. sanziona, in via amministrativa …chiunque non ottemperi alla disciplina dettata dalle regioni, ai sensi dell’art. 113, comma l, lett. b), ossia la violazione delle prescrizioni o delle autorizzazioni disposte in sede regionale. La previsione della punizione mediante sanzione amministrativa è tassativa, sia perché non possono essere estese, in via analogica, le norme che prevedono una sanzione penale(ex art. 133) “sia perché il legislatore non ha inserito al comma 9, dell’art. 133, la clausola di stile «salvo che il fatto costituisca reato»;
g) in ordine al regime sanzionatorio penale, previsto dall’‘art. 137, comma 9[30]la S.C. ottolinea che, con le pene di cui al comma 1 (arresto o ammenda), si punisce «chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle Regioni, ai sensi dellart. 113, comma 3».
Poiché quest’ultima disposizione fa riferimento a «particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici», la condotta illecita oggetto di sanzione penale, deve estrinsecarsi, aggiunge la S.C., in un pericolo concreto e non presunto”.
 
Mi permetto di aggiungere che la sanzione penale riguarda, palesemente (cioè testualmente), le acque meteoriche, di cui all’art. 113, non le acque meteoriche in quanto….. “assimilate” alle acque reflue industriali.
Come appare evidente, il richiamo dell’art. 137, comma 9, alla sanzione del comma 1, è compiuto ai soli fini della pena (quoad penam) non allo scopo o sul presupposto di una diversa qualificazione delle acque meteoriche (come “industriali” ….. per “assimilazione”).

5.3 …. ma poi si auto-censura con sentenza n. 2832/2015

A poco meno di un anno dalla pronuncia sopra esaminata, la stessa sez. 3 della Cassazione, con diverso collegio, è ritornata sul tema, contraddicendo palesemente se stessa (con sentenza 2 ottobre 2014, depositata il 22 gennaio 2015, n. 2832, ric. Mele), affermando, sulla base della immutata normativa…. (v. art. 74, lett. h, nella duplice versione cit., e art. 113), che “.. è da escludere qualsiasi assimilazione delle acque contaminate con le acque meteoriche di dilavamento”.
 
In punto di fatto, pronunciandosi su una vicenda in cui le acque di pioggia, cadendo su una stazione (area) di servizio per rifornimento di carburanti, si contaminavano a contatto con le sostanze impiegate nello stabilimento (idrocarburi) per poi disperdersi sul suolo, la Corte, nel confermare la sentenza del Tribunale (che aveva qualificato dette “acque meteoriche di dilavamento” come scarico di acque reflue industriali, senza autorizzazione), adduce i seguenti argomenti:

  1. la modifica apportata all’art. 74, lett. h) dal d.lgs. n. 4/2008, va interpretata in senso opposto (a quanto ritenuto dalla stessa sezione, un anno prima… ) e cioè che essa “ .. sta a indicare proprio l’intenzione” (del legislatore) “.. di escludere qualunque assimilazione di acque contaminate con quelle meteoriche di dilavamento: l’eliminazione dell’inciso[3], insomma, non ha affatto ampliato il concetto di “acque meteoriche di dilavamento” ma, al contrario, lo ha ristretto in un’ottica di maggior rigore, nel senso di operare una secca distinzione tra la predetta categoria di acque e quelle reflue industriali o quelle reflue domestiche”;
  2. da tale constatazione (sulla riduzione del dato normativo), ricavata dalla “eliminazione dell’inciso” – e dunque dalla “precisa scelta del legislatore” – la sez. 3 trae, come diretto corollario, il principio secondo cui “.. da oggi, pertanto, le acque meteoriche, comunque venute a contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non possono più essere incluse nella categoria di acque meteoriche di dilavamento, per espressa volontà di legge”;
  3. in senso positivo, la regola che se ne trae viene così formulata: “.. le acque meteoriche di dilavamento sono costituite dalle acque piovane che, depositandosi su un suolo impermeabilizzato, dilavano le superfici ed attingono direttamente i corpi ricettori (cfr. Cass. pen, sez. 3, n. 33839/2007)”.

Come dire – se ho ben inteso – senza venire a contatto con alcun contaminante, come si specifica di seguito: “ .. le acque meteoriche di dilavamento si intendono quindi solo quelle che, cadendo al suolo, per effetto di precipitazioni atmosferiche non subiscono contaminazioni di sorta con altre sostanze o materiali inquinanti .
 
I) Le esposte, perentorie asserzioni suscitano più di una perplessità. Ciò che stupisce, a fronte di un così “brusco” revirement della Corte, non è tanto la soluzione interpretativa proposta, (anche se) del tutto contraria alla sua precedente pronuncia (n. 2867/14); quanto l’apoditticità dei suoi asserti (v. retro, sub 1/3) fondati esclusivamente sulle modifiche apportate all’art. 74, lett. h), da cui si desume una univoca scelta “contraria” del legislatore.
 
Ma da dove si trae (o, su che cosa si àncora) questa “precisa scelta del legislatore” (proclamata, sub 1, della motivazione)? Si risponde ”… sull’eliminazione dell’inciso che sta a indicare proprio l’intenzione di escludere qualunque assimilazione”.
Sul piano logico-giuridico e storico questa “spiegazione” non regge.
Non solo perché non fornisce (come avrebbe dovuto…) una motivazione espressa per superare i molteplici e convincenti argomenti in base ai quali il precedente “arresto”, della stessa sezione, era pervenuta a apposta soluzione[32].
 
Ma anche in ragione del fatto che la sentenza, più recente – non indicando da dove ha desunto questa “precisa scelta del legislatore” (la c.d. ratio legislatoris) – mostra di supporla…. o asserirla, apoditticamente, senza citare neppure i c.d. “Lavori preparatori” o la “Relazione di accompagnamento” alla modifica normativa dell’art. 74, ex art. 2, comma 1, del d. lgs. n. 4/2008 (atti richiamati anche dal ricorrente, nei motivi di ricorso, per dimostrare l’insussistenza del reato contestatogli, e cioè per finalità contrarie a quelle invocate dalla S.C. e, però, conformi alla precedente sentenza n. 2867/1014 cit.).
 
In definitiva il “capovolgimento di fronte” del Giudice di legittimità, sul delicato e sofferto tema dell’assimilazione, si risolve in mere asserzioni prive di argomenti sostanziali idonei a confutare il suo stesso precedente difforme.
Affermazioni che non soddisfano l’obbligo di motivazione (tanto più impellente in ragione della pronuncia del 2014), limitandosi ad evocare un’ipotetica “scelta del legislatore”, del tutto congetturale. E, comunque, recessiva di fronte alla volontà della legge (c.d. ratio legis) su cui si era fondata, in precedenza, la stessa sezione, con ben altro impegno argomentativo e persuasività (v., retro, par. 5.2).
 
Ne consegue che, a fronte dell’assoluta ipoteticità e carenza motivazionale della premessa maggiore (sub. 1) perde di ogni coerenza logica e valore dimostrativo la conclusione assunta sopra, sub 2), secondo cui:
a) sarebbe “… esclusa qualunque assimilazione di acque contaminate con quelle meteoriche di dilavamento”, tanto che:
b) “…le acque meteoriche, comunque venute a contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non possono più essere incluse nella categoria di acque meteoriche di dilavamento”.
Merita aggiungere, in chiave critica, sub a): che il sistema normativo vigente (come un tempo) non correla la nozione di “assimilazione” al rapporto tra “acque contaminate e acque meteoriche di dilavamento”; ma tra acque meteoriche di dilavamento (contaminate o a rischio di contaminazione) e acque reflue industriali”.
 
Il legislatore considera, infatti, che le acque meteoriche possano essere non contaminate o contaminate e nondimeno conservare, in entrambi i casi, la loro qualifica di acque meteoriche.
In una battuta: che le a. m. di dilavamento, contaminate o meno, restano tali, costituisce un dato pacifico di diritto positivo sol che si ri-legga:1) il chiaro tenore dell’art. 113 e 2) la legislazione regionale vigente che gli ha dato applicazione (v. retro e oltre, in nota).
Ancor meno comprensibile l’asserzione sub b), con riferimento alla frase parentetica “anche inquinanti”, che farebbe pensare alla perdita della qualifica (di acque meteoriche di dilavamento) anche nel caso di contatto con sostanze non inquinanti.
 
