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Stefano Maglia

Le differenze tra acque reflue domestiche e industriali

di Stefano Maglia

Categoria: Acqua

Le tre tipologie di acque di scarico delineate dal D.L.vo 152/06 ripropongono quelle precedenti previste dal D.L.vo 152/99, ovvero le acque reflue domestiche, le acque reflue industriali, le acque reflue urbane.
Le “acque reflue domestiche” sono le “acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche” (art. 74, c. 1, lett. g) e sono caratterizzate da alcune parole chiarissime:

  • residenziale – servizi;
  • metabolismo umano;
  • attività domestiche.

 

Tutte queste terminologie sono unite da una “e” e non da una “o”. La sinergia di comune denominatore tra queste terminologie limita il concetto al campo residenziale; il termine di “servizi” estende il campo applicativo della definizione a una realtà diretta verso criteri esterni, ma pur sempre connessi agli altri due punti cardine seguenti.
 
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Infatti, la fonte di questo scarico deve essere prevalente come metabolismo umano il quale resta comunque inderogabilmente legato a una funzione di fisiologia naturale umana. Ulteriore concetto di identificazione della definizione è “l’attività domestica”, la quale è legata anche essa al circuito chiuso con la precedente identità di qualificazione da una “e” e non da una “o”.
 
Il che significa che non solo a livello di componente tale scarico deve derivare prevalentemente da un metabolismo umano strutturalmente inserito in una realtà socialmente classificabile come residenziale o al massimo di servizio come sopra esposto, ma tutto ciò deve essere caratterizzato da una fisionomia connessa alle attività domestiche.
La seconda importante definizione riguarda lo scarico di “acque reflue industriali”. La norma, come modificata dal D.L.vo 4/2008, recita che tale scarico è caratterizzato da “qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diversi dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento …” (art. 74, comma 1, lett. h).
 
Il concetto di “attività commerciali o industriali”, fortemente sinergico perché rappresenta la fonte delle acque reflue industriali, è delineato da “qualsiasi stabilimento nel quale si svolgono attività commerciali o industriali che comportano la produzione, la trasformazione ovvero l’utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella 3 dell’allegato 5, ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti la presenza di tali sostanze nello scarico”. Si tratta di due ipotesi di cui la prima si articola a sua volta in due punti distinti. Tale definizione si riferisce dunque, in primo luogo, sia alle attività commerciali che industriali.
 
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In altre sedi abbiamo sostenuto, e qui lo confermiamo, che la definizione precedente alle modifiche del D.L.vo 4/2008 fondava la diversità delle acque reflue industriali dalle acque reflue domestiche su un criterio di differenza qualitativa (si leggeva infatti “differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento”); al riguardo si rammenta che secondo Cass. III Pen., n. 21119 del 29 maggio 2007, ric. B. nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche.
 
Dopo l’intervento della novella del 2008, il nuovo criterio è senza dubbio quello della differenza della “provenienza”, proprio perché la caratteristica delle acque industriali è quella di essere scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni.
 
Da ultimo, si ricorda che il concetto di assimilabilità (di cui si dirà più avanti), lungi dal trovare una sua definizione nella normativa vigente, rimane comunque un’alternativa ampiamente sfruttata, anche se non sempre nella maniera opportuna: infatti, l’art. 101, c. 7, D.L.vo 152/06 individua sì un elenco tassativo di casi in cui determinate tipologie di acque reflue sono assimilate ex lege alle domestiche, ma poi alla lett. e) lascia un ampio margine di autonomia alla potestà normativa regionale, la quale, di fatto, può vanificare il suesposto principio giuridico.
 
Infatti, detta norma (il c. 7 della lett. e) dell’art. 101, D.L.vo 152/06 cit.) prevede che “sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue … aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale”. Al riguardo, le differenti disposizioni regionali che si possono rinvenire nel ns. panorama normativo sono la conseguenza di quel concetto, non definito, ma facilmente oggetto di interpretazioni più o meno estensive da parte delle Regioni, di “equivalenza” previsto dall’art. 28, c. 7, D.L.vo 152/99, prima, e dall’art. 101, c. 7, D.L.vo 152/06, poi: “si tratta dunque, … di una vera e propria norma bianca di apertura verso la disciplina regionale che sostanzialmente diventa arbitra in tutta questa delicata materia”.
 
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Ciò fa sì che, in conclusione, stante il principio generale per cui l’identificazione delle acque reflue industriali non avviene più secondo un criterio qualitativo, ma di provenienza, l’inciso di cui all’art. 101, c. 7, lett. e) incrina questo sistema, in quanto lascia alle Regioni la facoltà di indicare le caratteristiche qualitative ritenute equivalenti alle domestiche.
 
In materia di distinzione tra acque reflue industriali e acque reflue domestiche, anche la giurisprudenza è sostanzialmente conforme: Corte di Cassazione, Sez. III Penale, n. 12865 del 24 marzo 2009, Ric. B. ha sentenziato che nella nozione di acque reflue industriali di cui all’art. 74, c. 1, lett. h), del D.L.vo 152/2006, rientrano tutti i tipi di acqua derivante dallo svolgimento di attività produttive, poiché detti reflui non attengono prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue domestiche prevista dall’art. 74, c. 1, lett. g), del D.L.vo 152/2006.
 
