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Stefano Maglia

Le modifiche all'AIA introdotte dal D.Lvo 46/2014

di Rosa Bertuzzi, Nicola Carbone

Categoria: AIA

Con la Direttiva 24.11.2010 n 2010/75/UE “Relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento)”, sono state introdotte numerose modifiche sostanziali alle precedenti Direttive in materia di prevenzione dell’inquinamento dovuto alle attività industriali. Tra i diversi obiettivi della direttiva del 2010 c’è quello di assicurare che le norme interne degli stati membri garantiscano una più incisiva applicazione dei principi cardine della normativa ambientale comunitaria, in particolare del principio di chi «Inquina paga» e della «Prevenzione dell’inquinamento attraverso interventi alla fonte». Tali principi sono diretti a garantire una gestione accorta delle risorse naturali, tenendo presente, se del caso, la situazione socioeconomica e le specifiche caratteristiche locali del sito in cui si svolge l’attività. (Cfr. punto 2. Premesse Dir. 210/75/UE).
La normativa comunitaria interviene armonizzando il sistema di gestione integrata delle emissioni in atmosfera, nelle acque e nel suolo, al fine di evitare che approcci distinti nella disciplina delle emissioni impattanti, favoriscano il trasferimento dell’inquinamento da una matrice ambientale all’altra.
In sintesi gli strumenti utilizzati per raggiungere gli obietti prefissati sono: il rafforzamento dell’istituto dell’autorizzazione unica; il rafforzamento dell’applicazione delle migliori tecniche disponibili per la realizzazione degli impianti, anche al fine di limitare le difformità tecniche di realizzazione dgli impianti nei diversi paesi dell’Unione; una implementazione dei sistemi di monitoraggio e controllo sulle installazioni in esercizio.
La Direttiva avrebbe dovuto trovare recepimento entro il 7 gennaio 2013. La scadenza non è stata rispettata, in quanto i principi e i criteri direttivi specifici per il recepimento della Direttiva 2010/75/UE sono stati forniti al Governo con l’art. 3 della Legge n 96 del 06.08.2013, “Legge di delegazione europea 2013”. La funzione legislativa delegata è stata assolta con il Dlgs. 46/2014 che ha apportato numerose e significative modifiche al Dlgs. 152/2006 T.U.A.
La novella del 2014 è composta da 34 articoli con i quali:
a) si riscrive sostanzialmente il Titolo III bis della Parte II che disciplina l’autorizzazione integrata ambientale;
b) Si introduce il Titolo III bis “Incenerimento e coincenerimento dei rifiuti” alla Parte IV
c) Si apportano modifiche alle norme contenute nella Parte V in materia di tutela dell’aria e riduzione delle emissioni in atmosfera;

Occupandoci delle modifiche apportate alla disciplina dell’AIA, occorre premettere che ancora una volta si è persa l’occasione di fornire una disciplina armonica di questo istituto, quasi che il necessario aggiornamento del suo impianto dispositivo debba inevitabilmente tradursi con un sostanziale aumento del volume delle norme, spesso a discapito del loro coordinamento.
L’AIA è stata introdotta nel nostro ordinamento con il D.lgs. 372 del 04/08/1999 “Attuazione della Direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento”, decreto legislativo poi superato dal D.lgs. n. 59 del 18.02.2005, quale atto di recepimento integrale della stessa direttiva del 1996. L’autorizzazione integrata ambientale è stata infine ricondotta dal Dlgs. 128/2010 nell’alveo del Testo Unico dell’Ambiente con l’introduzione del Titolo III- bis che ne prevede l’integrale disciplina.
Come detto la novella del 2014 introduce numerose novità nella disciplina dell’istituto. L’occasione era propizia al fine di correggere alcune disarmonie della previgente disciplina che si sono palesate nell’applicazione pratica dell’istituto.
Si forniscono alcuni cenni sulle modifiche più significative.
Il Dlgs. 46/2014 interviene innanzi tutto sulle definizioni pertinenti alla disciplina dell’AIA contenute nell’art. 5 del Dlgs. 152/2006, al fine di renderle coerenti con le integrazioni e modifiche sostanziali introdotte nel successivo Titolo III bis.
L’approccio sempre più integrato della disciplina degli impatti, che costituisce l’essenza dell’AIA, ha richiesto la modifica della sua definizione contenuta nell’art. 5 lett. o-bis, a mente della quale: «l’AIA è il provvedimento che autorizza l’esercizio di una installazione rientrante fra quelle di cui all’art. 4 comma 4 lett. c) o di parte di essa a determinate condizioni che devono garantire che l’installazione sia conforme ai requisiti di cui al titolo II bis ai fini dell’individuazione delle soluzioni più idonee al perseguimento degli obiettivi di cui all’art. 4, comma 4, lett. c)». Tale provvedimento può valere per una o più installazioni gestite dal medesimo gestore, se localizzate nello stesso sito.
La definizione viene poi ulteriormente ampliata rispetto a quella previgente. Viene infatti stabilito che nel caso in cui diverse parti di una installazione siano gestite da gestori differenti, le relative autorizzazioni sono opportunamente coordinate a livello istruttorio. L’autorizzazione ha quale punto di riferimento l’installazione localizzata nello stesso sito ed è sul complesso dell’installazione che deve essere coordinata la disciplinati dei diversi impatti. Si vuole evitare che la pluralità delle singole autorizzazioni, rilasciate in un unico sito, sommino i loro valori di emissione determinando impatti non accettabili.
