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Note su “produttore” di rifiuti nel D.Lgs. 152/2006 e nella giurisprudenza

di Irene Carron

Categoria: Rifiuti

L’art. 183, lett. f), D.Lgs. 152/2006, definisce “produttore” di rifiuti il soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti.
L’art. citato, riprende la definizione simile già vista nel D.Lgs. 22/1997 (decreto Ronchi) e trova esplicazioni in giurisprudenza.
Tra le tante sentenze, si può citare Corte di cassazione 21 gennaio 2000 n. 4957, imp. Rigotti che affronta per la prima volta la questione di chi debba considerarsi produttore del rifiuto nell’ipotesi in cui, ad esempio, il proprietario o possessore di un bene, mediante contratto di appalto o di prestazione d’opera, affidi ad altro soggetto l’esecuzione, sul medesimo bene, di un’attività dalla quale si originano rifiuti. La Suprema Corte, aveva stabilito che per produttore di rifiuti ai sensi dell’art. 6, 1º comma, lett. b), DLgs 5 febbraio 1997 n. 22 (decreto Ronchi), dovesse intendersi non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione ed a carico del quale fosse quindi configurabile, quale titolare di una posizione definibile di garanzia, l’obbligo, sancito dall’art. 10, 1º comma, del citato decreto, di provvedere allo smaltimento dei detti rifiuti nei modi prescritti.
Nella specie, è stato considerato produttore di rifiuti, il titolare di una concessione edilizia la cui realizzazione aveva richiesto la demolizione di edifici preesistenti con conseguente accumulo di una ingente quantità di materiali di risulta). La Cassazione, ha ribadito lo stesso principio con la sentenza 9 aprile 2003, De Michelis, ma nella successiva Cass. 22 settembre 2004, n. 40618 ha sostenuto che “Sarebbe profondamente sbagliato’’ sostenere che anche il committente di lavori edili o urbanistici è “garante” della corretta gestione dei rifiuti da parte dell’appaltatore e quindi penalmente corresponsabile del reato di abusiva attività dì raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti che l’appaltatore abbia effettuato nell’esecuzione dell’appalto. E infatti, neppure con una interpretazione estensiva, si può sostenere che il committente sia coinvolto nella produzione o distribuzione e nemmeno nell’utilizzo o nel consumo di “beni da cui originano i rifiuti” ai sensi dell’art. 2, 3° comma; o che sia un produttore o detentore dei rifiuti gravato dagli oneri dello smaltimento a norma dell’art. 10, 1° comma. Per riprendere il caso di specie, il committente è soltanto il soggetto che, dal momento in cui riceve in consegna l’opera appaltata e ultimata, diventa in certo qual modo utilizzatore o consumatore dei rifiuti, impiegati come sottofondo delle opere di urbanizzazione appaltate: nessun rapporto diretto ha mai avuto, invece, con i “beni da cui originano i rifiuti” o con la attività di produzione, raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti stessi”. E’ significativo anche il passo della decisione in cui si chiarisce l’assenza in capo al committente di una posizione di garanzia rilevante ex art. 40, 2° comma, c.p. laddove si sostiene il principio in base al quale non sarebbe corretto responsabilizzare un soggetto per non aver impedito un evento, anche quando egli non aveva alcun potere giuridico (oltre che materiale) per impedirlo.
Alla luce di questo principio, è evidente come il committente di lavori edili o urbanistici non può essere “garante” della corretta gestione di rifiuti da parte dell’appaltante e quindi penalmente responsabile della abusiva gestione di rifiuti eventualmente effettuata dal secondo.
Discorso non dissimile deve farsi anche quando – come nel caso di specie – il committente dei lavori è pure proprietario dell’area su cui i lavori siano eseguiti, giacché come proprietario egli non ha alcun potere giuridico specifico verso l’appaltatore, posto che i rapporti reciproci sono regolati soltanto dal contratto di appalto.In questa sede si ritiene preferibile la tesi che interpreta restrittivamente la nozione di produttore del rifiuto. A parte il fatto che l’opinione contraria non chiarisce se al “committente” vada attribuita la qualifica di produttore del rifiuto in via esclusiva o concorrente con il terzo prestatore dell’opera o del servizio, il problema va risolto a livello teorico riflettendo su quei casi in cui i rifiuti originano per distacco, smembramento o sostituzione di un bene del committente a seguito di opere svolte dall’appaltatore o dal prestatore d’opera.
In queste situazioni, al committente non appartiene il “rifiuto”, ma casomai l’oggetto ottenuto per materiale distacco dal bene originario. Il committente non ha alcun interesse a trattenere in suo possesso l’oggetto che si origina dall’attività materiale svolta dall’appaltatore e perciò, salvo per l’appunto che non voglia trarne vantaggi sul piano economico, il committente non rivendicherà di certo la titolarità dei residui lasciando così l’appaltatore libero di decidere se disfarsi o meno delle cose ottenute in esecuzione del contratto stipulato.