In maniera chiara ed incisiva Cass. III Pen. n. 35870 del 3 settembre 2004 stabilisce che “la distinzione fra acque reflue domestiche ed acque reflue industriali non è determinata dal grado o dalla natura dell’inquinamento delle acque, ma esclusivamente dalla natura delle attività dalle quali provengono, così che qualunque tipo di acqua derivante dallo svolgimento di un’attività produttiva rientra fra le acque reflue industriali, ed il suo scarico in difetto di autorizzazione configura il reato di cui all’art. 59 del D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152” (oggi art. 137 del D.L.vo 152/2006).
 
Nello stesso senso va letta Cass. III Pen. n. 978 del 20 gennaio 2004, ric. M., la quale partendo dalla fattispecie dei reflui da attività di carrozzeria dispone che gli stesi devono essere considerati “acque reflue industriali, non assimilabili a quelle domestiche – poiché non ricollegabili al metabolismo umano e non provenienti dalla realtà domestica”.
 
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Con qualche tentennamento Cass. III Pen. n. 42529 del 14 novembre 2008, ric. A. ricordava che “il refluo deve essere considerato nell’inscindibile composizione dei suoi elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta di liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli delle acque meteoriche o dei servizi igienici, immessi in un unico corpo recettore … Ne consegue che rientrano tra le acque reflue industriali quelle che possiedono qualità, necessariamente legate alla composizione chimico – fisica, diverse da quelle proprie delle acque metaboliche e domestiche”.
 
Infine, si cita per completezza anche Cass. III Pen. n. 42932 del 19 dicembre 2002, ric. B, secondo la quale “nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche … Conseguentemente, rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi”.
 
Per quanto concerne la definizione di acque reflue industriali sono, pertanto, da considerarsi tali anche quelle derivanti da attività industriali che danno luogo ad un unico scarico finale in cui confluiscono anche eventuali reflui domestici, si ritiene pertanto che debba prevalere l’attività e quindi lo scarico industriale rispetto al refluo domestico, anche se talvolta quest’ultimo influenza i valori dei parametri da rispettare.
 
Se si prende in esame, ad esempio, un’attività metalmeccanica dotata di impianto chimico fisico per l’abbattimento di metalli o di oli minerali, lo scarico finale avrebbe come parametri caratteristici gli inquinanti dell’attività, mentre dopo l’unione con scarichi legati a reflui definibili domestici interverranno altri parametri da controllare come il BOD5 e i parametri legati al ciclo dell’azoto , ammoniaca, nitriti e nitrati, che non governati da un impianto possono portare al superamento dei limiti nello scarico finale.
 
Dal punto di vista tecnico questa giusta classificazione può comportare approcci diversi nella realizzazione delle reti fognarie interne ad uno stabilimento in funzione del recapito finale dello scarico. Non risulta, infatti, ininfluente la possibilità di scaricare separatamente i reflui originatesi dall’attività produttiva da quelli dei servizi igienici dell’insediamento e di una eventuale mensa aziendale, nel caso che il recapito sia una pubblica fognatura: questi ultimi presentando caratteristiche del tutto analoghe ai reflui originati dal metabolismo umano ed dalle attività domestiche potranno essere scaricati con limiti differenti e senza generare influenze sui parametri da rispettare per lo scarico industriale.
 
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Per acque reflue industriale sono da intendersi anche quelle derivanti da strutture non inserite necessariamente nell’ambito di edifici, ad esempio impianti e attrezzature mobili ricollocabili ubicati all’aperto in aree scoperte o piazzali che diano luogo a scarichi di acque reflue.
 
Le acque di raffreddamento, pur non essendo state espressamente definite dal decreto, si qualificano per loro natura come acque di processo. Ai fini della loro classificazione, pertanto, sono da ritenersi comprese nella definizione di “acque reflue industriali” in quanto diverse dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento.
 
Non è comunque consentito diluire con acque di raffreddamento, di lavaggio o prelevate esclusivamente allo scopo gli scarichi parziali che contengono le sostanze di cui alla tabella 5 del decreto prima del loro trattamento per adeguarli ai limiti previsti dal decreto. L’immissione di tali acque nella rete fognaria di raccolta degli altri scarichi è ammessa di norma a valle del pozzetto di campionamento previsto per il controllo dei medesimi.
 
Restano salvi i criteri di assimilazione alle acque reflue domestiche ai sensi dell’art. 101, comma 7, lettera e).
 
Infine un terzo concetto riguarda le “acque reflue urbane”, le quali, dopo la modifica di cui al D.L.vo 4/2008, vengono definite come “acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato” (art. 74, c. 1, lett. i).
 
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Trattasi, in pratica, delle acque delle pubbliche fognature e dei depuratori comunali. A tal proposito si ricordi che è mutata la definizione di rete fognaria rispetto a quella originariamente contenuta nel D.L.vo 152/99 (non è chiaro, però, se può essere definita tale solo la condotta che raccoglie o convoglia le acque reflue industriali mescolate con le acque reflue domestiche o se, invece, s’intende per “rete fognaria” anche quella condotta che raccoglie solo acque reflue industriali).
 
Praticamente sono considerate acque reflue urbane solamente quelle provenienti da agglomerati urbani dotate di rete fognaria pubblica, mentre non possono essere considerate acque reflue urbane quelle provenienti da lottizzazioni non ancora prese in carico dal Pubblico Servizio.
 
Tenendo conto che sono da considerarsi acque reflue urbane per definizione soltanto quando vengono convogliate in rete fognaria (unitarie o separate) e provengano da agglomerati così come definiti dal decreto si può ipotizzare che in mancanza dei predetti requisiti le acque reflue saranno inserite a seconda dei casi nella categoria delle “domestiche” o delle “industriali”.
 
Tratto da Diritto e gestione dell’ambiente di Amedeo Postiglione e Stefano Maglia, Ed. Irnerio.
 

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