Alla stessa logica corrisponde la sostituzione, in tutta la disciplina dell’AIA, del termine “Impianto” con quello più opportuno ed esteso di “Installazione”. La definizione di installazione è contenuta alla lett. i-quater dello stesso articolo 5 e sostituisce quella previgente di impianto. Per installazione si intende l’unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività elencate all’allegato VIII alla Parte Seconda e qualsiasi altra attività accessoria che sia tecnicamente connessa con le attività svolte nel suddetto luogo e possa influire sulle emissioni e sull’inquinamento. La novità rispetto alla precedente definizione di Impianto sta nella specificazione successiva del concetto di attività accessoria, per la quale deve intendersi «l’attività tecnicamente connessa anche quando condotta da un diverso gestore». L’autorizzazione integrata ambientale pertanto deve essere rilasciata tenendo conto del complesso delle installazioni presenti sul sito e tecnicamente connesse. Qualora le installazioni siano in capo a diversi gestori le autorizzazioni, ancorchè formalmente distinte, devono essere coordinate a livello istruttorio, il che significa che occorre svolgere una valutazione complessiva degli impatti, che tenga conto dei singoli valori emissivi e della loro incidenza nell’ambito del sito interessato.
Proprio la tutela complessiva del sito in cui è autorizzata un’installazione ha determinato il legislatore ad apportare una rilevante modifica all’art. 29 ter del TUA, nel quale sono elencate le informazioni che il gestore deve produrre al momento della presentazione della domanda di autorizzazione, sulle quali l’Autorità competente svolge la propria attività istruttoria al fine del rilascio dell’autorizzazione.
Al comma 1 dell’art. 29 ter è stata aggiunta la lett m) che prevede la presentazione della “Relazione di riferimento” qualora l’attività comporti l’utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose. Il contenuto di tale nuovo documento è specificato alla lett. v-bis) inserita nell’abito delle definizioni di cui all’art. 5 TUA, così come novellato dal Dlgs. 46/2014. La “relazione di riferimento” contiene informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee, con riferimento alla presenza di sostanze pericolose pertinenti, necessarie al fine di effettuare un raffronto in termini quantitativi con lo stato al momento della cessazione definitiva dell’attività. Tali informazioni riguardano almeno: l’uso attuale e, se possibile, gli usi passati del sito, nonché, se disponibili, le misurazioni effettuate sul suolo e sulle acque sotterranee che ne illustrino lo stato al momento dell’elaborazione della relazione. L’obiettivo del legislatore è la verifica periodica in fase di esercizio e al momento della cessazione definitiva dell’attività dello stato delle matrici ambientali rispetto a quello in essere al momento della messa in esercizio dell’installazione. Infatti all’art. 29 sexies, che disciplina il contenuto prescrittivo dell’AIA, sono stati aggiunte ulteriori disposizioni, in particolare il comma 9-quinques che alla lett. a) impone al gestore di trasmettere all’Autorità competente, per la sua validazione, la relazione di riferimento prima della messa in servizio della nuova installazione o prima dell’aggiornamento dell’autorizzazione rilasciata per l’installazione esistente, quando l’attività comporta l’utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose. Cosi come a mente della successiva lett. b) l’autorità competente al momento della cessazione dell’attività deve valutare lo stato di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee da parte di sostanze pericolose pertinenti usate, prodotte o rilasciate dall’installazione. Se da questa valutazione risulta che l’installazione ha provocato un inquinamento significativo del suolo e delle acque sotterranee con sostanze pericolose pertinenti, rispetto allo stato constatato nella relazione di riferimento, il gestore dovrà adottare le misure necessarie per rimediare a tale inquinamento, tenendo conto della fattibilità tecnica di dette misure. A garanzia dei suddetti obblighi il gestore deve prestare adeguata garanzia fidejussoria, entro dodici mesi dal rilascio dell’autorizzazione a favore della regione o della provincia autonoma territorialmente competente. La prestazione della garanzia fidejussoria non era prevista nella previgente disciplina. In realtà, la giurisprudenza amministrativa aveva già da tempo obliterato il principio che l’autorità competente potesse prevederla, nell’ambito del quadro prescrizionale dell’autorizzazione. Si tratta di una regola di buon senso, atteso che gran parte degli impianti soggetti ad AIA possono costituire in caso di malfunzionamenti, dovuti o meno a colpa del gestore, causa di significativi pericoli di contaminazione dei siti in cui sono installati. Gli oneri di bonifica sono spesso molto rilevanti ed è opportuno fornire un’idonea garanzia per il loro assolvimento. Dal tenore letterale del comma 9 septies dell’art. 29 sexies sembrerebbe che la polizza fidejussoria sia obbligatoria solo quale garanzia degli eventi di contaminazione rilevati a fine esercizio, di cui alla lett. c) del comma 9 quinques dello stesso articolo. Si tratta di una disposizione quanto meno incoerente. Si osserva che a mente della successiva lett. e) il gestore, ancorchè non tenuto ad elaborare la relazione di riferimento, al momento della cessazione definitiva dell’attività ha comunque l’obbligo di eseguire gli interventi necessari ad eliminare, controllare, contenere e ridurre le sostanze pericolose pertinenti, in modo che il sito, tenuto conto dell’uso attuale o dell’uso futuro approvato, non comporti un rischio significativo per la salute umana o per l’ambiente a causa della contaminazione del suolo o delle acque sotterranee in conseguenza dell’esercizio delle attività autorizzate. Tale attività di controllo ed eventuale bonifica è imposto al primo aggiornamento dell’autorizzazione per l’installazione esistente così come alla cessazione dell’esercizio, a prescindere dal fatto che il gestore sia obbligato in fase di presentazione dell’istanza di autorizzazione alla presentazione della relazione di riferimento. La limitazione della garanzia solo per le attività di bonifica di cui alla lett. c) non appare giustificata. Gli elevati costi a carico del gestore anche delle altre ipotesi di bonifica, renderebbero opportuna la previsione dell’obbligo di fornire idonea garanzia, ai fini della loro corretta realizzazione.