II) Come rilevato, sopra, a p.3, la più recente decisione del 2015 inferisce, dalla soppressione dell’inciso della proposizione finale dell’art. 74, lett. h), che sarebbe stata abrogata “qualunque assimilazione” delle acque meteoriche di dilavamento alle acque reflue industriali e istaurata una netta distinzione tra la predetta categoria e le acque reflue industriali o reflue domestiche, in “un’ottica di maggior rigore”.
 
Dunque, ai fini definitori, le acque meteoriche di dilavamento sarebbero da ricondurre – e dovrebbero coincidere – con le acque piovane (sic, in motivazione: “le a.m. di dilavamento sono costituite dalle acque piovane”).
Sul piano fenomenico, secondo la sez. 3, le acque piovane o di dilavamento, in forza della asserita identità delle due nozioni giuridiche:

  1. “si depositano sul suolo impermeabilizzato”;
  2. “dilavano le superfici”;
  3. non subiscono contaminazioni di sorta”;
  4. “attingono indirettamente i corpi ricettori”.Le esposte conclusioni non possono, in alcun modo, essere accolte né secondo acquisite nozione di scienze naturali né, soprattutto, nel rispetto del diritto vigente.

Far coincidere le acque piovane con le acque di dilavamento e ritenere che tale ultima categoria (a. m. dilavamento) escluda ogni contaminazione con sostanze o materiali inquinanti si configura come un “non senso”, in prima battuta, secondo le scienze naturali (cioè in base alle classificazioni e/o categorie dalle stesse formulate e consolidatesi nel tempo) [33].
Ma questa identificazione è inconciliabile, anche con il diritto positivo, sopra rassegnato, costituito dalla legislazione statale (v. l’art. 113) e da un’abbondante e dettagliata legislazione regionale articolata sulla base di precise (e opposte) classificazioni. E cioè, in particolare, sulla netta distinzione (qualitativa, di gestione e di disciplina, amministrativa e penale) fra diverse tipologie di acque meteoriche individuate come: di “prima o seconda pioggia”; come “acque reflue di dilavamento”, “acque meteoriche naturali” o pulite; “acque pluviali” (di dilavamento dei tetti e delle pensiline, dei terrazzi, ecc.), “acque di lavaggio”, ecc.[34]
III) E’ sfuggita dal tutto, alla sentenza, in esame, una diversa e più solida spiegazione, tecnica e giuridica, da porre a base della rilevata (e mal valorizzata) “.. eliminazione dell’inciso” di cui alla lett. h) dell’art. 74”. La quale non è costituita da un’ipotizzata volontà del legislatore di “escludere qualunque assimilazione fra acque contaminate e acque meteoriche”, perseguendo una ”ottica rigorista”; ma da un preciso obiettivo (ratio legis), assai chiaro e diverso, volto a semplificare e coordinare il menzionato “inciso” (soppresso) con il dettato dell’art. 113.
 
Detto “inciso”, infatti, è stato considerato, nel 2008, ultroneo e incompatibile con il chiaro tenore dell’art. 113 e cioè con una disciplina dettagliata, autonoma e autosufficiente intestata – dalla norma da ultimo citata – alla competenza normativa regionale. La quale, a sua volta, prevede e regola ogni ipotesi di acque di pioggia, contaminate e non contaminate, a seconda che siano classificabili come acque pluviali naturali (o pulite), a. di dilavamento o a. di prima pioggia (ovviamente distinte dalle acque di lavaggio[35]).
 
In presenza della normativa regionale attuativa dell’art. 113, rafforzata da proprie sanzioni amministrative e penali, non aveva e non ha più senso disquisire sul parametro della “assimilazione” tanto incerto quanto di dubbia costituzionalità (v. retro par.5) che pertanto è stato implicitamente abolito proprio a partire dal 2008.
 
Sul punto dell’autosufficienza e specificità dell’art. 113 (come argomento dirimente rispetto alle “Definizioni” dell’art. 74 cit.) , la sentenza del 2014 della Cassazione cit. (v. par. 5.2) risulta univoca e coerente quando mette in risalto che: “.. In ogni caso, anche a prescindere dalla modifica legislativa…” (dell’art. 74, h) – unico, fragile fondamento della successiva pronuncia n. 2832 del 2015 cit. – “.. il giudice ha omesso di considerare che l’art. 113 – rubricato appunto “Acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia” – prevede che le Regioni, <<ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali>> emanino una disciplina delle acque meteoriche che dilavano le superfici e si riversano in corpi ricettori” (cioè una disciplina che ricomprende, appunto, anche le acque meteoriche di dilavamento o di prima pioggia a rischio contaminazione già qualificate “assimilabili” dalla giurisprudenza cit.).
 
IV) In definitiva, la casistica contenuta nell’inciso della lett. h), delll’art.74, comma1, poi soppresso – (del seguente tenore: “ intendendosi per tali” [acque meteoriche di dilavamento] “ anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinati, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”) – non aveva più senso (e dunque necessità di essere mantenuta), una volta che l’art. 113, comma 1, lett. b) riconosce comunque la qualifica di “acque meteoriche” anche a quelle contaminate per “dilavamento” o di “acque di prima pioggia” (v. anche il comma 3, dello stesso articolo), in aperta e testuale smentita della più recente sentenza della S.C. n. 2832/ 2015.
Ecco perché non si può operare più alcuna distinzione fra acque meteoriche di dilavamento “… venute in contatto con inquinanti connessi o non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”. L’art. 113, infatti, non dà alcuna rilevanza, come rilevato, alla provenienza della sostanza o materiale inquinante (come indicato nell’inciso, soppresso, dell’art. 74, comma 1, lett. h). Ma, introduce, ex novo, una disciplina specifica (opportuno trattamento e autorizzazione con apposite prescrizioni, ecc.) in caso di contaminazione delle acque meteoriche di dilavamento o di prima pioggia (e di lavaggio).
 
Sicché la diversità fra le a. m. di dilavamento e le acque reflue industriali non risiede più – secondo l’attuale tenore dell’art. 74, lett. h – nella purezza delle prime e nella contaminazione delle seconde (così la decisione della S.C. del 2015) ma nel fatto che “le acque reflue industriali” sono “.. diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento” perché solo le prime (a.r.i.) vengono “scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni“ rispetto alle seconde che: 1) “precipitano” dal cielo (le c.d. precipitazioni atmosferiche) e non da edifici o impianti; 2) non sono generate da predeterminate attività; 3) hanno una diversità di caduta e deflusso (non tramite “scarico” ma da precipitazioni, con successivo dilavamento o meno, ex comma 2, art. 113).
 
In definitiva, l’art. 74, lett. h) ha abbandonato il criterio di classificazione, incerto (e, perciò assai “travagliato”),fondato sulla diversità qualitativa delle acque meteoriche di dilavamento[36] rispetto ai reflui industriali – su cui si radicava il criterio analogico della “assimilazione – per ritornare ai più sicuri parametri appena sopra indicati (sub 1/3 del periodo precedente).
 
La soluzione offerta dalla sentenza del 2015 cit. va respinta non perché non sia rilevante, ai fini ambientali e di tutela della salute pubblica, distinguere le acque meteoriche pure da quelle contaminate (ritenute dalla stessa decisione ancora assimilabili alle a.r. industriali) ma in quanto costituisce un fatto incontrovertibile:
1) che la contaminazione può interessare anche le acque meteoriche (che assumono la denominazione di acque di dilavamento e di prima pioggia);
2) che, in tal caso, l’art. 113, comma 1, lett. b) e comma 3, prevedono, in modo del tutto esauriente e tranquillante – secondo il legislatore del 2006 – l’intervento della disciplina regionale che ne regola il trattamento, l’eventuale autorizzazione e l’immissione nei previsti ricettori (in fognatura, in acque superficiali o in suolo: v. retro), nel rispetto di determinate prescrizioni e, dunque, senza alcun pericolo o pregiudizio per quest’ultimi.
 
