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Sistema di scambio quote emissioni (EU ETS) applicato agli impianti di incenerimento rifiuti in Germania

di Maurizio Sante Minichilli

Categoria: Aria


 
A seguito dell’accordo internazionale raggiunto a Kyoto il 7.12.1997 da oltre 160 paesi partecipanti alla Conferenza sui Cambiamenti Climatici, l’Unione Europea ha adottato la Direttiva 2003/87/CE, successivamente modificata dalla Direttiva 2009/29/CE e, da ultimo dalla Direttiva 2018/410/UE, con la quale viene istituito e regolamentato il meccanismo di negoziazione delle quote di emissioni prodotte da impianti industriali, nel settore della produzione di energia elettrica, termica e per gli operatori aerei, detto anche cap&trade, il quale fissa un tetto massimo annuale (cap) al livello delle emissioni consentite a tutti i soggetti obbligati ma consente agli stessi di acquistare e vendere sul mercato (trade) diritti ad emettere CO2 secondo i propri fabbisogni e nell’ambito dei limiti assegnati.
 
L’EU ETS riguarda circa 11.000 operatori a livello europeo mentre in Italia sono 1.200 gli impianti interessati, di cui il 71% nel settore manifatturiero; sono esclusi da tale disciplina ospedali e “Piccoli Emettitori”, con emissioni inferiori a 25.000 t/a di CO2 equivalente ovvero impianti di combustione con PTN (potenza termica nominale) inferiore a 35 MW, escluse le emissioni di biomasse.
 
Dal 2005 ciascun impianto, con emissioni superiori ai limiti indicati dalla Direttiva, non può operare in mancanza di autorizzazione ad emettere gas serra, consentita previa compensazione, verificata da soggetto terzo indipendente, con quote di emissioni europee (European Union Allowance – EUA ed European Union Aviatioin Allowance EUA A, entrambe pari ad 1 ton/eq. di CO2), acquistate e cedute su apposito mercato (aste o negoziazione volontaria).
 
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La contabilità delle compensazioni è tenuta attraverso il Registro Unico dell’Unione mentre il controllo su scadenze e rispetto delle regole del meccanismo è affidato alle autorità nazionali competenti.
 
Le quote possono essere collocate a titolo oneroso o gratuito. Nel primo caso vengono vendute attraverso aste pubbliche (in Italia l’emettitore è il GSE) alle quali partecipano soggetti accreditati che acquistano principalmente per compensare le proprie emissioni ma possono anche alimentare il mercato secondario del carbonio, ovvero nel caso di minor produzione di CO2, per efficientamento energetico, oppure per minor attività emissiva (ad esempio per fermi o riduzione di produzione) cedere a terzi la quota in surplus inutilizzata.
 
Per avere contezza riguardo la dimensione dei ricavi dalla vendita certificati basti considerare (report GSE) che nel terzo trimestre 2023 i proventi UE generati dal collocamento delle quote EUA sono stati di 10,5 mld, a cui si aggiungono € 128 mln. per l’aviazione. Nello stesso periodo in Italia sono state collocate 9,8 mln. di quote EUA ad un prezzo medio ponderato di €/cad. 84,2 con un ricavo di circa 824 mln/€ in aumento del 16,1% rispetto al 2022.
 
I proventi derivanti dalle aste sono destinati:
• al Fondo Modernizzazione, il quale sostiene la transizione energetica di 10 Stati Membri con reddito inferiore al 60% media UE;
• al Fondo per l’Innovazione, che finanzia programmi a livello mondiale nel campo della dimostrazione e commercializzazione di tecniche innovative a basse emissioni di carbonio;
• al RepowerEU.
 
Nel corso del III° trimestre 2023 gli Stati Membri con maggiori proventi derivanti dalla messa all’asta di quote EUA sono stati la Germania (1,9 Mld. €) e la Polonia (1,3 Mld. €,), mentre l’Italia si è posizionata al quarto posto con 824 mln.
 
Oltre che con asta pubblica, le quote possono essere assegnate gratuitamente agli operatori a rischio delocalizzazione delle produzioni in paesi caratterizzati da standard ambientali meno stringenti rispetto a quelli europei (cd. Carbon leakage), e sono calcolate prendendo a riferimento le emissioni degli impianti più virtuosi (cd. benchmarks, prevalentemente basati sulle produzioni più efficienti).
 
Attualmente le procedure di assegnazione gratuita sono normate dal regolamento delegato (UE) 2019/331, mentre le modalità operative sono disciplinate nella delibera n. 70/2019 del “Comitato Nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per il supporto nella gestione delle attività di progetto del protocollo di Kyoto (istituito con D.Lgs. 30/2013”.
 