Gli articoli 13 e 15 della Direttiva 2010/75/UE aggiornano la disciplina delle BAT, ciò si riverbera inevitabilmente sullo stesso contenuto dell’autorizzazione integrata ambientale.
In recepimento alla disciplina comunitaria, l’art. 29 bis stabilisce che l’AIA è rilasciata tenendo conto di quanto indicato nell’Allegato XI alla Parte II e le relative condizioni sono definite avendo a riferimento le Conclusioni sulle BAT […]. Le “Conclusioni sulle BAT” è un documento adottato secondo quanto specificato all’art. 13 della Direttiva 2010/75/CE ed è pubblicato in italiano nella GUCE, che contiene le parti di una BREF riguardanti le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili, la loro descrizione, le informazioni per valutarne l’applicabilità, i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili, il monitoraggio associato, i livelli di consumo associati e , se del caso, le pertinenti misure di bonifica del sito. Le conclusioni sulle BAT sono adottate dalla Commissione secondo la procedura di cui al Regolamento (CE) 16.02.2011 n 182/2011 “Regolamento del parlamento europeo e del consiglio che stabilisce le regole e i principi generali relativi all’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione”. Nelle more dell’emanazione delle conclusioni sulle BAT, l’autorità competente dovrà utilizzare quale riferimento per determinare le condizioni dell’autorizzazione le pertinenti conclusioni sulle migliori tecniche disponibili, tratte dai documenti già pubblicati dalla Commissione europea in attuazione della Dir. 96/61/CE e della Dir. 2008/01/CE.
Relativamente ai limiti di emissione che l’autorità competente dovrà fissare nel quadro prescrittivo dell’AIA, il comma 4-bis dell’art. 29 sexiex stabilisce che questi, in condizioni normali, non devono superare i limiti fissati dalle BAT-AEL. Le BAT-AEL sono i “livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili” e trovano la loro definizione alla lett. l-ter.4) dell’art. 5 del TUA. Si tratta di intervalli di livelli di emissione ottenuti in condizioni di esercizio normali utilizzando una migliore tecnica disponibile o una combinazione di migliori tecniche disponibili, come indicato nelle conclusioni sulle BAT, espressi come media in un determinato arco di tempo e nell’ambito di condizioni di riferimento specifiche.
Nei casi tassativamente previsti dalla norma, l’autorità competente può fissare limiti più rigorosi o meno rigorosi rispetto a quelli fissati nelle BAT-AEL, dandone espressa motivazione nell’ambito del procedimento di rilascio, di revisione o di rinnovo dell’AIA.
Il comma 4 te dell’art. 29 sexies consente la prescrizione di limiti più rigorosi nei seguenti casi: a ) nel caso previsto dall’art. 29 septies, quando uno strumento di pianificazione o di programmazione ambientale, considerate tutte le sorgenti emissive coinvolte, al fine di assicurare in una determinata area il rispetto delle norme di qualità ambientale riconosca la necessità di applicare ad impianti localizzati, misure più rigorose rispetto a quelle desumibili dalle BAT-AEL; b) quando lo richiede il rispetto della normativa vigente nel territorio in cui è ubicata l’installazione o il rispetto di provvedimenti relativi all’installazione non sostituiti dall’autorizzazione integrata ambientale. In questi casi l’Autorità competente dovrà esplicitare, nella prima conferenza dei servizi indetta per il rilascio dell’autorizzazione, l’esistenza di tali limiti più rigorosi e quindi la necessità della loro applicazione alla singola installazione.
L’autorità competente può in un solo caso prescrivere limiti emissivi meno rigorosi rispetto a quelli previsti nel precedente comma 4 bis. L’ipotesi è prevista al comma 9 bis dell’art. 29 sexies, quando sia dimostrato che l’applicazione delle BAT AEL comporterebbe una maggiorazione sproporzionata dei costi rispetto ai benefici ambientali ottenibili, in ragione dell’ubicazione geografica, delle condizioni ambientali locali dell’installazione interessata e delle caratteristiche tecniche della stessa installazione. Tali ragioni devono tuttavia essere documentate dall’amministrazione competente in un apposito allegato all’autorizzazione ambientale. Resta l’obbligo per l’amministrazione in sede di ogni pertinente riesame dell’autorizzazione, di verificare e quindi ricertificare la permanenza delle ragioni e condizioni che hanno determinato la fissazione di limiti meno rigorosi in sede di rilascio dell’AIA. Come è evidente si tratta di ipotesi piuttosto particolari e comunque marginali, che impongono all’autorità competente una costante verifica dell’attualità della scelta operata. Al venir meno delle condizioni che hanno determinato la scelta dell’autorità competente si impone la revisione del quadro prescrittivo dell’Autorizzazione, con conseguente fissazione dei limiti più rigorosi di emissione secondo quanto disposto dal coma 4 bis dell’art. 29 sexies.