Trattasi di una normativa regionale che può risultare persino più severa di quella destinata ai reflui industriali (perché volta anche “al raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici”): comunque del tutto idonea e autosufficiente rispetto a quella dei reflui industriali.
V) La sentenza n. 2832/2015 – dopo aver concluso che “… oggi le acque meteoriche venute a contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non possono più essere incluse nella categoria delle acque meteoriche di dilavamento” (le quali, pertanto, devono essere pure/pulite, vale a dire: “.. non subire contaminazioni di sorta”) – si pone il distinto problema di come rendere compatibili le sue argomentazioni con il diverso dettato dell’art.113 (il quale, molto chiaramente, sottintende il contrario, cioè la contaminazione delle acque meteoriche e di prima pioggia a seguito di dilavamento di sostanze contaminanti).
 
Nella risposta formulata si afferma, in modo davvero sibillino, che non c’è incompatibilità con quanto sostenuto e la normativa regionale perché la sua “… impostazione esclude logicamente ogni interferenza con la competenza regionale fissata dall’art. 113 perché essa ha ad oggetto, per espresso dettato normativo, le acque meteoriche di dilavamento, le acque di prima pioggia e le acque di lavaggio di aree esterne.
Già questa prima affermazione suscita perplessità perché non corrisponde né all’ambito di applicazione dell’art. 113 né a quanto previsto, in generale, dalla legislazione regionale.
Mi spiego meglio: è ben vero che il comma 3 dell’art. 113 si riferisce alle acque di prima pioggia che dilavano “superfici impermeabili scoperte” di “aree esterne”. Ma dette aree (esterne), a rischio di dilavamento, si trovano normalmente all’interno del perimetro degli insediamenti produttivi, di servizio o commerciali (interessati dalle acque meteoriche) dove si svolgono lavorazioni o attività di deposito, stoccaggio per es. di materie prime ovvero giacciono residui, scarti, rifiuti (per es. di olii minerali, carburanti, ecc., come nel caso) con cui dette acque vengono in contatto, per dilavamento.
 
Si hanno altresì “aree esterne” (scoperte) – ma sempre all’interno di perimetri industriali – in tutti i casi in cui particolari lavorazioni, par la loro natura, non possono essere svolte normalmente in ambienti chiusi o per le quali non è possibile realizzare interventi di protezione dalle acque di pioggia oppure dove si svolgono attività o lavorazioni tipicamente inquinanti (attività di autodemolizione, depositi esterni di materiali inerti, ecc.).
 
In sostanza l’art. 113, comma 3 si estende a ricomprendere e disciplinare, come ritenuto dalla S.C. nel 2014 cit. (e come contemplato dalla legislazione regionale[37]), anche quelle acque meteoriche che vanno a dilavare aree determinate esterne (“superfici scolanti” in cui si svolgono determinate attività), destinate ad attività di produzione di beni e servizi nonché alle relative pertinenze (piazzali, parcheggi, ecc.) – trasportando con sé, materie prime, residui, scarti, rifiuti, sostanze varie, anche pericolose (a causa del dilavamento di dette superfici scolanti, impermeabili e scoperte) “in relazione alle attività svolte“ nei menzionati perimetri industriali (v. comma 3, dell’art.113).
 
Queste acque meteoriche, in base alla legge regionale, sono destinate, come evidenziato, ad essere convogliate, separate, raccolte e trattate prima di essere immesse nei menzionati corpi ricettori (fognatura, suolo, acque superficiali).
 
In conclusione, azzardando una possibile interpretazione del pensiero della Corte, si potrebbe ipotizzare che la decisione, in esame, ha ritenuto che, nel caso deciso, le acque meteoriche contaminate (da idrocarburi impiegati nello stabilimento) – “presenti sul piazzale” dove si trovava “il distributore carburanti Esso” – non rientrassero nelle ipotesi contemplate dall’art. 113, concernente “aree esterne” (riservate alle regioni).
 
In altri termini, quel Collegio ha considerato, presumibilmente, che detto piazzale/carburanti non configurasse un’area esterna (altrimenti si sarebbe ricaduti nei casi contemplati dall’art. 113) quanto un’area interna (e dunque ha concluso nel senso ricordato di “… esclusione… di ogni interferenza con la competenza regionale fissata dall’art. 113).
Ma, alla luce di quanto detto sopra, questo “piazzale” non può non qualificarsi come “area esterna” – a “.. rischio dilavamento di sostanze pericolose da superfici impermeabili scoperte”, ex comma 3, cit. – sita però all’interno dell’insediamento della s.r.l. Megas, di cui l’imputato era legale rappresentante.
In conclusione, l’”interferenza” sussiste, eccome (!), e l’argomento abbozzato dalla Corte, oltre ad essere oscuro, appare illogico e fuori dalla realtà fattuale e giuridica.
 
VI) Del pari poco comprensibile la chiusura finale della motivazione secondo cui – dopo la premessa (di principio) secondo la quale è “.. da escludere qualunque assimilazione di acque contaminate con quelle meteoriche di dilavamento” – la Corte aggiunge che “.. l’inquinamento del suolo mediante dispersione delle acque contaminate non può porsi in discussione”.
 
Questa sottolineatura, infatti, non dà alcuna nuova forza alla scarna e confusa motivazione richiamata. Perché anche nelle ipotesi d’inosservanza delle prescrizioni regionali, di cui all’art. 113 (che impongono particolari trattamenti per il rispetto dei limiti di emissioni imposti alle acque di dilavamento contaminate, anche ai fini del raggiungimento degli obiettivi di qualità dei ricettori), si possono verificare episodi di contaminazione del suolo (come accertato dalla Corte nella fattispecie decisa).
 
Con la rilevante differenza che, in questo caso (di verificato inquinamento del suolo) le sanzioni irrogabili avrebbero dovuto essere quelle (amministrative e penali) previste dall’art. 113, come chiarito dalla sentenza n. 2867/2014 e non le altre (e distinte sanzioni) poste a carico delle acque reflue industriali, come ritenuto dalla successiva pronuncia n. 2832/2015. [38]

6. Ultimi rilievi tecnico-giuridici

Sulla base delle considerazioni svolte e delle analitiche e argomentate motivazioni della decisione del 2014 della Suprema Corte, sopra rassegnate (v. par.5.) – non scalfite dalla pronuncia successiva della stessa sezione del 2015 – ritengo di poter rispondere ai quesiti che mi sono prospettato, nei seguenti termini, salvo una doverosa premessa terminologica.
La contrapposizione formulata nella rubrica dell’art. 113 (“acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia”) può essere chiarita nel senso che tutte le “acque di pioggia”, in via generale ed astratta, possono essere a rischio di contaminazione – per es. per dilavamento, ex comma 1, lett. b) o ex comma 3 (nella forma della “prima pioggia”) – ovvero esenti da tale rischio, con esonero da ogni prescrizione o vincolo (v. comma 2).
 
La distinzione operata dalla rubrica dell’articolo si giustifica perché la prima espressione (“acque meteoriche di dilavamento”) sta a indicare che detto fenomeno (di dilavamento) può verificarsi in qualsiasi occasione e momento in cui le precipitazioni atmosferiche non assumono le caratteristiche proprie delle “acque di prima pioggia”. Con quest’ultima espressione (a.d.p.p.) si intende individuare, specificamente e convenzionalmente, un dilavamento causato esclusivamente dai primi minuti di pioggia in una determinata superficie.[39] In questa prima fase di caduta, la pioggia si connota per una maggiore forza di rimozione e trascinamento (dilavamento) delle sostanze pericolose o pregiudizievoli (presenti sul sito dilavato) per i corpi ricettori (e dunque esse sono soggette ad un più alto rischio di contaminazione).
 