Ne deriva che l’effettivo produttore del rifiuto è solo il prestatore del servizio o l’appaltatore dell’opera e non il proprietario originario.
Questa opinione trova un riscontro anche in sede Ue. Infatti, la Corte di Giustizia 7 settembre 2004, causa C-1/03 ha affermato (par. 58-60) che:
«58. Dalle disposizioni citate nei tre punti precedenti risulta che la direttiva 75/442 distingue la materiale realizzazione delle operazioni di recupero o smaltimento – che essa pone a carico di ogni «detentore di rifiuti», indipendentemente da chi sia il produttore o il possessore degli stessi – dall’assunzione dell’onere finanziario relativo alle suddette operazioni, che la medesima direttiva accolla, in conformità del principio «chi inquina paga», ai soggetti che sono all’origine dei rifiuti, a prescindere se costoro siano detentori o precedenti detentori dei rifiuti od anche fabbricanti del prodotto che ha generato i rifiuti.
59. Una stazione di servizio aveva acquistato, per le proprie necessità aziendali, degli idrocarburi che si sono accidentalmente sversati a causa di una fuoriuscita dagli impianti di stoccaggio della stazione stessa. Tali idrocarburi si trovano dunque in possesso del gestore della stazione di servizio. Inoltre, costui è il soggetto che li aveva in deposito, per i bisogni della sua attività, nel momento in cui sono divenuti rifiuti e che può dunque essere considerato come colui che li ha «prodotti» ai sensi dell’art. 1, lett. b), della direttiva 75/442. Alla luce di tali circostanze, il gestore della stazione di servizio, essendo al tempo stesso possessore e produttore di tali rifiuti, deve essere considerato come loro detentore ai sensi dell’art. 1, lett. c), della direttiva 75/442.
60. Tuttavia, qualora nella causa principale, sulla scorta di elementi valutabili soltanto dal giudice a quo, risultasse che il cattivo stato degli impianti di stoccaggio della stazione di servizio e la fuoriuscita degli idrocarburi sono imputabili ad una violazione degli obblighi contrattuali incombenti alla compagnia petrolifera fornitrice della stazione di servizio, ovvero a diversi comportamenti idonei a far sorgere la responsabilità della detta compagnia, sarebbe possibile affermare che quest’ultima, per effetto della propria attività, ha «prodotto rifiuti», ai sensi dell’art. 1, lett. b), della direttiva 75/442, e può dunque essere considerata la detentrice di tali rifiuti». Questa analisi pare chiara nell’escludere che si possa attribuire una responsabilità a carico di colui nel cui interesse o a cui favore sia stata svolta l’attività materiale produttiva del rifiuto: in altri termini, i soggetti diversi dal produttore materiale del rifiuto possono essere responsabilizzati a condizione che, in conseguenza di un comportamento materiale che si ponga in rapporto di causalità, anche indiretta, con l’origine (“fisica”) del rifiuto, abbiano “prodotto” rifiuti.
La giurisprudenza nazionale più recente ha abbracciato, senza tentennamenti, la tesi restrittiva in materia di responsabilità del “committente” affermando, anche implicitamente, che non è produttore dei rifiuti in senso giuridico.
Si possono vedere in tal senso:
– Cass. 29 aprile 2010, n. 22760, Laudisi Ambiente e sviluppo, 2011, 264: il committente dei lavori edili di demolizione non è responsabile, unitamente all’assuntore dei lavori, dell’abbandono incontrollato dei rifiuti derivanti dalla predetta attività;
– Cass. 25 maggio 2011, n. 25041: il committente di lavori edili ed il direttore dei lavori non hanno alcun obbligo giuridico di intervenire nella gestione dei rifiuti prodotti dalla ditta appaltatrice o subappaltatrice né di garantire che la stessa venga effettuata correttamente;
– Cass. 17 aprile 2012, n. 19072: l’appaltatore, in ragione del rapporto contrattuale che lo vincola al compimento di un’opera o alla prestazione di un servizio con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio è, di regola, il produttore del rifiuto e pertanto su di lui gravano i relativi oneri; ne deriva che, salvo i casi in cui, per la particolarità dell’obbligazione assunta o per la condotta del committente, concretatasi in ingerenza o controllo diretto sull’attività dell’appaltatore, detti oneri non si estendono anche al committente.In definitiva, sulla questione qui dibattuta, la giurisprudenza si era ormai consolidata nel senso di escludere che andasse considerato produttore dei rifiuti (anche) colui nel cui interesse fosse svolta l’attività da cui traggono origine i rifiuti, estendendo quindi la paternità degli stessi all’attività “giuridica” del committente. Secondo questa impostazione, dunque, le responsabilità per la gestione dei rifiuti fanno capo solo a chi materialmente svolge l’attività da cui originano i rifiuti.

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