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Rifiuti: autorizzazione necessaria per l’esercizio di un impianto mobile

di Rosa Bertuzzi

Categoria: Rifiuti

Quali sono gli obblighi a carico di coloro che utilizzano impianti mobili di recupero rifiuti speciali – pericolosi e non pericolosi – , quali impianti che triturano gli sfalci e le potature, il legname scartato dal taglio dei boschi, gli inerti da demolizione, gli sfridi di asfalto, per poi , in alcuni casi, riutilizzarli nello stesso posto in cui tali attività vengono esercitate ? In questa sede si affronta solo l’obbligatorietà dell’autorizzazione dell’impianto mobile di recupero dei rifiuti . Tale impianto deve essere oggetto di autorizzazione provinciale, ai sensi dell’art. 208 del D.L.vo 152/2006, nonché l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, ai sensi dell’art. 212 della stessa norma. La mancanza di tali requisiti comporta la violazione penale di cui all’art. 256 , sempre della stessa norma . La Suprema Corte si è pronunciata in tal senso con sentenza n. 6107 del 10 febbraio 2014, la quale ha stabilito che per la attività di impianto mobile di recupero rifiuti è previsto un atto autorizzatorio, per così dire, preventivo, avente efficacia generale, in quanto abilita all’espletamento dell’attività nel complesso ed in ambito nazionale. La preventiva verifica delle condizioni di legge per l’esercizio dell’attività comporta, poi, un ulteriore controllo, successivo ed attenuato, in quanto soggetto a mera comunicazione, in occasione delle singole campagne di attività.
Il fatto prende le mosse quando il Tribunale di Forli, con sentenza del 16.5.2012 ha riconosciuto un soggetto responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a), in relazione all’art. 208, comma 15 del cit. decreto e lo ha condannato alla pena dell’ammenda per avere, quale legale rappresentante della “…. STRADE s.p.a.”, esercitato un impianto mobile di recupero di rifiuti speciali non pericolosi, consistenti in materiali da demolizione, in assenza della prescritta comunicazione da presentare all’ente competente almeno 60 giorni prima della campagna di lavoro (in Forlì, 19.1.2010). Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.
La Corte di Cassazione ha ritenuto quanto segue : risulta accertato in fatto dal giudice del merito che la società dell’imputato stava svolgendo, all’atto del controllo, attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da “residui di attività di demolizione e costruzione” consistita nella “riduzione volumetrica e separazione dei suddetti residui”, effettuata utilizzando un “apposito macchinario mobile” presso un cantiere ubicato in località diversa da quella indicata nell’atto autorizzatorio presente in atti. Dando quindi conto della circostanza che l’attività di gestione era stata effettuata “al di fuori della sede autorizzata”, ha ritenuto tale condotta assimilabile a quella di gestione in assenza di titolo abilitativo ed ha osservato, in tal senso confutando una specifica deduzione difensiva, che il richiamo al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 208, comma 15 doveva ritenersi inconferente non risultando, dall’autorizzazione presente in atti, che l’impianto cui essa si riferisce sia qualificato come impianto mobile.Ciò posto, deve anche rilevarsi che il ricorrente non contesta i dati fattuali, concernenti l’attività in concreto svolta (recupero mediante riduzione volumetrica e separazione), l’oggetto di tale attività (rifiuti derivanti da attività di demolizione e costruzione) ed il mezzo (impianto mobile) con il quale detta attività veniva effettuata. Risulta inoltre dal ricorso e dalla sentenza impugnata che la società dell’imputato opera in regime di procedura semplificata ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 216, come emerge dalle determinazioni dirigenziali della Provincia di Forlì – Cesena richiamate in ricorso ed in esso integralmente riprodotte. Tale stato di cose, ad avviso del Collegio, avrebbe richiesto, da parte del giudice del merito, una