Mentre, con la distinta formula delle a.m. di dilavamento (delle superfici scoperte in relazione alle attività che in esse si svolgono o agli usi previsti), ci si riferisce a precipitazioni che non si esauriscono con le “acque di prima pioggia”, bensì si protraggono nell’arco di tempo in cui permangono gli eventi piovosi[40],. Le due nozioni, pertanto, non si identifichino in ogni circostanza.[41]
 
Nel merito e riassumendo:

  1. le acque meteoriche, di prima e seconda pioggia, sono state fatte oggetto, a partire dal 2006, di una disciplina autonoma, speciale, vincolante ed autosufficiente, in forza dell’art. 113[42] (come chiarito dalla Cassazione penale, nel 2014, in termini univoci: v. retro par. 5.2) senza poi subire alcuna successiva modifica (a differenza degli interventi modificativi registrati dall’art. 74, lett. h, sulla definizione delle acque reflue industriali, a partire dal 2008) che esclude il concorso o la sua sostituzione con la normativa statale sulle acque reflue industriali, per “assimilazione” (come riproposto, invece e da ultimo, in modo apodittico e confuso, dalla sentenza della stessa Corte n. 2832/2015: v. retro, par. 5.3);
  2. la competenza ad emanare la normativa sulle acque meteoriche è riservata alle regioni, in via esclusiva, previo parere ministeriale, e il relativo esercizio (ovviamente nel rispetto dei principi della legislazione sovraordinata), non è facoltativo ma doveroso (come si desume dal testo del comma 1, dell’art. 113, i cui verbi sono coniugati all’indicativo presente: “.. le regioni disciplinano e attuano”);
  3. la casistica dei recapiti, prevista dall’art. 113, si presenta molteplice e ciò, necessariamente, comporta una regolamentazione differenziata per le immissioni delle a.m. di dilavamento o di prima pioggia: 1) in fognatura, ex comma 1, lett. a), che seguirà la disciplina generale degli scarichi recapitanti in fognatura, come corpo ricettore (da tener distinta dalla regolamentazione degli scarichi provenienti dalle fognature che possono contenere anche acque meteoriche: v. art. 100 e ss.); 2) nelle acque superficiali o nel suolo e negli strati superficiali del suolo (ma non in acque sotterranee, ex comma 4);
  4. la normativa regionale sulle a.m. è doverosa, come rilevato, e se esistente (sul punto si sono registrati gravi e diffuse assenze e/o ritardi) può prevedere, a seconda delle caratteristiche delle acque, l’obbligo di: 1) immetterle nei corpi ricettori indicati, tramite autonome condotte; nel rispetto di determinate prescrizioni (per es. di trattamento e/o di autorizzazione: v. comma 1, lett. b e comma 3, con specifico riferimento alle acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne connotate dal rischio di dilavamento di sostanze pericolose, ecc.);
  5. il legislatore statale descrive l’intervento regionale, nel caso concreto, come sostanzialmente facoltativo (“…può essere richiesto”: v. comma 1, b) e comma 3). Ma, nella sostanza, sembra evidente – oltre che in linea con gli obiettivi di tutta la Parte III del TUA sulla tutela delle acque dall’inquinamento – che l’adozione di prescrizioni regionali specifiche, nella singola vicenda, si impone come doverosa in tutti i casi in cui si profili una situazione di “rischio” di dilavamento di sostanze pericolose e/o pregiudizievoli per la salute pubblica e per gli obiettivi di qualità dei corpi idrici e del suolo. In una battuta, l’eventualità dell’atto prescrittivo dipende dalla situazione di fatto (rischiosa o non rischiosa) non riguarda l’emanazione della disciplina generale e astratta, ex art. 113, sempre doverosa, in via preventiva (v. lett. d);
  6. sul piano concettuale e definitorio, la normativa regionale non regola un particolare tipo di “scarico” o di “acque di scarico”, in senso tecnico-giuridico, ex ’art. 74, lett. ff) e gg) cit. (v. retro); ma una fattispecie distinta di “immissione” – (termine concettualmente autonomo, usato dalla legge in modo consapevole: v. art. 113, comma 1, lett. b), secondo cui: “.. può essere richiesto che le immissioni delle a.m. di dilavamento siano sottoposte…ecc.”) – convogliata o meno con “condotte separate” – cui saranno destinate apposite prescrizioni (v. sopra sub d) in relazione (eventualmente) alle specifiche sostanze contaminanti e ai rischi che esse comportano. Dette prescrizioni non sono pertanto da confondere o da identificare tout court con i valori tabellari (limiti di accettabilità) previsti per gli scarichi, in senso proprio (ex art.74, lett. ff) ; ma vanno ricercate, nell’ambito della peculiare disciplina del TUA anche con riferimento a quelli funzionali al “…raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici” (v. testualmente il comma 3, dell’art. 113 e la parte III, Titolo II: artt. 76 e ss. del TU cit.);
  7. al di fuori della casistica indicata sub comma 1, lett. b) e commi 3 e 4 dell’art. 113 (che ricomprende, come ripetuto, le ipotesi di acque meteoriche a rischio di contaminazione) – e fatto salvo il divieto assoluto del comma 4 (posto a tutela delle acque sotterranee) – le acque di pioggia, ex comma 2, non ricadono sotto la (e quindi sono esonerate dal rispetto della) disciplina della Parte III del T.U. cit. (“Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse idriche”: v. artt. 53/176), proprio in considerazione della loro non pericolosità. Questo non esclude, peraltro, che, a certe condizioni, esse possano rientrare nelle previsioni della Parte IV del TUA, ove assumano la qualifica di “rifiuti allo stato liquido” e ne debbano seguire la disciplina amministrativa e penale;[43]
  8. escludo, invece, che sia attualmente possibile (recte: consentito) far ritorno, a fini definitori (e dunque di disciplina amministrativa e penale), alla categoria dell’assimilazione (delle acque meteoriche contaminate alle acque reflue industriali), sia a) in presenza della regolamentazione regionale contemplata dall’art. 113, per i motivi esposti in precedenza (anche a commento critico della sentenza della S.C. n. 2832/2015, ric. Mele, a par. 5.3); sia b) nei nell’ipotesi (non so quanto teorica) in cui la regione non abbia ancora legiferato in materia (in violazione dell’art. 113 che le imponeva di provvedere sin dal 2006…) e dunque in assenza di un’apposita disciplina. Tale soluzione ermeneutica, per gli argomenti sinora espressi, è da respingere decisamente. Non solo in quanto: 1) detto parametro (di qualificazione per assimilazione) risulta espunto definitivamente dal TUA, come decretato dalla pronuncia della Cassazione n. 2867/2014, esaminata retro (v. par.5.2). Ma anche perché: 2) l’art. 113 è chiamato a coprire tutta la casistica relativa alle acque meteoriche (contaminate o meno) e l’eventuale assenza di disciplina (per inerzia della singola regione) non giustificherebbe affatto il ricorso a criteri di applicazione “analogica” di una distinta normativa (quella sugli scarichi di acque reflue industriali, diversi dalle “immissioni” delle acque meteoriche) la quale – come evidenziato sopra (v. par.5.2.) – assume rilevanza anche in sede penale, ove è pacificamente bandita ogni interpretazione analogica. Ferma restando l’ipotesi, già prospettata sopra che dette acque possano essere qualificate, in concreto, come rifiuti allo stato liquido, con conseguente ricorso alla pertinente disciplina della Parte IV, TUA cit.

