Top

Preveniamo rischi Risolviamo problemi Formiamo competenze

"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni
TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale
Conta su di noi"
Stefano Maglia

Nuova Direttiva UE “Greenwashing”

di Francesco Marazzi

Categoria: Sviluppo sostenibile

La nuova Direttiva sulle asserzioni ambientali ingannevoli «greenwashing»

Il 6 marzo 2024 rappresenta una data storica per il mondo della sostenibilità e dei tanto acclamati fattori ESG (Environmental, Social & Governance), oltre a quello della tutela dei diritti dei consumatori perché è proprio in questo giorno che è stata finalmente pubblicata la tanto attesa Direttiva (UE) n. 2024/825 del 6 marzo, che modifica le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione, più nota come “Direttiva Greenwashing”.

Quando e come entrerà in vigore la nuova Direttiva UE?

La Direttiva n. 2024/825 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale Europea lo scorso 6 marzo ed entrerà ufficialmente in vigore il 26 marzo 2024. Come di consueto gli Stati Membri, tra cui l’Italia, avranno tempo massimo due anni per recepirla all’interno del proprio ordinamento nazionale entro le data del 27 marzo 2026 per Il PE adotta una nuova legge contro greenwashing e informazioni ingannevoli e quella del 27 settembre 2026 come termine ultimo per garantirne la piena operatività nell’ordinamento nazionale, onde evitare procedure d’infrazione.

 

In assenza della Direttiva UE ad hoc sul greenwashing

Fino ad ora questo rischio- sempre più diffuso a livello globale e soprattutto nel mercato europeo (in quanto quello più attento allo sviluppo sostenibile)- era confinato ad altri ambiti e pertanto alcuni anticipi di greenwashing sono da ravvedersi in prima battuta nel D.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254 in applicazione della NFRD, dove le aziende tenute a pubblicare la Dichiarazione Non Finanziaria (DNF) che dichiarino il falso possono essere sanzionate dalla CONSOB ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 2016/254. La CONSOB può sanzionare illeciti relativi agli obblighi informativi stabiliti da SFDR con sanzioni amministrative, applicando quanto previsto dal Testo Unico della Finanza (TUF). Con l’entrata in vigore dei Regulatory Technical Standard (RTS), a partire dal 1° gennaio del 2023, la CONSOB avrà maggiori strumenti per operare e sanzionare. Il greenwashing può rientrare nel quadro della concorrenza sleale (art. 2598 Codice Civile): l’atto che integra una concorrenza sleale può essere inibito (art. 2599 Codice Civile) e può essere imposto un risarcimento dei danni (art. 2600 Codice Civile).

Inoltre, nel quadro normativo delle pratiche commerciali scorrette definite dall’art. 20 del Codice del Consumo (D.lgs 6 settembre 2005, n. 206), le attività di greenwashing possono essere sanzionate ai sensi dell’art. 27 del Codice. Può infatti essere applicata la normativa relativa alla pubblicità ingannevole (come definita dagli artt. 21, 22, 23 dello stesso Codice): ai sensi dell’art. 27, comma 9 del Codice del Consumo, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) può inibire una pubblicità e disporre una sanzione amministrativa pecuniaria che varia da €5.000 a €5 milioni, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione. Le dichiarazioni non veritiere possono essere inquadrate come illecito autodisciplinare ai sensi del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria. Infatti, l’art. 12 del Codice stabilisce che tutte le comunicazioni commerciali riguardanti i temi ambientali debbano basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. In caso di contrasto con il Codice, il Giurì preposto alla verifica dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) può richiedere la cessazione dell’illecito autodisciplinare, con pubblicazione del provvedimento. Infine, negli artt. 9 e 41 della Costituzione italiana viene citato l’ambiente: una dichiarazione non veritiera sulla tutela ambientale potrebbe, dunque, costituire oggetto di ulteriori azioni legali con conseguenze inibitorie e risarcitorie[1]

 

Le principali novità della Direttiva UE 2024/825

La Direttiva inserisce, all’interno dello specifico Allegato, un elenco di fattispecie di marketing ambientale “ingannevole”, andando a modificare l’Allegato I della Direttiva UE 2005/29 dell’11 maggio 2005 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»).