La durata dell’autorizzazione integrata ambientale è stata raddoppiata rispetto rispetto ai termini di validità previsti nella precedente disciplina, ed è fissata ordinariamente in dieci anni. Per le installazioni che all’atto del rilascio dell’autorizzazione risultino registrate ai sensi del Regolamento CE n 1221/2009 la durata dell’autorizzazione è fissata in sedici anni, mentre è di dodici anni per le installazioni che all’atto del rilascio dell’autorizzazione risultino certificate secondo la norma UNI EN ISO 14001.
Con la novella del 2014 è stata modificata la disciplina del riesame e del rinnovo dell’autorizzazione, così come previsti dall’art. 29 octies. Quest’ultimo articolo di fatto non prevede più una netta distinzione tra rinnovo e riesame, come avveniva in precedenza. Nell’attuale formulazione dell’articolo si hanno solo ipotesi di riesame dell’autorizzazione, ancorché, per alcuni casi, con “valenza” di rinnovo anche in termini tariffari, come si esprime il comma 3. Precedentemente il rinnovo veniva attivato su istanza del gestore, mentre al riesame procedeva di propria iniziativa l’autorità competente nei casi previsti dalla stessa norma.
L’autorità competente deve riesaminare periodicamente l’autorizzazione, confermando o aggiornando le relative condizioni. Possiamo distinguere il riesame ordinario da quello eventuale.
Il riesame ordinario è disposto sull’intera installazione nel suo complesso nei seguenti casi:
a) entro quattro anni dalla data di pubblicazione nella GUCE delle decisioni relative alle conclusioni sule BAT riferite ad all’attività principale di un’installazione;
b) quando sono trascorsi dieci anni dal rilascio dell’autorizzazione o dall’ultimo riesame effettuato. Tale termine è di sedici anni o di dodici anni per le tipologie di impianti precedentemente specificati.
L’istanza di riesame (rectius rinnovo) nelle ipotesi di cui alla lett. b) viene presentata dal gestore, entro i termini di scadenza ivi indicati e non entro sei mesi prima di detto termine, come prevedeva la precedente disciplina del rinnovo dell’autorizzazione. In caso di mancata presentazione dell’istanza nei suddetti termini l’autorizzazione si intende scaduta.
Il riesame ad iniziativa dell’Autorità competente è oggi previsto al quarto comma dell’art. 29-octies. La declaratoria dei casi in cui deve essere disposto è stata implementata e maggiormente articolata rispetto a quella previgente. Pertanto l’autorità competente dispone il riesame sull’intera installazione o su parte di essa quando:
a) l’inquinamento provocato dall’installazione è tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite di emissione fissati nell’autorizzazione o l’inserimento in quest’ultima di nuovi valori limite, in particolare quando è accertato che le prescrizioni stabilite nell’autorizzazione non garantiscono il conseguimento degli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dagli strumenti di pianificazione o programmazione di settore;
b) le migliori tecniche disponibili hanno subito modifiche sostanziali, che consentono una notevole riduzione delle emissioni;
c) a giudizio di una amministrazione competente in materia di igiene e sicurezza del lavoro ovvero in materia di sicurezza o di tutela dal rischio di incidente rilevante, la sicurezza di esercizio del processo o dell’attività richiede l’impiego di altre tecniche;
d) lo esigano sviluppi delle norme di qualità ambientali o nuove disposizioni legislative comunitarie, nazionali o regionali;
e) quando nell’autorizzazione sono stati fissati valori limite di emissione diversi da quelli previste dalle BAT AEL e a seguito della verifica annuale delle emissioni è stato rilevato che, in condizioni di esercizio normali, sono stati superati i limiti previsti dalla BAT AEL. In tal caso l’autorizzazione deve essere aggiornata al fine di garantire che in condizioni di esercizio normali, le emissioni corrispondano ai “livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili”;
Il procedimento di riesame dell’autorizzazione da parte dell’autorità competente è condotto con le modalità di cui agli art. 29 – ter comma 4 e 29 quater, quindi con lo stesso procedimento previsto per il rilascio dell’autorizzazione, salvo la semplificazione degli oneri pubblicitari e di informazione a carico dell’autorità competente.