 

7. Conclusioni

 

  1. Per i motivi esposti, come ratificati, da ultimo, dalla Suprema Corte (con sentenza n. 2867/2014, commentata retro) il criterio di “assimilabilità” non è più previsto dalla legge, almeno a partire dal 2008. Come espressione d’indirizzi interpretativi della giurisprudenza e/o della dottrina, esso finisce per rappresentare ove recuperato – in considerazione della sua indeterminatezza e della applicazione di norme amministrative, e conseguentemente penali, poste per sanzionare esclusivamente le irregolarità degli scarichi delle acque reflue industriali (cui le acque meteoriche erano e, da ultimo, tornano ad essere erroneamente assimilate: v. par. 5.3) – un caso macroscopico di “applicazione analogica” della norma incriminatrice, in aperta e manifesta violazione dei principi, anche costituzionali, della determinatezza, tassatività e di interpretazione di stretto diritto, del precetto penale (nella specie dell’art. 137 TUA), ai sensi dell’art. art. 25[44] Cost., dell’art. 14, Preleggi[45] e degli artt. 1 e 2 codice penale;
  2. Il giudizio di “assimilabilità” si fonda su un criterio di classificazione che confligge (almeno a partire dal 2008), con la norma definitoria di cui all’art. 74, comma 1, lett. h). La quale, nella sua ultima versione, abbandona il parametro “qualitativo” (sulle caratteristiche inquinanti o meno) delle acque meteoriche, per dare esclusivo risalto al dato fenomenico della “provenienza” (le a. r. industriali derivano e sono prodotte: “da edifici e impianti con attività commerciali e di produzione di beni”; le a. meteoriche provengono da eventi naturali (cioè dalla prima e seconda pioggia); secondo peculiari modalità di rilascio (precipitazione atmosferica), ecc. (v. retro). Su questo dato di fatto incontrovertibile la disposizione dell’art. 74 cit. fonda e sancisce una dichiarata “diversità” nei seguenti termini: “.. le acque reflue industriali… sono diverse dalla acque reflue domestiche e dalle a. m. di dilavamento…” (cfr. la lett. h);
  3. le prescrizioni di cui all’art. 113 TUA, sulle “acque meteoriche di dilavamento e di prima pioggia”- in conformità alla sua rubrica e contenuto (definitorio e di disciplina) – si pongono concettualmente come “norme di specie” (o speciali), come tali distinte da quelle “generali” adottate per le acque reflue industriali;
  4. la ratio sottesa al principio della “assimilabilità” – mirata a sanzionare più severamente le vicende relative alle acque di pioggia contaminate da sostanze inquinanti, estranee alla loro qualità naturale – viene testualmente smentita e resa non utilizzabile nel momento in cui l’art. 113 conosce, espressamente e autonomamente, anche il fenomeno delle acque di pioggia contaminate o a rischio di contaminazione. In particolare, là dove prevede, previo parere ministeriale, che le regioni – proprio al fine di “prevenire rischi idraulici ed ambientali” – regolino le acque meteoriche, con appositi precetti di natura amministrativa o legislativa, sanzionati in sede amministrativa (v. art. 133, comma 9) e (anche) penale (v. art. 137, comma 9), imponendo:
     
    a) “forme di controllo degli scarichi delle acque di dilavamento” (v. comma 1, lett. a, dell’art. 113) e atti di assentimento e prescrittivi (comprese le autorizzazioni);c) l’obbligo di convogliamento e di trattamento – delle acque meteoriche di dilavamento (o di lavaggio) delle aree esterne – in impianti di depurazione, proprio nei casi tipici e più frequenti in cui in cui si faceva ricorso, in precedenza, al canone della “assimilabilità”. E cioè quando si presenta “.. il rischio di dilavamento, da superfici impermeabili scoperte, di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio alla qualità dei corpi idrici” e, a maggior ragione, “pregiudizio all’ambiente” e alla salute pubblica (v. p. 3 del comma 1, dell’art.113).
    b) “prescrizioni” relative anche a interventi sulla qualità delle acque meteoriche contaminate (per es. trattamenti) ovvero sul loro assoggettamento agli obblighi ed oneri di cui alla b), comma 1 e comma 3, dell’art. 113 (senza necessità di passare, pertanto, per il criterio della “assimilazione”);
    c) l’obbligo di convogliamento e di trattamento – delle acque meteoriche di dilavamento (o di lavaggio) delle aree esterne – in impianti di depurazione, proprio nei casi tipici e più frequenti in cui in cui si faceva ricorso, in precedenza, al canone della “assimilabilità”. E cioè quando si presenta “.. il rischio di dilavamento, da superfici impermeabili scoperte, di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio alla qualità dei corpi idrici” e, a maggior ragione, “pregiudizio all’ambiente” e alla salute pubblica (v. p. 3 del comma 1, dell’art.113)[46]. In una battuta: la norma speciale (art. 113), nei suoi quattro commi, rende – oltre che illegittima – del tutto ultronea e incongrua l’applicazione del criterio dell’assimilabilità.
  5. la disciplina regionale è stata considerata – dal legislatore statale del TUA – come autonoma, speciale, adeguata e sufficiente a regolare tutto intero il fenomeno della gestione delle acque meteoriche di dilavamento anche contaminate, accanto a quelle naturali non contaminate (ex comma 2, e comunque non previste dai commi 1, 3 e 4 dell’art. 113). Con esplicita ed evidente esclusione, secondo le regole della logica “a contrario”, del concorso di altre discipline (amministrative e penali) destinate a diverse tipologie di “acque di scarico” (come per es. quelle reflue industriali) e con implicito divieto di ricorrere agli strumenti della “analogia” o, più specificamente, della “assimilazione”;
  6. violazioni delle prescrizioni regionali meno gravi, sono punite, in via generale, dallo Stato, sempre in forma autonoma e autosufficiente, con sanzioni amministrative pecuniarie, come risulta dal comma 9, dell’art. 133, TUA, con riferimento alle ipotesi dell’art. 113, comma 1, lett. b). Mentre, per le più gravi infrazioni, la legge statale prevede la sanzione penale, ex comma 8, dell’art. 137, con riguardo all’inosservanza delle condotte imposte dalle regioni, ai sensi del comma 3, dell’art. 113 (convogliamento delle acque meteoriche, trattamento depurativo, ecc.), assicurandosi, in tal modo, un regime sanzionatorio equivalente, in termini punitivi e di dissuasione preventiva, a quello diretto alle a. r. industriali.E’ ben vero che il comma 8, dell’art. 137 cit. rimanda alla sanzione di cui al suo comma 1 – che punisce i titolari degli scarichi delle acque reflue industriali rilasciati senza la preventiva autorizzazione o con autorizzazione sospesa o revocata. Ma quest’identità di trattamento punitivo (di natura penale) – lungi dal rafforzare (o dare fondamento a) la tesi della “assimilazione” (fra i due tipi di scarichi: acque meteoriche e a. r. industriali) – va spiegata, molto più semplicemente e correttamente, con la determinazione della pena, da parte del legislatore, non in forma autonoma e diretta, ma in modo indiretto, richiamando altra norma penale (relativa a distinta fattispecie di reato). Cioè con un mero rinvio ”quoad poenam”.

 