In proposito il TAR Lazio, con ordinanza nr. 827/2022 – reg. Ric. 6397/2021 – del 25.01.2022, a fronte di un ricorso promosso da nota azienda nazionale manifatturiera avverso il diniego di attribuzione di quota gratuita da parte del succitato Comitato Nazionale per la gestione direttiva 2003/87/CE, ha sollevato dinnanzi alla CGUE la questione pregiudiziale di interpretazione della norma, ai sensi dell’art. 267 TFUE.
 
Rispetto al motivo di doglianza ovvero l’errata applicazione dell’art. 10-bis della Dir. 2003/87/CE), ed inclusione dell’impianto di emissione tra quelli di cui all’allegato I della citata direttiva non titolati a vedersi assegnare gratuitamente quote ETS, il G.A. ha sottoposto alla CGUE i seguenti quesiti:
 
– il provvedimento assunto dal Comitato Nazionale può formare oggetto di autonoma impugnazione dinnanzi alla Corte UE, oppure al contrario impugnare la decisione della Commissione Europea di rifiutare la sua inclusione nell’elenco ai sensi dell’art. 14/comma 4 Reg. Deleg. UE 2019/331, secondo quanto previsto dall’art. 263/comma 4 TFUE;
– se la nozione “di impianto di produzione di elettricità’”, come risultante dalla sentenza CGUE 20.06.2019 (causa C-682/17 ExxonMobil Produtction Deutschland GmbH c/ Bundesrepubblik Deutschland), ricomprenda anche situazioni in cui vi sia una minima parte di cogenerazione (non ammessa al riconoscimento delle quote gratuite di emissione), rispetto ad altre fonti di energia termica nelle quali invece è concesso l’incentivo. Ovvero se tale interpretazione non distorca i principi generali dell’Unione rispetto alle condizioni di concorrenzialità tra operatori in caso di concessioni di incentivi diseguali e non proporzionali tra gli stessi.
 
Al di là della peculiarità giuridica della vicenda, va tenuto presente il regolamento (UE) 2024/873 pubblicato sulla G.U.U.E. del 4.04.2024, il quale prevede la riduzione delle quote gratuite di emissione gas serra destinate ai gestori di impianti che non rispettano i requisiti di efficienza energetica e neutralità climatica di cui alla direttiva 2003/87/CE ed apporta numerose modifiche al meccanismo di assegnazione gratuita delle quote di emissioni nel periodo 2021-2030 (come previsto dal precedente regolamento 2019/331). Il nuovo sistema di assegnazione gratuita prevede:
 
– una riduzione del 20% in capo ai gestori che non avranno dimostrato di aver attuato le raccomandazioni di efficienza energetica o che le emissioni dell’impianto superano l’80% dei livelli di emissione prodotti negli anni 2016 e 2017;
– l’eliminazione graduale dell’assegnazione gratuita per le merci ad alta intensità di carbonio (cemento, prodotti siderurgici, alluminio, fertilizzanti, energia elettrica ed idrogeno), in arrivo nell’UE e provenienti da paesi in cui non vigono politiche di contrasto ai cambiamenti climatici equiparabili agli ETS UE, rientranti nell’ambito del regolamento 2023/956, istitutivo del meccanismo CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism). In buona sostanza, al fine di contrastare il cd. carbon leakage (ovvero la rilocalizzazione delle attività con emissioni GHG in paesi extra UE con normative meno severe), a regime il sistema dovrà correggere lo squilibrio tra I produttori UE di merci cd. inquinanti (i quali non avranno più i certificati gratuiti) e quelli extra UE gravati del dazio doganale di ingresso merci con il cd. CBAM;
– la modifica dei criteri e le formule per la determinazione delle emissioni storiche e l’assegnazione gratuita di quote per alcune tipologie di prodotti, nonché l’introduzione di incentivi per l’elettrificazione di processi industriali.
 
Tornando al sistema di assegnazione delle quote a titolo oneroso, al di là del metodo di assegnazione, il quantitativo complessivo di ETS UE diminuisce annualmente imponendo di fatto una riduzione delle emissioni di gas serra nei settori interessati: l’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 passa dall’attuale – 43% al – 62% rispetto al 2005, con una riduzione corrispondente del quantitativo totale a livello di Unione (basti pensare che per il 2024 è prevista una riduzione di 90 mln. di EUA e quindi di minori quote ETS messe all’asta).
Il fattore lineare di riduzione (FLR) ovvero la percentuale annua è stato aumentato (rispetto a quanto in precedenza) al 4,4% annuo.
 
