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Stefano Maglia

Responsabilità ex DLvo 231: l’efficacia esentiva dei modelli ex art. 6 del D.L.vo n. 231/2001

di Stefano Maglia

Categoria: Responsabilità ambientali

Recentemente è stata data da varie fonti notevole rilevanza alla sentenza 18 giugno 2012, n. 1824 della Corte d’Appello di Milano, che ha affermato il principio in base al quale un efficace modello organizzativo – ex art. 6 – del D.L.vo n. 231/2001 esonera la società da responsabilità amministrativa per i reati commessi dai propri dipendenti, anche se in posizioni apicali. Su quest’ultimo aspetto la Corte territoriale ha precisato che un modello organizzativo non può ritenersi inefficace per il solo fatto che siano stati commessi illeciti da dirigenti apicali della persona giuridica, eludendo fraudolentemente le procedure previste dal modello, perché altrimenti l’esimente non avrebbe mai applicazione pratica.

Alcuni commentatori hanno sottolineato con una certa enfasi che, in base al suddetto principio, può ora definitivamente affermarsi che un efficace modello organizzativo idoneo a prevenire i reati commessi dai dipendenti a vantaggio dell’ente, se predisposto prima della commissione dei reati che intende prevenire, costituisce una esimente che fa venire meno la responsabilità amministrativa salva in capo alla società.

La sentenza, per quanto autorevole e condivisibile, non sembra tuttavia avere la portata innovatrice attribuitale: essa infatti ribadisce pedissequamente i principi già espressi tre anni orsono nella sentenza di primo grado[1] e, ancor prima, dalla stessa Suprema Corte di Cassazione.

Il Giudice di prime cure aveva infatti già avuto modo di affermare ed argomentare che “nei (rari) precedenti giurisprudenziali di applicazione di tale norma è stato giustamente affermato dalla S.C. che la adozione del “modello organizzativo” è condizione necessaria, ma non sufficiente, per non incorrere nella responsabilità amministrativa regolata dalla legge 231 cit. Ove il modello non sia stato adottato nei termini prescritti, infatti, l’ente risponde dell’illecito collegato al reato presupposto, a meno che non dimostri che il suo esponente apicale abbia agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi (Cass. 36083/09 rv. 244256)”.

Più in particolare, il GIP di Milano aveva sottolineato che, “nel giudicare la responsabilità della società, per non cadere in una sorta di “responsabilità oggettiva” degli enti, occorre verificare la efficacia del modello con valutazione “ex ante” e non “ex post”, rispetto agli illeciti commessi dagli amministratori. Del resto, non avrebbe senso ritenere inefficace un modello organizzativo per il solo fatto che siano stati commessi degli illeciti da parte dei vertici della persona giuridica, in quanto ciò comporterebbe, ovviamente, la pratica inapplicabilità della norma contenuta nell’art. 6 legge 231/01. Occorre, in altre parole, stabilire se, prima della commissione del fatto, fosse stato adottato un corretto modello organizzativo e se tale modello, con valutazione ex ante, potesse considerarsi efficace per prevenire gli illeciti societari oggetto di prevenzione”.

Ma proprio il fatto che i principi appena esposti siano rimasti validi ed immutati, nonostante il passare del tempo e le modifiche legislative intervenute, rappresenta un tema di notevole interesse.

Si ricorda infatti che dal 16 agosto 2011 è in vigore il D.L.vo n. 121/2011, la cui novità più rilevante è stata sicuramente quella di aver inserito i seguenti reati ambientali tra i reati presupposto della responsabilità degli enti previsti dal D.L.vo n. 231/2001:

Art. 137: Scarichi;

Art. 256: Attività di gestione non autorizzata;

Art. 257: Bonifica dei siti;

Art. 258: Violazione obblighi MUD, registri e formulari;

Art. 259: Traffico illecito di rifiuti;

Art. 260: Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti;

Art. 260 bis: Sistri;

Art. 297: Emissioni.