lettura diversa delle disposizioni applicate. Come è noto, la disciplina generale in tema di rifiuti prevede che le attività di gestione siano soggette al possesso di determinati titoli abilitativi che richiedono, nei casi in cui è maggiore il rischio di conseguenze negative per l’ambiente, il rilascio di un atto formale di autorizzazione all’esito di un complesso procedimento amministrativo, mentre, negli altri casi, è richiesta la semplice iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali sino a prevedere, per determinate attività, il ricorso alle procedure semplificate. L’art. 208, in particolare, prevede attualmente un’autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione, per la realizzazione e gestione di nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, i contenuti essenziali della quale sono indicati nel comma 11. Detta disposizione stabilisce anche alcune eccezioni alla procedura ordinaria, che riguardano il controllo e l’autorizzazione delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio di ifiuti in aree portuali, i quali sono disciplinati dalle specifiche disposizioni, il deposito temporaneo effettuato nel rispetto delle condizioni stabilite dalla legge e, ciò che qui rileva, gli impianti mobili di smaltimento o di recupero. Per tale tipologia di impianti è infatti disposto, dal comma 15, che essi sono autorizzati, in via definitiva, dalla Regione ove l’interessato ha la sede legale o la società straniera proprietaria dell’impianto ha la sede di rappresentanza. E’ inoltre previsto, sempre nello stesso comma, che, per lo svolgimento delle singole campagne di attività sul territorio nazionale, l’interessato, almeno sessanta giorni prima dell’installazione dell’impianto, comunichi alla Regione nel cui territorio si trova il sito prescelto le specifiche dettagliate relative alla campagna di attività, allegando l’autorizzazione di cui all’art. 208, comma 1, e l’iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali, nonchè l’ulteriore documentazione richiesta. La Regione può anche adottare prescrizioni integrative, oppure può vietare l’attività con provvedimento motivato qualora lo svolgimento della stessa nello specifico sito non sia compatibile con la tutela dell’ambiente o della salute pubblica.
10. Dunque, in linea generale, per tale tipologia di impianti è previsto un atto autorizzatorio, per così dire, preventivo, avente efficacia generale, in quanto abilita all’espletamento dell’attività nel complesso ed in ambito nazionale. La preventiva verifica delle condizioni di legge per l’esercizio dell’attività comporta, poi, un ulteriore controllo, successivo ed attenuato, in quanto soggetto a mera comunicazione, in occasione delle singole campagne di attività. Lo stesso comma 15 prevede, però, un’ulteriore deroga alla speciale disciplina appena ricordata, stabilendo espressamente che essa non si applica agli impianti mobili che effettuano la disidratazione dei fanghi generati da impianti di depurazione e reimmettono l’acqua in testa al processo depurativo presso il quale operano ed a quelli in cui si provveda alla sola riduzione volumetrica e separazione delle frazioni estranee. Nel testo vigente alla data dell’accertamento dei fatti per cui si procede, l’art. 208, comma 15 così testualmente recitava “(…) esclusi gli impianti mobili che effettuano la disidratazione dei fanghi generati da impianti di depurazione e reimmettono l’acqua in testa al processo depurativo presso il quale operano, ad esclusione della sola riduzione volumetrica e separazione delle frazioni estranee. A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 205 del 2010, il testo attuale risulta così modificato “(…) esclusi gli impianti mobili che effettuano la disidratazione dei fanghi generati da impianti di depurazione e reimmettono l’acqua in testa al processo depurativo presso il quale operano, ed esclusi i casi in cui si provveda alla sola riduzione volumetrica e separazione delle frazioni estranee (…)” chiarendo meglio il senso della deroga al regime ordinario.