Ad esempio:

1) è inserito il punto seguente:

«2 bis) Esibire un marchio di sostenibilità che non è basato su un sistema di certificazione o non è stabilito da autorità pubbliche.»;

2) sono inseriti i punti seguenti:

«4 bis) Formulare un’asserzione ambientale generica per la quale l’operatore economico non è in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione.

4 ter) Formulare un’asserzione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso o l’attività dell’operatore economico nel suo complesso quando riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o uno specifico elemento dell’attività dell’operatore economico.

4 quater) Asserire, sulla base della compensazione delle emissioni di gas a effetto serra, che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra.»;

3) è inserito il punto seguente:

«10 bis) Presentare requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria come se fossero un tratto distintivo dell’offerta dell’operatore economico.»;

4) sono inseriti i punti seguenti:

«23 quinquies) Non informare il consumatore del fatto che un dato aggiornamento del software inciderà negativamente sul funzionamento di beni che comprendono elementi digitali o sull’uso del contenuto digitale o dei servizi digitali.

23 sexies) Presentare come necessario un aggiornamento del software che si limita a migliorare alcune caratteristiche di funzionalità.

23 septies) Qualsiasi comunicazione commerciale relativa a un bene contenente una caratteristica introdotta per limitarne la durabilità, nonostante le informazioni sulla caratteristica e sui suoi effetti sulla durabilità del bene siano a disposizione dell’operatore economico.

23 octies) Asserire falsamente che, in condizioni d’uso normali, il bene presenta una determinata durabilità in termini di tempo o intensità d’uso.

23 nonies) Presentare il bene come riparabile quando non lo è.

23 decies) Indurre il consumatore a sostituire o reintegrare materiali di consumo del bene prima di quanto sarebbe necessario per motivi tecnici.

23 undecies) Non informare che la funzionalità di un bene sarà compromessa dall’utilizzo di materiali di consumo, pezzi di ricambio o accessori non forniti dal produttore originale, o asserire falsamente che tale compromissione si verificherà.»

Saranno quindi vietati sia i marchi volontari non verificati da soggetti terzi, indipendenti e rispondenti a requisiti ex lege sia quelli non istituiti dall’UE (come, ad esempio l’Ecolabel) o da Stati membri (come, ad esempio, il “Green made in Italy” di cui al dm 56/2018).[2]

Gli obiettivi del legislatore europeo

a. Pubblicità più chiara e attendibile

Le nuove regole mirano a rendere l’etichettatura dei prodotti più chiara e affidabile, vietando l’uso di indicazioni ambientali generiche come “rispettoso dell’ambiente”, “rispettoso degli animali”, “verde”, “naturale”, “biodegradabile”, “a impatto climatico zero” o “eco” se non supportate da prove.

Sarà ora regolamentato anche l’uso dei marchi di sostenibilità, data la confusione causata dalla loro proliferazione e dal mancato utilizzo di dati comparativi. In futuro nell’UE saranno autorizzati solo marchi di sostenibilità basati su sistemi di certificazione approvati o creati da autorità pubbliche.

Inoltre, la direttiva vieterà le dichiarazioni che suggeriscono un impatto sull’ambiente neutro, ridotto o positivo in virtù della partecipazione a sistemi di compensazione delle emissioni (offset in inglese).

b. La durabilità al primo posto

Un altro importante obiettivo della nuova legge è far sì che produttori e consumatori siano più attenti alla durata dei prodotti. In futuro, le informazioni sulla garanzia dovranno essere più visibili e verrà creato un nuovo marchio armonizzato per dare maggiore risalto ai prodotti con un periodo di garanzia più esteso. Le nuove norme vietano anche le indicazioni infondate sulla durata (ad esempio, dichiarare che una lavatrice durerà per 5.000 cicli di lavaggio, se ciò non è esatto in condizioni normali), gli inviti a sostituire i beni di consumo prima del necessario (spesso accade, ad esempio, con l’inchiostro delle stampanti) e le false dichiarazioni sulla riparabilità di un prodotto.[3]