La novella del 2014, in ossequio a quanto disposto dalla direttiva comunitaria a cui è stata data attuazione, ha di fatto incrementato i momenti di controllo del rispetto delle condizioni contenute nell’autorizzazione durante l’esercizio dell’attività dell’installazione. Non solo, ma si vuole anche garantire che al termine del ciclo di vita dell’installazione le condizioni ambientali del sito siano conservate o comunque riportate alle stesse condizioni in cui si trovavano al momento dell’inizio dell’attività. Si tratta di un passaggio importante. L’attività di impresa deve considerare tra i suoi costi la conservazione ed il ripristino delle matrici ambientali eventualmente compromesse a seguito dell’esercizio dell’attività, altrimenti queste restano a carico della comunità, ingenerando a favore dell’impresa un ingiusto vantaggio. Non dobbiamo dimenticare che uno degli obiettivi della direttiva 2010/75/UE è quello di assicurare le stesse condizioni di parità nell’Unione, uniformando i requisiti in materia di prestazioni ambientali per le installazioni industriali. Con tutta evidenza ciò si riverbera anche sotto l’aspetto della parità di trattamento tra operatori economici della comunità. Se non venissero garantiti gli stessi oneri di conservazione e ripristino delle matrici ambientali ciò si tramuterebbe in un ingiustificato vantaggio economico per quelle imprese che operano in stati dell’unione la cui legislazione consente di scaricare i relativi costi economici e/o ambientali a carico della comunità.
Questa è una delle ragioni per cui sono state conferite all’autorità competente un maggior potere di iniziativa e di impulso nell’ambito delle attività di controllo ordinario e straordinario, così come articolate dall’art. 29 deces. Nonché ad alcune modifiche alle misure interdittive contenute nello stesso articolo.
Come noto il legislatore italiano nell’individuare l’Autorità competente al rilascio dell’AIA ha adottato un sistema dualistico, individuando gli impianti la cui competenza al rilascio dell’AIA è dello Stato e quelli il cui rilascio dell’autorizzazione è rimessa alla regione. L’art. 7 del TU Ambiente stabilisce, rispettivamente ai commi 4 bis e 4 ter, che sono sottoposti ad AIA in sede statale i progetti relativi alle attività di cui all’allegato XII e le loro modifiche sostanziali; sono viceversa sottoposti ad AIA secondo le disposizioni delle leggi regionali e provinciali i progetti di cui all’allegato VIII che non risultano ricompresi anche nell’allegato XII. Il comma 5 dell’art. 7 del Testo Unico individua puntualmente l’autorità competente per l’adozione delle AIA in sede statale, disponendo che il provvedimento è rilasciato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, al successivo comma 6 dello stesso articolo viene stabilito che in sede regionale l’autorità competente è la pubblica amministrazione con compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale, individuata secondo le disposizioni delle leggi regionali o delle province autonome. Si osserva, solo incidentalmente, che il Dlgs. 46/2014 ha riassegnato l’adozione del provvedimento autorizzativo statale alla competenza del Ministero così come era previsto originariamente dal Dlgs. 59/2005, prima della modifica operata dal Dlgs. 128/2010 che assegnava la competenza direttamente al Ministro dell’Ambiente.
La disciplina dei controlli di cui all’art. 29 deces prevedeva, e prevede tutt’ora, due tipologie di controlli: quelli ordinari di cui al comma 3 e le ispezioni straordinarie di cui al comma 4.
Nell’ambito di questa ripartizione i controlli ordinari, cioè quelli previsti e programmati nell’ambito del piano dei monitoraggi, erano attribuiti al’ISPRA per quanto attiene alle AIA statali ed alle ARPA per quanto riguarda le AIA regionali. Oggi con il novellato comma 3 dell’art. 29 deces per i controlli ordinari si mantiene inalterata la competenza dell’ISPRA per le AIA statali, mentre per le AIA regionali la competenza al loro espletamento è attribuita all’Autorità competente che si «avvale» delle ARPA. Non è una modifica di poco conto, atteso anche che le modalità, la frequenza e la tipologia dei controlli ordinari è stata notevolmente incrementata con la modifica del comma 6 e l’introduzione dei commi 6 bis e 6 ter dell’art. 29 sexies. La frequenza e la metodologia dei controlli ordinari fa parte del contenuto prescrittivo dell’autorizzazione e varia in ragione della tipologia di installazione, delle matrici interessate dal piano dei monitoraggi e in ultimo dalla specifica attività svolta dall’impianto. Tuttavia, a mente del comma 6 bis dell’art. 29 sexies, l’autorizzazione deve contenere la previsione di controlli ordinari specifici con le frequenze ivi previste, in particolare: una volta ogni cinque anni per le acque sotterranee e almeno una volta ogni dieci anni per il suolo, salvo che sulla base di una valutazione sistematica del rischio di contaminazione non siano fissate diverse modalità o più ampie frequenze di controllo.
Anche le ispezioni straordinarie sono in capo all’autorità competente, con oneri a suo carico nell’ambito delle disponibilità finanziarie del proprio bilancio. Nella previgente versione del comma 4 dell’art. 29 deces queste potevano essere attivate dall’autorità competente ogniqualvolta questa avesse ragione di ritenerle necessarie.
Con l’introduzione dei commi 11 bis ed 11 ter dell’art. 29 deces, viene stabilito che le visite ispettive di cui al comma 4 dello stesso articolo e quella di cui all’art. 29 sexies comma 6 ter sono inserite in un piano di ispezione ambientale a livello regionale, periodicamente aggiornato dalla Regione o dalle Province autonome sentito il Ministero dell’ambiente, per garantire il coordinamento con quanto previsto nelle autorizzazioni integrate statali. Il piano regionale è caratterizzato dai seguenti elementi:
– un’analisi generale dei principali problemi ambientali pertinenti;
– l’identificazione della zona geografica coperta dal piano d’ispezione;
– le procedure per l’elaborazione dei programmi per le ispezioni ambientali ordinarie;
– le procedure per le ispezioni straordinarie, effettuate per indagare nel più breve tempo possibile e , se necessario, prima del rilascio, del riesame o dell’aggiornamento di un’autorizzazione, le denunce ed i casi gravi di incidenti, di guasti e di infrazioni in materia ambientale
– se necessario le disposizioni riguardanti la cooperazione tra le varie autorità di ispezione.