La sentenza in commento è dunque importante perché, pur essendo stata pronunciata in riferimento ad ipotesi avulse dal novero dei reati ambientali, conferma che la validità e l’imprescindibilità dei modelli organizzativi è rimasta immutata nonostante le sensibili modifiche legislative intervenute. Pertanto, anche a seguito dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 121/2011 – e del conseguente inserimento di alcuni reati ambientali tra i cd. reati presupposto -, il modello organizzativo di cui all’art. 6 del D.L.vo n. 231/2001 conserva pienamente la sua efficacia esimente; dunque, un modello appositamente implementato per la previsione dei reati ambientali esonera l’ente dalle responsabilità derivanti dall’integrazione di tali reati.

Viene inoltre confermato che l’adozione di tale modello, seppur facoltativa, è necessaria allorquando l’ente intenda beneficiare della citata esenzione.

Tuttavia, come puntualizzato in entrambe le sentenze di merito (nonché dal medesimo art. 6 del D.L.vo n. 231/2001), la realizzazione di un modello di organizzazione a nulla rileva se esso non può considerarsi “efficace”. A tal fine è necessario che l’organo dirigente abbia affidato ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello, detto organo, ai fini dell’efficacia del modello, dovrà altresì curarne l’aggiornamento.

In questa sede si vuole ribadire[2] che l’Organo di Vigilanza (OdV) è l’organo dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo deputato necessario affinché il modello di organizzazione esplichi la propria funzione esentiva. Esso si caratterizza per i seguenti requisiti:

A) Autonomia e indipendenza

I requisiti di autonomia e indipendenza sono fondamentali affinché l’OdV non sia direttamente coinvolto nelle attività gestionali della sua attività di controllo. Tali requisiti si possono ottenere, tra l’altro, garantendo l’insindacabilità delle scelte dell’OdV da parte degli organi dell’ente e prevedendo un’attività di reporting al Consiglio di Amministrazione.

B) Professionalità

L’OdV deve possedere al suo interno competenze tecnico-professionali adeguate alle funzioni che è chiamato a svolgere; tali caratteristiche, unite all’indipendenza, garantiscono l’obiettività di giudizio.

C) Continuità di azione

L’OdV deve:

– lavorare costantemente sulla vigilanza del modello organizzativo con i necessari poteri d’indagine;

– essere una struttura interna, in modo da garantire la continuità dell’attività di vigilanza;

– curare l’attuazione del modello organizzativo e il costante aggiornamento;

– non svolgere mansioni operative che possano condizionare la visione d’insieme delle attività aziendali che ad esso si richiede.

In tale quadro ed in relazione alle dimensioni ed alla complessità delle attività svolte dalla società, l’organismo di vigilanza assume la veste di organo collegiale, composto da due o più membri, nominati secondo le logiche che seguono, avuto riguardo alla necessità di assicurare una composizione qualitativa che consenta di perseguire flessibilità e piena efficacia di azione. In tal senso, l’individuazione dei componenti dovrà essere di volta in volta valutata tenuto conto e coerentemente con le specifiche caratteristiche della società, l’evoluzione normativa e giurisprudenziale nonché le indicazioni da parte della dottrina, di associazioni, enti e d’altri esperti in materia

 

Conclusivamente, si vuole nuovamente sottolineare l’importanza che l’adozione di un efficace modello organizzativo riveste per gli enti e, di conseguenza, la necessità non solo che venga implementato compiutamente e costantemente aggiornato, ma altresì che venga nominato un organismo di vigilanza che, per poter adempiere alle proprie funzioni, deve essere composto da esperti dotati di comprovate competenze tecnico- professionali.

 

Una proposta? http://www.tuttoambiente.it/231-ambiente-e-sicurezza/

 



[1] Cfr. Trib. Milano, Ufficio GIP, 17 novembre 2009.

[2] Per un’approfondita analisi dell’argomento cfr. S. MAGLIA – A. DI GIROLAMO, “Poteri e responsabilità dell’Organismo di Vigilanza previsto dal D.Lgs. n. 231/2001”, in “Ambiente e Sviluppo” n.3/2012, p. 231 ss.

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