[1] Sia perché il rifiuto può assumere, in linea di principio, anche la forma liquida (oltre che quella solida, semisolida, gassosa, ecc.) sia perché potrebbe non essere invocabile l’esclusione dal regime dei rifiuti prevista solo per le “acque di scarico”, di cui all’art. 185, comma 2, lett. a) o per gli “scarichi idrici”, di cui alla definizione dell’art. 183, comma 1 lett. hh), della Parte IV, del TUA cit. (in cui non rientrano le acque meteoriche di dilavamento). In tema v., da ultimo, S. Giampietro e A. Scialò, Il discrimine fra lo scarico delle acque meteoriche di dilavamento e il loro smaltimento come rifiuti liquidi, in Lexambiente.it, a cura di L. Ramacci, 25.3.2013. Val la pena ricordare che l’art. 113 cit. ricalca sostanzialmente l’art. 39 del d. lgs. n. 152/1999; mentre la c.d. legge “Merli”, n. 319/1976 ignorava le acque meteoriche.
[2] Come per i reflui industriali; su ciò v. oltre.
[3] Sul piano tecnico (non normativo), detta nozione può essere così espressa: “…le acque meteoriche di dilavamento possono essere definite come la frazione delle acque di una precipitazione atmosferica che, non infiltrata nel sottosuolo o evaporata, dilava le superfici scolanti. Appartengono a questa categoria: le acque di prima pioggia e le acque di seconda pioggia”. Per acque di prima pioggia si intendono i primi 5 mm di acque, per ogni evento meteorico e per ogni metro quadrato di superficie impermeabile dotata di rete drenante. Ai fini del calcolo delle portate, si stabilisce che tale quantitativo di acqua raggiunge la superficie impermeabile in 15 minuti. Sul tema, v. anche più avanti.
[4] Pur essendo stata accolta e fatta propria, da tempo, anche dalla giurisprudenza di legittimità; si veda, ex multis, Cass. pen. Sez. III, 11 ottobre 2007, n. 40191.
[5] Un ruolo decisivo, per la definizione delle acque meteoriche di dilavamento continua a essere svolto dalla legislazione regionale, richiamata a note 8 e 12. Si tenga conto, comunque, dall’elaborazione giurisprudenziale che non ha cessato di ricondurle, in taluni casi, alla nozione di “scarico” e al connesso regime, anche penale, degli effluenti industriali (v. oltre).
[6] Le acque reflue domestiche, ai sensi dell’art. 74, lett. g) del TUA, sono, a loro volta, “le acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche”.
[7] V., in proposito, L. Fanizzi, Le acque meteoriche di dilavamento contaminate da sostanze inquinanti, anche pericolose, sono acque di prima pioggia”, in www.lexambiente.it.
[8] Per un esempio di normativa aggiornata per disciplinare le acque meteoriche di dilavamento e di prima pioggia, adottata in attuazione dell’art. 113 TUA, con indicazione dei principi generali, definizioni, recapiti, trattamenti, regimi autorizzatori ecc. v. il Regolamento Regionale 9 dicembre 2013, n. 26 della Regione Puglia (in Boll. Uff. R. P. n. 166 del 17.12. 2013).
[9] Questo il testo della lett. cc): “inquinamento: l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze o di calore nell’aria, nell’acqua o nel terreno che possono nuocere alla salute umana o alla qualità degli ecosistemi acquatici o degli ecosistemi terrestri che dipendono direttamente da ecosistemi acquatici, perturbando, deturpando o deteriorando i valori ricreativi o altri legittimi usi dell’ambiente”. V. oltre n.12.
[10] Del seguente tenore:
1. Ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, le regioni, previo parere del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, disciplinano e attuano:
a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate;
b) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione.
Le acque meteoriche non disciplinate ai sensi del comma 1 non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dalla parte terza del presente decreto.
Le regioni disciplinano altresì i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici”.
È comunque vietato lo scarico o l’immissione diretta di acque meteoriche nelle acque sotterranee”.
Per la violazione del comma 4 non è prevista espressamente alcuna sanzione, anche se opera, in via generale, il divieto dell’art. 104, TUA, sanzionato dall’art. 137, comma 11.
[11] V. L. Fanizzi, op.cit., il quale opportunamente distingue il caso degli scarichi delle acque meteoriche di dilavamento provenienti dalle reti fognarie, anche separate degli agglomerati – sottoposti alla disciplina degli scarichi ex art. 113, comma 1, lett. a) e a forme particolari di controllo (con il conseguente rispetto dei valori limite previsti dall’Allegato 5 della Parte III) – dalle acque meteoriche di dilavamento scaricate con “altre condotte separate”, ex art. 113, comma 1, lett. b), su cui v. oltre.
[12] È noto che le Regioni si sono adeguate, solo tardivamente, alle previsioni dell’art. 113 cit. del TUA; una delle prime – che si è tempestivamente dotata di una specifica normativa in materia di acque di prima pioggia, indicando le ipotesi in cui sussiste l’obbligo di trattamento delle stesse – è stata la Lombardia che ha emanato un apposito regolamento, il n. 4 del 24 marzo 2006, dopo la l.r. n.62/1985. In seguito anche altre Regioni hanno dato piena attuazione all’art. 113 cit., ricalcando, prevalentemente, la normativa lombarda.
Si vedano le prescrizioni delle regioni Liguria (R.R. 10.7.2009 n.4), Piemonte (D.P.G.R. 13/R 4.12.2006), Veneto (D.G.R. n. 2884 del 29.9.2009), Friuli Venezia Giulia (L.R. N. 16 del 5.12.2008), Emilia Romagna (Delib. n.2184 27.12.2007), Toscana (L.R. 28/2010 che modifica la Legge Regionale 20/2006), Umbria (DGR 9.7.2007, n. 1171), Lazio (D.C.R. 27/09/07, n.42), Campania (D.C.R. 6/07/2007, n.1220). In tema, di recente, si veda il denso e condivisibile contributo di A. Muratori, Acque meteoriche di dilavamento: cosa sian nessun lo dice, che ci sian ciascun lo sa…”, in Ambiente&Sviluppo, n. 3/2014, pagg. 190 e ss., il quale offre un concreto e documentato approfondimento: sulla tipologia delle acque di pioggia (come fenomeno naturale) e della loro definizione giuridica, come contrapposta alla nozione di acque reflue industriali; del ruolo centrale che ha giocato, nel ricorso al criterio della “assimilazione”, l’art. 74, comma 1, lett. h) del TUA, nella sua duplice versione; dell’atteggiamento “imperterrito”, “ignaro” e “autoreferenziale” della Cassazione penale su questo argomento, nel passato come al presente (ed aggiungo, anche con riferimento al futuro, considerata la pronuncia di Cass. pen. Sez. 3, n. 2832/2015, commentata, infra, a par. 5.3 della presente nota, non conosciuta, per ragioni cronologiche, dall’A.); dell’adesione piena, e argomentata, alla decisiva, anche se tardiva, sentenza n. 2867/2014 (su cui v. oltre par. 5.2.).
[13] Si tenga conto che l’art. 137, comma 9, individua la suddetta sanzione penale “per relationem” allorché dispone che “Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell’articolo 113, comma 3, è punito con le sanzioni di cui all’articolo 137, comma 1”, senza alcuna volontà di “assimilazione” delle acque meteoriche alle acque reflue industriali (v., sul punto, infra).
[14] Per una panoramica esauriente della legislazione, della giurisprudenza e dottrina sul tema, sino al 2011 v. P. Fimiani, “La tutela penale dell’ambiente, Milano 2011, pag. 122 e ss. e gli AA. citt. oltre.
[15] Per il passato, si rimanda alle vicende considerate, in specie, da: Cass. pen. Sez. III, n. 6195/1993; n. 7041/1990; n.7598/1989; n. 6410/1991; n. 5629/1994; n. 589/1998, Cass. pen. Sez. III, n. 772/2010. V. oltre, note 18, 19, 21 e 24.
[16] Qualche volta il criterio dell’assimilabilità è stato giustificato da ragioni “dimensionali”, con riferimento all’organizzazione complessa dell’attività da cui proveniva lo scarico.
[17] Ho coniugato il verbo (“dovrebbe”) al condizionale con specifico riferimento all’attuale normativa sulle acque di pioggia che, per quanto detto, mostra di aver abbandonato definitivamente il parametro della “assimilabilità” (anche per le ulteriori ragioni che seguono). Ma è comunque doveroso segnalare che ad esso si è fatto diffuso ricorso, in passato ma anche al presente (v. oltre, par. 5.3).
[18] E’ appena il caso di aggiungere che detto criterio della “assimilabilità delle acque (reflue e non) allo scarico industriale – pur giustificato da ragioni sostanziali (fondate sulla natura e pericolosità dello scarico/immissione e sui principi comunitari di “prevenzione e di precauzione”, ormai penetrati nella legislazione interna: v. l’art. 3ter del TUA) – doveva essere interpretato, comunque, come una regola eccezionale e dunque di “stretta interpretazione” (con esclusione dell’applicazione in forma analogica). V. ex multis, Cass. pen., Sez. III, n. 2292/2007 e n. 1420/2006.