Il coma 11 ter detta poi la frequenza delle visite ispettive, a seconda della natura del rischio derivante dall’esercizio dell’installazione.
Assume una valenza diversa l’ispezione di cui all’art. 29 sexies comma 6 ter, il quale stabilisce che nell’autorizzazione, precisamente nel piano dei monitoraggi, è espressamente prevista un’attività ispettiva presso le installazioni svolta con oneri a carico del gestore dall’autorità di controllo di cui all’art. 29 deces comma 3. Tale ispezione è diretta all’esame di tutta la gamma degli effetti ambientali indotti dalle installazioni interessate. Si tratta pertanto di un’attività ispettiva non straordinaria, perché il suo espletamento deve essere previsto nell’autorizzazione, ma di cui occorre tener conto nell’ambito del Piano d’ispezione ambientale regionale previsto dall’art. 29 deces comma 11 bis.
Occorre osservare che per quanto riguarda le AIA regionali tutta l’attività di programmazione e svolgimento dei controlli ordinari e delle ispezioni straordinarie è a carico dell’autorità competente, quindi dell’organo regionale a cui è affidata la competenza al rilascio dell’AIA o della Provincia, a cui la competenza sul rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale è spesso delegata. La Regione in tutti i casi dovrà rivedere le regole organizzative che disciplinano i rapporti tra Autorità competente e le ARPA, a fronte del fatto che i controlli ancorché espletati sotto la responsabilità della prima, devono avvalersi dell’espletamento delle funzioni tecniche delle seconde.
Sempre nell’ambito dell’art. 29 deces si deve registrare qualche novità introdotta al nono comma, che prevede il decalogo delle misure interdittive applicabili dall’autorità competente.
Alle classiche misure della diffida, sospensione con diffida e revoca dell’autorizzazione è stata aggiunta alla lett. d) la chiusura dell’installazione, da comminarsi nelle ipotesi in cui l’infrazione abbia determinato l’esercizio in assenza di autorizzazione. Le misure interdittive (chiamate anche impropriamente sanzioni interdittive) sono assunte dall’autorità competente che ha emanato il provvedimento autorizzativo, ed incidono sulla sua efficacia, sospendendola o revocandola. Il caso della chiusura dell’installazione, di cui alla nuova lett d), potrebbe essere definita una sanzione interdittiva impropria, di cui è difficile inquadrare le ipotesi in cui possa essere applicata dall’autorità competente. Dalla formulazione della norma e dalla sua collocazione sistematica sembrerebbe riferirsi al caso di un’installazione autorizzata, in cui viene realizzata una infrazione di tale gravità da aver determinato un ipotesi di esercizio senza autorizzazione. Si potrebbe pensare che tale ipotesi si concretizzi nella realizzazione e messa in esercizio di modifiche sostanziali in assenza dell’autorizzazione, così come prevista dal’art. 29 nonies. In tale ipotesi si dovrà procedere alla chiusura dell’installazione, che a seguito della modifica sostanziale apportata dal gestore, in assenza della dovuta autorizzazione preventiva, non risulta più essere corrispondente a quella autorizzata concretizzando il caso di esercizio degli impianti in assenza di autorizzazione.
Un ulteriore modifica è stata apportata all’istituto della diffida. L’autorità competente che procede alla diffida, assegna un termine entro il quale il gestore deve procedere ad eliminare le inosservanze riscontrate in sede di controllo. Il termine naturalmente dipende dalla natura dell’inosservanza e dai tempi tecnici necessari al gestore per ricondurre l’impianto a norma, nel frattempo l’impianto rimane in esercizio. Con la novella del 2014 l’amministrazione competente può prescrivere l’immediata realizzazione di tute quelle appropriate misure interinali e complementari che ritenga opportune e necessarie per ripristinare o garantire provvisoriamente la conformità dell’installazione alle prescrizioni autorizzative, nelle more della realizzazione di quelle attività volta ad eliminare le difformità riscontrate che hanno dato luogo alla diffida.
La sospensione dell’attività per un tempo determinato e contestuale diffida, di cui alla lett. b), viene adottata nel caso si manifestino situazioni di pericolo per l’ambiente. A tale fattispecie è stato aggiunto l’obbligo per l’autorità competente di adottare la sospensione, nel caso in cui le violazioni siano comunque reiterate più di due volte all’anno. Anche in questo caso il legislatore non brilla in chiarezza. Ora è evidente che una violazione che sia tale da da determinare una situazione di pericolo per l’ambiente determinerà sempre una sospensione dell’attività con contestuale diffida. Quindi, se la norma vuole avere qualche senso, si dovrà ritenere che la sospensione sia imposta automaticamente alla terza violazione che si verifichi in un anno e che abbia determinato la semplice diffida. In sostanza una sorta di sanzione accessoria, per reiterate violazioni del quadro prescrittivo, che determinano la sola diffida. Non sembra un ipotesi coerente con la natura delle misure interdittive che non hanno propriamente una funzione sanzionatoria, ma bensì ripristinatoria. Sarebbe stato più opportuno prevedere viceversa la revoca dell’autorizzazione, nelle ipotesi in cui nel corso dell’anno siano state accertate più di due violazioni che abbaiano comportato la sospensione con diffida. L’applicazione di due sospensioni nel corso dell’anno sono quasi sempre l’indizio di una gestione carente e di sicura negligenza, con grave sottoposizione a rischio del bene giuridico ambiente.