11. Una siffatta lettura della disciplina degli impianti mobili nel senso appena riportato era stata, peraltro, già effettuata dalla giurisprudenza di questa Corte, in parte richiamata anche in ricorso. Infatti, in una prima occasione (Sez. 3, n. 21859, 1 giugno 2011), si è affermato, richiamando anche un precedente avente ad oggetto una questione simile, affrontata, però senza una specifica disamina della normativa di riferimento (Sez. 3, n. 12429, 20 marzo 2008), che nella deroga appena ricordata non possono essere ricompresi gli impianti mobili adibiti alla macinatura, vagliatura e deferrizzazione dei materiali inerti prodotti da cantieri edili di demolizione, non rientrando tale attività nella semplice riduzione volumetrica e separazione di eventuali frazioni estranee, comportando, invece, un’operazione di trattamento il cui principale risultato è quello di permettere ai residui ferrosi di svolgere un ruolo utile. Questa Corte si è successivamente espressa nello stesso senso, richiamando il precedente, sempre con riferimento ad attività di macinatura, vagliatura e deferrizzazione dei materiali inerti prodotti da cantieri edili di demolizione in quanto diversa alla mera riduzione volumetrica e separazione di frazioni estranee (Sez. 3, n. 28205, 28 giugno 2013). 12. Le conclusioni cui sono pervenute le pronunce appena richiamate sono pienamente condivise dal Collegio, perchè è evidente che la deroga di cui si tratta, riguardando attività potenzialmente dannose per l’integrità dell’ambiente, non può che operare limitatamente alle operazioni specificamente indicate dal legislatore. Operando la deroga limitatamente alle attività indicate e, segnatamente, per ciò che qui interessa, la riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee, deve escludersi, ovviamente, che la sua applicabilità possa estendersi ad attività diverse o ulteriori rispetto a quelle previste dalla norma, che restano pertanto soggette al regime ordinario (si pensi, ad esempio, al trasporto effettuato dopo il compimento delle operazioni suddette). Inoltre, poichè, come si è specificato più volte in precedenza, il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 208, comma 15 introduce una deroga al regime ordinario in tema di rifiuti, l’onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge per la operatività della deroga medesima incombe su colui che ne richiede l’applicazione (v. ad es. Sez. 3, n.17453, 10 maggio 2012; Sez. 3, n. 16727, 29 aprile 2011; Sez. 3, n. 41836, 7 novembre 2008 in tema di sottoprodotti; Sez. 3, n. 15680, 23 aprile 2010; Sez. 3, n. 21587, 17 marzo 2004; Sez. 3, n. 30647, 15 giugno 2004 in tema di deposito temporaneo; Sez. 3, n. 9794, 8 marzo 2007; Sez. 3, n. 37280, 1 ottobre 2008; Sez. 3, n. 35138, 10 settembre 2009 con riferimento alle terre e rocce da scavo).
13. Deve conseguentemente affermarsi il principio secondo il quale la deroga al regime ordinario in materia di rifiuti prevista, dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 208, comma 15, per gli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee, opera esclusivamente con riferimento a tali attività, restando conseguentemente esclusa ogni operazione diversa, antecedente o successiva, che rimane invece soggetta alla disciplina generale ed incombe su chi invoca l’applicazione di detta deroga l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti di legge per la sua operatività.
14. Ciò posto, risulta evidente che, per quel che concerne la fattispecie in esame, la sentenza impugnata non pone neppure in discussione, come si è detto, che le attività esercitate dall’imputato con l’impianto mobile esulassero da quelle contemplate dal regime derogatorio di cui si è detto, facendo esclusivo riferimento ad operazioni di riduzione volumetrica e separazione di residui provenienti da attività di costruzione e demolizione, senza alcun accenno ad attività estranee quali, ad esempio, la vagliatura, macinatura e deferrizzazione che avevano portato ad escludere, nelle precedenti pronunce di questa Corte già menzionate, l’applicabilità del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 108, comma 15. Il giudice del merito ha infatti concentrato la sua attenzione su altri aspetti e, segnatamente, sulla circostanza che il titolo abilitativo del quale disponeva l’imputato riguardasse un impianto fisso ubicato altrove e che dal titolo suddetto non risultava che l’impianto utilizzato fosse mobile, giungendo così alla conclusione che l’attività fosse stata effettuata al di fuori della sede autorizzata e con impianto la cui tipologia non giustificava alcun richiamo alla speciale disciplina di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 208, comma 15.
15. Tale assunto risulta, tuttavia, del tutto errato, poichè una corretta lettura della disposizione appena richiamata avrebbe dovuto indurre il Tribunale alla verifica, in concreto, delle operazioni effettivamente svolte con l’impianto mobile, ritenendo quindi lecita l’attività se perfettamente corrispondente con la previsione normativa e, dunque, se limitata alla sola riduzione volumetrica e separazione di eventuali frazioni estranee, stante la piena operatività, in tal caso, del regime derogatorio ovvero, in difetto, di verificare se le diverse attività di gestione venissero effettuate in assenza di titolo abilitativo o senza osservarne le prescrizioni, con conseguente applicabilità delle sanzioni previste, in un caso, dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1 e, nell’altro dall’art. 256, comma 4.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo esame alla luce del principio in precedenza affermato.

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