[19] In tema, v. G. Amendola, Acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia, Documenti 2009, in dirittoambiente.net, il quale – dopo aver correttamente osservato che “… in ogni caso, con la sola eccezione delle acque meteoriche di dilavamento di cui al punto a) (immesse con condotte separate), le acque meteoriche sono escluse dalla regolamentazione degli scarichi della parte terza del D.Lgs. 152/2006…” – reintroduce, in coda alla sua nota, surrettiziamente, il criterio dell’assimilabilità delle acque meteoriche agli scarichi delle acque reflue industriali in caso di “contatto con fonti inquinanti ”. A dimostrazione del suo assunto, detto A. si limita a richiamare le note pronunce della S.C. n. 41850/2008, Margarito; n. 19126/2001, Fiorini; n. 12196/1999, Bosso; n. 17 dicembre 2002, Zanotti; n. 1359/2005, Germondani, senza considerare che si tratta di decisioni assunte: a) prima dell’entrata in vigore del TUA del 2006 ovvero prime delle modifiche all’art. 74 cit. ad opera del d. lgs. n. 4/2008; b) ma, soprattutto, e nel merito, non tenendo conto che l’art. 113, per volontà del legislatore statale, detta una disciplina espressa, autonoma e mirata (di fonte regionale), proprio nei casi in cui, tanto le acque meteoriche che quelle di prima pioggia, a causa del “dilavamento”, perdono la loro originaria “purezza” – venendo a contatto “con sostanze pericolose… giacenti sulle superfici impermeabili scoperte” (“sostanze o materiali necessariamente connessi o “non connessi“ con le attività (ivi) esercitate“) – e dunque, come per le acque reflue industriali, creano “rischi” o “pregiudizi” per la salute pubblica o per la “qualità dei corpi idrici” (come si desume dalle esplicite previsioni del comma 1, lett. b) e comma 3, dell’art.113); c) senza conoscere, per ragioni cronologiche, il successivo orientamento della Cassazione penale (di cui a sentenza n. 2867/2014, su cui v. oltre) che supera motivatamente i suoi precedenti indirizzi con motivazione articolata, coerente e del tutto appagante; d) e senza indicare, infine, come si risolve il concorso fra le disposizioni amministrative e penali, connesse alla applicazione/violazione dell’art. 113, che si riferisce al rischio di dilavamento delle sostanze pericolose o pregiudizievoli per gli obiettivi di qualità dei corpi idrici, con le concorrenti discipline, amministrative e penali, proprie dello scarico industriale che contemplano gli stessi rischi (scarico industriale in cui si convertirebbe…. l’immissione delle acque meteoriche di dilavamento…). In argomento, v. A. Muratori, op. cit., che, richiamando le tesi di Amendola, sull’attuale assimilabilità delle acque meteoriche di dilavamento contaminate alle acque reflue industriali, la considera “.. una ingegnosa spiegazione… non condivisibile, secondo chi scrive, e senza dubbio assai forzata” in quanto fondata sulla “… (presunta) irrilevanza della riforma operata dal D.Lgs. n. 4/2008…”(v. nota 10, dell’articolo di Muratori cit.).
Fermo restando, come segnalato, che il T.U.A., all’art. 101, comma 7, lett. a/f) conosce ancora un tipo di “assimilazione” – con portata contraria a quella in esame – e cioè di acque reflue provenienti da imprese o da determinati impianti che vengono assimilate, “ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni…” alle acque reflue domestiche. Tale forma di assimilazione era riconosciuta anche dal d. lgs. n. 152/1999, ex art. 28, comma
[20] La legge fa riferimento ovviamente “ al ciclo di produzione del refluo”, con riguardo allo scarico di acque reflue industriali cioè ad un presupposto di fatto che non è in alcun modo riferibile alle acque meteoriche neppure per analogia o estensione (v. oltre sul punto).
[21] Merita aggiungere, per completezza, che il caso in esame (acque meteoriche contaminate) era ed è avvicinato alle acque di lavaggio che producano dilavamento – da superfici impermeabili scoperte – di sostanze pericolose o pregiudizievoli per la qualità dei corpi ricettori. Anche in questa evenienza la giurisprudenza appariva concorde nell’assimilare queste acque – oggetto di un’attività volontaria e consapevole – agli scarichi di acque reflue industriali”. Nell’odierna vigenza del T.U., si tenga conto anche di: Cass. pen., sez. III, n. 21119/2007, secondo cui: “….l’art. 2, lett. h, del d. lgs. n. 152/199 – come modificato dal D.Lgs. n. 258/2000 (ora trasfuso nell’art. 74, comma 1, lett. h) del D.Lgs. n. 152/2006) – definisce “acque reflue industriali” qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od istallazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche o di dilavamento. Il refluo deve essere considerato nell’inscindibile composizione dei suoi elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta di liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli delle acque meteoriche o dei servizi igienici immessi in un unico corpo recettore”. Affermazione di principio esatta, come si osserva nel testo, a condizione che le acque meteoriche siano miscelate con le acque reflue industriali tanto da formare un unico effluente ed un unitario scarico (appunto di acque reflue industriali). Ma le fattispecie previste dall’art. 113, comma 1, lett. b) e comma 3, sono diverse, trattandosi di: immissione di acque meteoriche di dilavamento “effettuate tramite altre condotte separate”, ovvero acque di prima pioggia autonomamente “convogliate ed opportunamente trattate”. Si veda la nozione di fognatura separata sub ee) dell’art. 74, cit.
[22] Che suonava: “Acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali” (acque meteoriche di dilavamento: nota dello scrivente) “anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento“. L’amputazione riguarda tutto il periodo successivo alla parola “dilavamento”.
[23] Le acque reflue industriali sono indissolubilmente connesse, ai fini della loro classificazione giuridica, al “ciclo di produzione del refluo”, cioè ad una propria, distinta “provenienza”. In tema si veda, in vigenza del d.lgs. n. 4/2008, Cass. pen 22 maggio 2008, n. 2711, Giangrande che riconduce (in modo del tutto forzato e contrario al significato proprio delle parole) alla nozione di acque reflue industriali le acque derivanti dal lavaggio dei piazzali adibiti allo stoccaggio dei rifiuti o dei mezzi adoperati per il trasporto, confondendo dette acque con i reflui industriali (che, come è noto, derivano “dallo svolgimento di una qualsiasi attività commerciale o produttiva”) . Sulle acque di lavaggio la legislazione regionale è concorde nel descriverle come: “acque, comunque approvvigionate (attinte o recuperate) utilizzate per il lavaggio delle superfici scolanti e qualsiasi altra acqua, non di origine meteorica, che interessi direttamente o indirettamente dette superfici. Per superficie scolante si intende l’insieme delle strade, cortili, piazzali, aree di carico e scarico e di ogni altra superficie scoperta resa impermeabile. In tema vedi, comunque, oltre nel testo.
[24] Cfr. Cass. Pen. Sez. III n. 40191 del 11.10.2007, Schembri.
[25] V. la sentenza della S.C. citata a nota precedente.
[26] Come dire che l’attuale dettato dell’art. 74, lett. h), esclude che, ove le acque meteoriche di dilavamento e le reflue industriali presentino delle comuni sostanze inquinanti, debbano essere assoggettate al medesimo regime delle acque reflue industriali, ai fini della tutela ambientale, essendo stato implicitamente abrogato – si ripete – il criterio delle “caratteristiche qualitative” ed estendendosi l’autonoma disciplina dell’art. 113 proprio ai casi di acque meteoriche contaminate o a rischio di contaminazione da dilavamento (circostanza e criterio su cui poggiava il giudizio dell’assimilazione). V., anche le ragioni espresse nei paragrafi successivi fatte proprie dalla S.C. nel 2014.