Infine la novella del 2014 ha sottoposto a revisione l’intero corredo sanzionatorio della disciplina dell’AIA, contenuta nell’art. 29 quattuordeces. Invero la precedente disciplina non è stata esente da critiche, sia da parte dei commentatori sia da parte degli stessi operatori chiamati ad applicare dette norme.
Le sanzioni penali previste dalla disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale erano decisamente meno severe rispetto a quelle delle omologhe fattispecie riferibili alle autorizzazioni di settore. Questo, con tutta evidenza, costituiva un incongruenza di sistema ai limiti della incostituzionalità, a fronte del fatto che condotte illecite identiche subivano un trattamento sanzionatorio differente, con l’aggravante che quelle riferibili ad impianti complessi e maggiormente impattanti sull’ambiente venivano sanzionate in modo decisamente meno severo. Peraltro per gli impianti sottoposti ad AIA, in ottemperanza al principio di specialità di cui all’art. 15 del c.p, non trovano applicazione le norme sanzionatorie penali ed amministrative di settore, stante il disposto del comma 14 dell’art. 29 quattuordeces che espressamente stabilisce che per tali impianti non si applicano le sanzioni previste da norme di settore o speciali, relative a fattispecie oggetto dello stesso articolo.
Tuttavia, in relazione alla portata ed al perimetro di applicazione del principio di specialità, il Dlgs. 46/2014 ci fornisce una chiave di lettura sistematica degna di menzione. Nell’analisi delle norme sanzionatorie inserite nella disciplina dell’AIA, gli interpreti hanno sempre proceduto al confronto fra queste e le singole norme di settore, al fine di verificare quale tra le due norme sanzionatorie dovesse trovare applicazione. Il confronto si svolgeva nell’ambito del concorso apparente di norme, il conflitto è sempre stato risolto nel senso di ritenere applicabili agli impianti sottoposti ad AIA le sole sanzioni previste dall’art. 29 quattuordeces. Il Dlgs. 46/2014 all’art. 11, rubricato “Coordinamento delle previgenti norme sanzionatorie”, ha proceduto ad integrare le singole norme sanzionatorie di settore, specificando in ciascuna di loro, che la sanzione ivi prevista si applica “[…] fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’art. 29 quattuordeces, commi […]. In sostanza la norma non si è limitata a stabilire, per ciascuna norma sanzionatoria di settore, che in caso di installazione soggetta ad AIA si applicano le norme sanzionatorie proprie di questa, ma interviene puntualmente, specificando quale tra le diverse fattispecie sanzionatorie dell’art. 29 quattuordeces trova applicazione al posto della norma di settore. Potremmo definirla un’interpretazione autentica sul conflitto apparente di norme, dove è il legislatore a risolvere lo stesso conflitto. Prima si indicano quali norme sono in apparente conflitto, poi quale delle due deve essere applicata. Ne consegue che dove questo conflitto di norme non è risolto dalla legge possono trovare applicazione anche le norme di settore. Si tratta di un tema che va approfondito, in particolare dagli organi di controllo che si troveranno a dover rilevare eventuali sanzioni penali o amministrative nell’ambito della loro attività ispettiva.
Il nuovo assetto sanzionatorio di cui all’art. 29 quattuordeces prevede una gamma più ampia di illeciti penali.
Al pari della previgente formulazione, al primo comma viene sanzionato con la stessa pena contravvenzionale alternativa dell’arresto fino ad un anno o l’ammenda da € 2.500 a € 26.000,00 l’esercizio di attività rientranti in regime di AIA senza la prescritta autorizzazione o dopo che l’autorizzazione è stata sospesa o revocata. Sono state poi previste tre ulteriori fattispecie aggravate, in ragione della tipologia di attività esercitata, precisamente :
– esercizio non autorizzato che comporti lo scarico di sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato alla parte Terza del T.U.A;
– esercizio senza autorizzazione che abbia comportato la raccolta, o il trasporto, o il recupero, o lo smaltimento di rifiuti pericolosi;
– esercizio senza autorizzazione effettuato dopo l’ordine di chiusura dell’installazione;
In questi tre casi è prevista la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e l’ammenda da € 5.000 a € 52.000,00.
Sempre per la fattispecie di esercizio senza autorizzazione, al primo comma ultima parte è stata introdotta la pena accessoria della confisca, qualora l’esercizio non autorizzato riguardi una discarica. In tale ipotesi alla sentenza di condanna o alla sentenza di cui all’art. 444 C.p.p consegue la confisca dell’area sulla quale è stata realizzata la discarica abusiva.
La fattispecie della mancata osservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione o di quelle imposte dall’autorità competente, che originariamente il comma secondo considerava genericamente ed unitariamente sempre un illecito penale, oggi è stata depenalizzata e punita come sanzione amministrativa, salvo le ipotesi aggravate previste dai successivi terzo e quarto comma che viceversa continuano a costituire fattispecie di illeciti penali.
