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Stefano Maglia

Responsabilità e controllo formale delle autorizzazioni in materia di rifiuti

di Stefano Maglia

Categoria: Rifiuti

Il concetto della responsabilità condivisa, o a catena tra tutti i soggetti della gestione rifiuti – e non solo, ma, addirittura, dei “beni da cui originano i rifiuti” – nasce già sotto la vigenza del D.L.vo 22/97, il cosiddetto decreto Ronchi, disciplina previgente al D.L.vo 152/06, il cui art. 2, c. 3 aveva fissato per la prima volta tale principio della responsabilizzazione e della cooperazione di tutti i soggetti coinvolti, a qualsiasi titolo, nel ciclo di gestione dei rifiuti[1].
Mentre gli operatori hanno inizialmente ritenuto che il rispetto degli adempimenti e degli oneri indicati nell’art. 10 (“Oneri e finalità dei produttori e dei detentori”) fosse sufficiente ad esonerarli dalla responsabilità, la giurisprudenza ben presto iniziò ad esprimersi in modo completamente diverso[2]: a tal proposito possiamo identificare tre fasi dell’evoluzione giurisprudenziale.
Inizialmente, infatti, la S.C. si era focalizzata solo sulla responsabilità del produttore: Cass. III Pen. n. 18038 dell’11 maggio 2007, infatti, aveva precisato che in tema di gestione dei rifiuti, nel caso in cui il soggetto ricevente il rifiuto non sia in possesso della prescritta autorizzazione, o sia autorizzato a ricevere rifiuti diversi da quelli oggetto di conferimento, il produttore e il detentore rispondono a titolo di concorso di reato di cui all’art. 256 D.L.vo 152/06, atteso che su questi grava l’obbligo di verifica della esistenza e regolarità della citata autorizzazione.
Il D.L.vo 152/06, nella sua versione antecedente le modifiche del 2010, all’art. 178, c. 3, riaffermò che “la gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione …”; non solo, quindi, ribadendo il medesimo principio, ma altresì richiamando i principi fondamentali già elaborati dal Legislatore europeo e quindi ponendo l’accento sulla necessità della riparazione, da parte del soggetto responsabile, dei danni prodotti dall’inquinamento sull’ambiente dalla mala gestione dei rifiuti.
Di orientamento costante la giurisprudenza sul punto[3].
Conferma, infatti, Cass. Pen. 7461 del 19 febbraio 2008 che in forza del principio generale desunto dalla normativa comunitaria in base al quale tutti i soggetti coinvolti nella gestione dei rifiuti rispondono solidalmente del corretto smaltimento, il produttore del rifiuto non può consegnarlo a chicchessia, ma deve conferirlo o al servizio pubblico o ad un soggetto privato che sia però autorizzato a smaltire quel particolare tipo di rifiuto, a nulla rilevando che il consegnatario possa essere autorizzato a smaltire altri rifiuti giacché l’assenza di autorizzazione per il rifiuto specifico conferito equivale a mancanza di autorizzazione.
In una seconda fase dell’accennata evoluzione giurisprudenziale, la S.C. ha preso in considerazione anche gli altri soggetti della gestione dei rifiuti: secondo Cass. III Pen. n. 13363 del 10 aprile 2012 emerge dall’esame degli artt. 188, 193 e seguenti del D.L.vo 152/06 che tutti i soggetti che intervengono nel circuito della gestione dei rifiuti sono responsabili non solo della regolarità delle operazioni da essi stessi posti in essere, ma anche di quelle dei soggetti che precedono o seguono il loro intervento mediante l’accertamento della conformità dei rifiuti a quanto dichiarato dal produttore o dal trasportatore, sia pure tramite la verifica della regolarità degli appositi formulari, nonché la verifica del possesso delle prescritte autorizzazioni da parte del soggetto al quale i rifiuti sono conferiti per il successivo smaltimento.
La consegna ai soggetti gestori impegna comunque il produttore a controllare che si tratti di soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento; ove, per contro, tale doverosa verifica sia omessa, il produttore-detentore risponde a titolo di concorso con il soggetto qualificato nella commissione del reato di cui all’art. 256, c. 1 D.L.vo. 152/06. Ex multis, Cass. III Pen. n. 29727 dell’11 luglio 2013 ha ribadito che colui che conferisce i propri rifiuti a soggetti terzi per il recupero o lo smaltimento ha il dovere di accertare che gli stessi siano debitamente autorizzati allo svolgimento di dette attività, con la conseguenza che l’inosservanza di tale elementare regola di cautela imprenditoriale è idonea a configurare la responsabilità per il reato di illecita gestione di rifiuti in concorso con coloro che li hanno ricevuti in assenza del prescritto titolo abilitativo (conf. Cass. III Pen. 16016 del 7 aprile 2003 e Cass. III Pen. 44291 del 28 novembre 2007).
Sul punto il D.L.vo 205/10, in vigore dal 25 dicembre 2010, ha introdotto novità di rilevo. Il cd. “IV Correttivo” ha riscritto l’art. 178, rubricandolo “Principi”, ribadendo in esso unicamente il principio della co-responsabilità nella gestione dei rifiuti, riservando però poi un successivo articolo, il 178 -bis, al nuovo concetto della “responsabilità estesa del produttore”.
L’art. 178-bis oggi vigente cosi recita: “la gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonché del principio chi inquina paga. A tal fine la gestione dei rifiuti è effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica, nonché nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali”.