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Tra i settori EU ETS vi sono quelli rientranti nella disciplina ETS 2, CBAM, Aviazione Marittimo ed Impianti Stazionari; in seno a questi ultimi vi sono gli inceneritori di rifiuti urbani (attualmente esclusi dalla disciplina) ai quali dall’1.01.2024, secondo il Reg. di esecuzione Commissione UE 2023/2122/UE, si estendono gli obblighi di monitoraggio e comunicazione delle emissioni, per impianti con potenza nominale superiore a 20 MW. Entro luglio 2026, la Commissione Europea dovrà valutare e riferire al Parlamento Europeo ed al Consiglio in merito alla fattibilità della loro inclusione nell’EU ETS, in vista del loro effettivo (e certo) inserimento a partire dal 2028.
 
Tale valutazione dovrà prendere in considerazione anche la possibilità di includere nell’EU ETS altri processi di gestione dei rifiuti, quali il collocamento in discarica, la fermentazione, il compostaggio ed il trattamento meccanico-biologico.
Come noto il legislatore tedesco ha anticipato, con decorrenza dall’1.01.2024, i tempi estendendo l’applicazione della normativa sul sistema di scambio emissioni (BEHG – Brennstoffemissionshandel sgesetz), ai fini della determinazione del prezzo della CO2, agli impianti di incenerimento rifiuti.
 
Si tratta di un aumento medio di circa 40 €/ton., ridotto fino al 50% per alcune tipologie di rifiuti (nei quali la componente fossile è parziale). E’ stata una decisione adottata non a cuor leggero e non senza diversi malumori, sopratutto tra i soggetti coinvolti i quali, oltre a rappresentare gli interessi della categoria (non solo tra i produttori e gli occupati), ma anche a cascata degli utenti finali conferitari di rifiuti nonché acquirenti energia elettrica prodotta, hanno evidentemente palesato una criticità strutturale della filiera sensibilmente vocata al mercato delle importazioni transfrontaliere.
 
Basti considerare che, a fronte della poderosa dotazione impiantistica della Germania con 96 termovalorizzatori (dato non aggiornato) ed una capacità di 26,3 mln/ton. (dati Cewep), il quantitativo complessivo di rifiuti importati è pari a 5,5 mln/ton (report 2022 Federal Eonvironment Agency BMUV); solo l’Italia ha esportato in Germania nel 2021 831.243 ton. di rifiuti speciali (rapporto Ispra 2023).
Decisione autolesionista rispetto alle tempiste UE per l’estendimento agli impianti stazionari (termovalorizzatori) delle norme ETS UE oppure scelta lungimirante (e spiazzante nel medio termine) nell’ambito del mercato europeo della circolazione dei rifiuti, nel quale i ns. vicini d’oltralpe esercitano indubbiamente un ruolo primario ?
 
Difficile dirlo con certezza, anche se propenderei per la seconda soluzione, non sorprendendomi che, all’indomani delle consultazioni europee (salvo stravolgimenti ed ulteriori spinte disgregatrici) la Commissione (ed il Parlamento a ruota) imprimeranno una forte accellerata nell’inserimento a pieno titolo di tale comparto tra i soggetti obbligati all’acquisto di quote certificati ETS.
 
Seppur vero che la ns. dotazione impiantistica non è minimamente paragonabile a quella tedesca, ritengo che la messa a terra di tecnologie di efficientamento per la riduzione delle emissioni di CO2 non sia affatto prematura per gli operatori in quelle regioni che, fortunatamente, hanno (o intendono dotarsi di) una capacità impiantistica di termovalorizzazione autosufficiente (con la Lombardia prima, se non unica, regione in surplus di offerta rispetto alla domanda di conferimento).
 
Così com’è prevedibile che gli oneri di esportazione (ivi incluso quelli logistici ed ambientali) diverranno sempre più gravosi per tutti gli stakeholders, ivi compresi i produttori iniziali, siano essi utenti sui quali si scaricherà il costo finale della tariffa del rifiuto urbano prodotto, siano essi aziende in caso di rifiuti speciali generati.
 
Si tratta di capire se vogliamo essere un sistema paese che vive day-by-day oppure in grado di prevedere all’orizzonte i cambiamenti che si profilano in uno dei comparti strategici della ns. filiera industriale, pianificando medio tempore la tanto agognata autosufficienza impiantistica sull’intero territorio nazionale tale da poter rendere applicabile, in modo virtuoso e concorrenziale, il principio di prossimità.

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