[27] Si ha un riscontro della sostanziale correttezza di considerare le acque meteoriche, anche contaminate, come non assimilabili ai reflui industriali, secondo la volontà del legislatore, anche nell’originaria versione dell’art. 74, lett. h), quando esse erano qualificate tali (meteoriche) “… anche se venute a contatto con sostanze o materiali anche inquinanti” (affermazione che non avrebbe avuto senso ove si tenesse per fermo, in termini assoluti, il criterio qualitativo e non della provenienza o meno dalle attività industriali e commerciali). Si vuol ribadire, in sostanza, che il criterio della qualità/assimilabilità (delle acque) – concepito ai fini di una maggiore tutela dei corpi ricettori – era già parzialmente contraddetto dal 2006 (in base alla lett. h, dell’art. 74 cit.), anche se in una sfera più limitata di casi. Sulle conclusioni cui pervengo nel testo, converge grande parte della dottrina (autorevolmente “avallata” dalla S.C. con la sentenza n. 2867/2014, commentata, infra) richiamata, da ultimo, nell’articolo di A. L. Vergine, L’evanescente certezza del diritto. La “marcia indietro” della Cassazione in tema di acque meteoriche di dilavamento” (di prossima pubblicazione in Riv. Giur. dell’ambiente, gennaio 2015, gentilmente inviatomi in visione dall’A.) la quale, proprio con riferimento alle incertezze, ai contrasti e alla assoluta instabilità degli indirizzi della S.C. (anche in relazione a questo specifico tema della corretta classificazione delle acque meteoriche e di prima pioggia e alla loro assimilabilità o meno alle a. r. industriali) evoca in esordio alla sua approfondita e brillante nota (a commento della più recente Cass. pen. n. 2832/2015, ric. Mele), le gravi conseguenze – teoriche e pratiche – di tanta instabilità di indirizzi e, per ciò stesso, il crescente affievolimento della c.d. funzione nomofilattica della Corte il cui “destino” sarebbe ormai segnato… (i richiami alla dottrina, recente e meno recente, sono soprattutto a note 1, 2 e 6 ).
Nel merito, poi, in considerazione delle modifiche apportate all’art. 74, lett. h), dal d. lgs. n. 4/2008, l’A., dopo un’articolata argomentazione sulle ragioni (opposte) espresse da una motivazione della S.C. (del 2015) “.. ad avviso di chi scrive, per nulla convincente”), conclude nel senso che “.. E’ evidente che, secondo le disposizioni di legge dal 2008 vigenti, le acque meteoriche di dilavamento, contaminate o meno che esse siano e, nel caso lo siano, contaminate da sostanze connesse o non connesse con “le attività esercitate nello stabilimento”, non potranno mai venir ricondotte alla tipologia delle acque reflue industriali perché è lo stesso legislatore che, non solo a nostro avviso, e senza possibilità di dubbio interpretativo, dal 2008 ci dice che sono “altra” cosa rispetto a quelle..”.
[28] Ricondotto, dal giudice di merito, al reato di cui “… agli artt. 124, 101 e 137 D.Lgs. 152/06, poiché (l’imputato) avrebbe realizzato un nuovo scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione, precisamente sul piazzale asfaltato .. dello stabilimento dove (l’imputato) stoccava all’aperto le bobine – costituenti la materia prima per la realizzazione di cartone ondulato – così che le acque meteoriche di dilavamento trascinano poltiglia e frammenti di carta mescolandosi a questi e si trasformano in acque meteoriche contaminate che confluiva, senza alcun trattamento ed unendosi alle acque non contaminate proveniente dai tetti, nei tombini di raccolta e quindi scaricava sul suolo, provocando l’imbrattamento del terreno ed infine le recapitava nel corpo recettore Fosso del Molino…».
[29] Per errore materiale è indicata una lettera sbagliata (lett. g) anziché, come dovuto, la lett h).
Il tema della decisività delle modifiche apportate all’art. 74, lett. h) è valorizzato a A. Muratori, op. cit. il quale afferma, come dato pacifico, che: “.. Dalla nuova formulazione declaratoria di acque reflue industriali si poteva facilmente dedurre la sopraggiunta (assoluta) impossibilità di qualsivoglia assimilazione/equiparazione, alle acque reflue industriali, delle acque meteoriche di dilavamento, a prescindere dal loro grado di contaminazione o provenienza delle sostanze o materiali inquinanti coi quali fossero venute a contatto e dalla eventuale circostanza che la legge regionale prevedesse o meno un provvedimento autorizzatorio ad hoc ex art. 113, comma 1, lett. b), comunque diverso da un’autorizzazione allo scarico di acque reflue industriali”….
[30] Che detta: “Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle Regioni, ai sensi dell’articolo 113, comma 3, è punito con le sanzioni di cui all’articolo 137, comma 1”. Sull’importante “presa d’atto” della sentenza in commento n. 2867/2014, cfr., ancora, A. Muratori, op. cit., il quale la ritiene “importante” perché “.. contribuirà, senza dubbio, ad una più omogenea applicazione delle disposizioni sulle acque meteoriche di dilavamento – malgrado l’eterogeneità della disciplina regionale – anche sul fronte del regime sanzionatorio, relativamente al quale potranno essere applicate sanzioni esclusivamente ammnistrative per tutte le violazioni.. dell’art. 113, comma 1, compresa l’attivazione dello scarico di acque meteoriche di dilavamento, anche contaminate, in assenza di autorizzazione, qualora prescritta dalle pertinenti disposizioni regionali…” (pag. 194, colonna 2).
[31] Ci si riferisce al periodo finale della lett. h) dell’art. 74, successivo alla parola “dilavamento” che dettava: “ intendendosi per tali” (acque meteoriche di dilavamento: nota dello scrivente) “anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento“. V. retro, n. 22.
[32] Cioè quella relativa alla definitiva soppressione del criterio dell’assimilabilità, proprio a causa della “eliminazione dell’inciso”: v. retro, par. 5.2.
[33] Come riprese dalla legislazione regionale. V. retro, note 3, 5, e 12.
[34] Come definite anche dalla normativa regionale, su cui vedi . nota precedente.
[35] Si rinvia a nota 33.
[36] Che, secondo la Cassazione del 2015, dovrebbero essere senza “contaminazioni di sorta”(!?).
[37] V. n. 12.
[38] Le conclusioni sopra esposte si presentano sostanzialmente conformi a quelle raggiunte, con autonomi ed ulteriori argomenti, da A. F. Vergine, op. cit. la quale “contesta” alla motivazione della S.C. (“per nulla convincente”) molte, serie e stringenti obiezioni: con riferimento: ai criteri adottati, ancora una volta fondati.. sul parametro “qualitativo”, riferito alle acque meteoriche che raccolgono sostanze inquinanti, del tutto superato dal d. lgs. n. 4/2008; alla contrapposizione fra scarico (delle a.r. industriali) e “dispersione delle a. meteoriche; alla decisiva valorizzazione dell’art. 113, attributivo della competenza all’autonomia delle regioni; a proposito delle ragioni per cui “non si riesce a immaginare” che le acque meteoriche di dilavamento siano solo quelle che “non subiscono contaminazioni di sorta”, come sostiene la S.C.; alla “sbrigativa affermazione della Corte relativa alla negata interferenza di questa singolare tesi interpretativa (della “omessa definizione” delle acque meteoriche) con la competenza regionale di cui all’art. 113”; al regime amministrativo e penale e alla sua applicabilità o meno, in assenza della normativa regionale, ecc. (tutti temi a cui l’A, ha dato delle risposte ragionate e convincenti a confutazione delle apodittiche asserzioni della Corte) sino a concludere – con un accorato auspicio di superamento del presente “arresto” giurisprudenziale – che ci troviamo di fronte ad una pronuncia da “trascurare”, una sorta di “inciampo decisionale
[39] Per la relativa definizione tecnica, v. reto, nota 3.
[40] In linea generale tali condizioni si danno quando non sono state adottate le misure idonee ad evitare o contenere, durante il periodo di pioggia, il dilavamento delle zone in cui si svolgono fasi di lavorazione o attività per es. di deposito e/o stoccaggio di materie prime o di scarti ovvero di rifiuti. Si pensi, altresì, a lavorazioni che non possono essere svolte in ambienti chiusi, o per le quali non si possono attuare misure o interventi di protezione dalle acque di pioggia; oppure allo svolgimento di attività intrinsecamente inquinanti.
[41] In questo senso non mi sembra puntuale il titolo della nota di L. Fanizzi cit. che recita: Le acque meteoriche di dilavamento contaminate da sostanze inquinanti, anche pericolose, sono acque di prima pioggia” dal momento che la contaminazione – oltre che dalle acque di p.p. – potrebbe verificarsi anche in tempi successivi (e in circostanze diverse) rispetto alla prima pioggia.
[42] Anche se sostanzialmente ripetitiva dell’art. 39, del d.lgs. 152/1999.
[43] In tema, si rimanda alle indicazioni di nota 1.
[44] Che dispone: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Il principio di tassatività e determinatezza della legge penale, quale corollario del principio di legalità, è stato affermato dalla Corte cost. sin dagli anni ’80 del secolo scorso: cfr., ex multis, Corte cost. sentenze n. 364/1988 e n. 327/2008.
[45] Il quale recita: “Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati. Il divieto di analogia è rivolto al giudice, o comunque all’interprete del diritto penale. In virtù del principio di analogia non è possibile applicare ad una fattispecie una regola prevista per un caso simile”.
[46] Oltre al divieto assoluto del comma 4 che detta: “È comunque vietato lo scarico o l’immissione diretta di acque meteoriche nelle acque sotterranee”.

 

 

Torna all'elenco completo

© Riproduzione riservata