La necessità di maggiore affidabilità dei dati e delle comunicazioni

La Direttiva UE mira, dunque, a far sì che metodologie come ad esempio il Life Cycle Assessment (LCA) e l’utilizzo di innumerevoli standard internazionali di rendicontazione della sostenibilità debbano essere incrementati e verificati/validati/certificati da enti di parte terza affinché la comunicazione e anche il marketing sia ambientalmente veritiero, accurato ed affidabile. Su questo aspetto il legislatore si è soffermato sia nel considerando n.1 della Direttiva UE precisando quanto segue:” Al fine di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, sulla base di un livello elevato di protezione dei consumatori e dell’ambiente, e di compiere progressi nella transizione verde, è essenziale che i consumatori possano prendere decisioni di acquisto informate e contribuire in tal modo a modelli di consumo più sostenibili. Ciò implica che gli operatori economici hanno la responsabilità di fornire informazioni chiare, pertinenti e affidabili.” Sia nel considerando n.7: “I marchi di sostenibilità possono riguardare molte caratteristiche di un prodotto, di un processo o di un’impresa, ed è essenziale garantirne la trasparenza e la credibilità. Pertanto è opportuno vietare l’esibizione di marchi di sostenibilità che non sono basati su un sistema di certificazione o che non sono stati stabiliti da autorità pubbliche includendo tali pratiche nell’elenco di cui all’allegato I della direttiva 2005/29/CE. Prima di esibire un marchio di sostenibilità, l’operatore economico dovrebbe garantire che, secondo i termini del sistema di certificazione disponibili al pubblico, tale marchio soddisfi condizioni minime di trasparenza e credibilità, compresa l’esistenza di un controllo obiettivo della conformità ai requisiti del sistema. Tale monitoraggio dovrebbe essere effettuato da un terzo la cui competenza e indipendenza sia dal titolare del sistema che dall’operatore economico siano garantite sulla base delle norme e delle procedure internazionali, dell’Unione o nazionali, ad esempio dimostrando la conformità alle pertinenti norme internazionali, quali la norma ISO 17065 «Valutazione della conformità – Requisiti per gli organismi di certificazione di prodotti, processi e servizi» o attraverso i meccanismi di cui al regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio ( 4 ). L’esibizione di marchi di sostenibilità è possibile in assenza di un sistema di certificazione quando il marchio è stabilito da un’autorità pubblica o in caso di forme di espressione e presentazione supplementari degli alimenti utilizzate in conformità dell’articolo 35 del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio”

Questa Direttiva rappresenta dunque una pietra miliare per i prossimi anni e sicuramente cambierà la direzione di certe pubblicità e comunicazioni ingannevoli o poco trasparenti che hanno dominato il panorama europeo negli ultimi anni. L’auspicio è quindi quello di poter incrementare la qualità di certe informazioni favorendo così sia una maggiore tutela dei diritti dei consumatori da un lato e una migliore concorrenza tra le imprese che operano nel settore oltre chè ad un incremento della tutela dell’ambiente e della continua riduzione dell’impatto antropico sul climate change, nell’ottica di raggiungere gli obiettivi comuni dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e la sfida della carbon neutrality entro il 2050, così come designata a livello europeo.

La comunicazione di sostenibilità diventa dunque una cosa seria. Già nel 2021 fece scuola la sentenza del Tribunale di Gorizia (Ord. Trib. Gorizia del 25/11/21), il quale aveva precisato che “la sensibilità verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da un’impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto del consumatore”, aggiungendo che “le dichiarazioni ambientali verdi devono essere chiare, veritiere, accurate e non fuorvianti, basate su dati scientifici presentati in modo comprensibile[4]. Una vera anticipazione della Direttiva UE 2024/825.

[1] Greenwashing e finanza sostenibile: rischi e risorse di contrasto – Forum per la Finanza Sostenibile 11/2022

[2] Greenwashing, parte la stretta Ue contro le etichette ingannevoli – Italia Oggi di Vincenzo Dragani del 11/03/2024

[3]Il PE adotta una nuova legge contro greenwashing e informazioni ingannevoli” – Comunicato Stampa del 17/01/24

[4] “Greenwashing, ordinanza storica del Tribunale di Gorizia. Ma la migliore cura è la prevenzione” di Giorgio Kaldor -RM 23/12/2021

Torna all'elenco completo

© Riproduzione riservata