Permane quindi l’assioma in forza del quale tutti i soggetti coinvolti nella gestione dei rifiuti rispondono solidalmente del corretto smaltimento, e più in generale del loro “fine ciclo di vita”. In tema si deve segnalare che oggi il D.L.vo 152/06 contiene anche la nozione di “gestione dei rifiuti” (art. 183 lett. n) che ne comprende tutte le fasi: “la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi il controllo di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario”.
Tutto ciò premesso, fin dove può arrivare la responsabilità del produttore di rifiuti[4], che conferisce ad un destinatario formalmente autorizzato a ricevere quei rifiuti, se si dovesse provare che nell’impianto di destinazione si svolgevano eventuali attività di gestione non autorizzata di rifiuti?
L’art. 188 “responsabilità della gestione dei rifiuti” – nella versione modificata dal D.L.vo 205/10 – dispone che: “1. Il produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provvedono direttamente al loro trattamento, oppure li consegnano ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti, in conformità agli articoli 177 e 179. Fatto salvo quanto previsto ai successivi commi del presente articolo, il produttore iniziale o altro detentore conserva la responsabilità per l’intera catena di trattamento, restando inteso che qualora il produttore iniziale o il detentore trasferisca i rifiuti per il trattamento preliminare a uno dei soggetti consegnatari di cui al presente comma, tale responsabilità, di regola, comunque sussiste”.
Ciò significa che, pur in assenza di uno “specifico” obbligo documentale (sulla scia dell’ipotizzato, ma mai realizzato, “certificato di avvenuto smaltimento”) la responsabilità del produttore iniziale del rifiuto non si arresta al momento del primo conferimento dello stesso. Ovviamente – a parere di chi scrive – si deve trattare di un controllo di tipo formale, ovvero finalizzato ad una mera, ma completa, verifica documentale.
Sul punto relativo all’obbligo, in capo al produttore, di puntuale verifica delle autorizzazioni dei soggetti coinvolti nella gestione del rifiuto da lui prodotto la S.C. si è espressa più volte, come visto più sopra. Si segnala, peraltro, in argomento una posizione espressa da alcune pronunce della S.C. che tiene conto altresì del concetto di “affidabilità” (terza fase dell’evoluzione giurisprudenziale). In particolare Cass. Pen. 7 febbraio 2008, n. 6101[5] puntualizza che “un soggetto che affida i propri rifiuti ad altre persone per lo smaltimento è gravato dall’obbligo di accertarsi che le stesse siano affidabili, munite delle necessarie autorizzazioni e competenze per l’espletamento dell’incarico”. In particolare, in questa pronuncia si è affermato che la condotta colposa del produttore (mancato controllo sull’affidabilità delle persone delegate allo smaltimento) ha posto in essere una condizione della catena causale senza la quale l’evento, prevedibile e non dovuto a fattori imponderabili, non si sarebbe verificato.
In argomento si segnala, altresì, la più recente pronuncia Cass. III Pen. n. 8018 del 1 marzo 2012[6], secondo la quale “l’affidamento di rifiuti a soggetti terzi, al fine del loro smaltimento, comporta per il soggetto che li conferisce precisi obblighi di accertamento (in particolare la verifica sia dell’affidabilità del terzo che dell’esistenza in capo al medesimo delle necessarie autorizzazioni e competenze per l’espletamento dell’incarico), la cui violazione giustifica l’affermazione della responsabilità penale per il mancato controllo a titolo di culpa in eligendo” (cd. “colpa nella scelta”, il rimprovero rivolto al datore di lavoro per il fatto di non aver curato con la dovuta accortezza la scelta dei propri collaboratori).
Ma cosa si intende per “affidabilità”?
Nel nostro ordinamento giuridico non esiste una apposita nozione, ma comunemente s’intende quel grado di fiducia che si può riporre in qualcuno o qualcosa[7]; affidabile, quindi, è quel soggetto che dà fiducia e sicurezza[8].
Nel caso concreto, però, non ci si può rimettere ad un generico riferimento all’affidabilità: come si può ipotizzare un reato a carico del produttore nel momento in cui costui ha personalmente e puntualmente verificato le autorizzazioni del destinatario, al fine di assicurarsi che potesse ricevere proprio quei rifiuti e che fosse in possesso di idoneo titolo autorizzativo (o abilitativo)?
In conclusione, dalla giurisprudenza sopra riportata si evince che una corrente minoritaria ha preso posizione anche in merito alla responsabilità del produttore che non verifichi l’affidabilità del destinatario. Ad avviso di chi scrive, però, la suddetta estensione di responsabilità non può essere condivisa a priori, ma va motivata caso per caso: la presunta culpa in eligendo deve essere necessariamente verificata. Peraltro, si sottolinea che la maggioranza delle sentenze in materia ribadisce la necessità della mera verifica (formale) del titolo autorizzativo[9], mentre solo le due sopraccitate pronunce[10] propendono per l’estensione della responsabilità e – si precisa – in fattispecie del tutto singolari (gli incaricati dello smaltimento dei rifiuti non erano soggetti qualificati della gestione).

 

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