Le ipotesi di illecito penale previste dal terzo comma a cui si applica la sola pena dell’ammenda da € 5000 a 26.000,00, sono quindi reati contavvenzionali estinguibili con l’oblazione semplice e puniscono l’inosservanza delle prescrizioni qualora si riferiscano rispettivamente:
– all’inosservanza della prescrizione costituita da violazione dei valori limite di emissione, rilevata durante i controlli previsti nell’autorizzazione (n.d.a. controllo ordinario) o nel corso di ispezioni di cui all’art. 29 decies commi 4 e 7 a meno che tale violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità, fissati nell’autorizzazione;
– alla gestione di rifiuti;
– a scarichi recapitati nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’art. 94 del TUA oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa;
Il quarto comma prevede le pene decisamente più severe dell’arresto fino a due anni e l’ammenda da € 5.000,00 a € 26.000,00 qualora l’inosservanza sia relativa a :
– alla gestione di rifiuti pericolosi non autorizzati;
– allo scarico di sostanze pericolose di cui alle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla Parte Terza
– casi in cui il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa
– utilizzo di combustibili non autorizzati.
Il quinto ed il sesto comma introducono due nuove fattispecie sanzionatorie, si tratta delle ipotesi di realizzazione di una modifica sostanziale non autorizzata e quella per la realizzazione di una modifica non sostanziale senza il rispetto del procedimento di cui all’art. 29 nonies.
La realizzazione di una modifica sostanziale, deve essere preventivamente ed espressamente autorizzata dall’autorità competente con l’emissione di un nuovo titolo autorizzativo, a mente del secondo comma dell’art. 29 nonies. La realizzazione di una modifica sostanziale senza preventiva autorizzazione, costituisce illecito penale ed è punito con la pena alternativa dell’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da € 2.500 ad € 26.000,00.
La realizzazione di una modifica non sostanziale, realizzata senza le prescritte comunicazioni da parte del gestore all’autorità competente, o comunque realizzata prima che sia trascorso il termine di 60 giorni da detta comunicazione, comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa da € 1.500,00 a € 15.000,00. La sanzione amministrativa concorre con la sanzione penale di cui al comma 3, qualora per l’esercizio dell’impianto modificato fosse necessario l’aggiornamento dell’autorizzazione.
Il concorso della sanzione penale è solo riferibile alle modifiche non sostanziale che incidono nelle ipotesi di cui alla declaratoria del comma 3. Ci si può chiedere il motivo per cui non siano state ricomprese anche le ipotesi di cui al comma 4, che costituiscono pur sempre ipotesi aggravate di gestione in difformità dell’autorizzazione. Con tutta evidenza in tali ipotesi ogni modifica dell’impianto costituisce sempre modifica sostanziale, quindi si ricade nell’illecito penale punito espressamente dal quinto comma.
Sono poi previste le sanzioni amministrative a presidio degli adempimenti di comunicazione a carico del gestore, in breve:
– Mancata comunicazione all’autorità competente prima dell’attuazione di quanto previsto nell’AIA, ai sensi del primo comma dell’art. 29 deces. Sanzione amministrativa pecuniaria da € 5.000,00 a € 52.000
– Mancata comunicazione da parte del gestore all’autorità competente di incidenti o eventi imprevisti che hanno inciso in modo significativo sull’ambiente, così come richiesto dal primo comma dell’art. 29 undeces. Sanzione amministrativa pecuniaria da € 5.000,00 a € 52.000
– Mancata comunicazione all’autorità competente, all’Ente responsabile degli accertamenti, ed ai comuni interessati dei dati relativi alle misurazioni delle emissioni così come richiesto dall’art. 29 deces. Sanzione amministrativa pecuniaria da € 2.500 a € 11.00,00. Se il mancato adempimento è riferito alla gestione dei rifiuti pericolosi la sanzione è sestuplicata. E’ prevista un ipotesi sanzionatoria attenuta per l’invio in ritardo entro il sessantesimo giorno e per l’invio di dati formalmente incompleti o inesatti sempre che la comunicazione contenga tutti gli elementi informativi essenziali a caratterizzare i dati di esercizio dell’impianto;
– Mancata comunicazione nei termini previsti dall’autorità competente delle integrazioni documentali richieste al gestore in sede di conferenza di servizi per l’approvazione della autorizzazione integrata ambientale nonché della documentazione ad altro titolo richiesta dall’autorità competente per perfezionare un’istanza del gestore o consentire l’avvio di un procedimento di riesame. Sanzione amministrativa pecuniaria da € 5.000,00 a € 26.000,00;
Per le sanzioni amministrative resta ferma la loro irrogazione con Ordinanza di Ingiunzione, di competenza del Prefetto per gli illeciti riferibili ad AIA statali e dell’autorità competente per quanto riguarda quelle regionali.
In ultimo, è stata introdotta all’art. 13 una norma che dispone sui proventi delle sanzioni, prevedendo un vincolo di destinazione per le sanzioni amministrative pecuniarie di competenza statale. Gran parte di queste devono essere riassegnate ai competenti capitoli di spesa del Ministero, al fine di implementare le risorse destinare all’espletamento dei controlli sulle installazioni.

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