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Sottoprodotto: la forza della nozione

di Massimo Medugno

Categoria: Rifiuti

L’evoluzione del quadro normativo va seguito con attenzione, soprattutto quando riguarda una nozione, quella di sottoprodotto, già sancita a livello europeo e nazionale.
Difficile restituire al lettore, in poche righe, le vicissitudini antecedenti all’approdo di questa nozione nel quadro normativo. Parimenti, è molto arduo restare indifferenti alle norme speciali che vengono approvate giorno dopo giorno.
 
Come noto, la nozione di sottoprodotto veniva elaborata dalla Corte europea di Giustizia che, in ripetute sentenze, ne dava un quadro definitorio proprio ad iniziare dalle modalità produttive. Si veda al riguardo la sentenza della Corte nella causa Saetti e Frediani (Ordinanza del 15 gennaio 2004), che stabilisce che non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva sui rifiuti il coke da petrolio prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di altre industrie (ordinanza 15 gennaio 2004, causa C 235/02, Saetti e Frediani, Racc. pag. I 1005, punto 47).
 
In quest’ambito ricadono molti materiali derivanti dai processi produttivi. Si pensi ai tanti sottoprodotti dei settori della chimica, della metallurgia, dell’industria agro-alimentare, della distillazione ecc, come le scorie di altoforno le vinacce, i mangimi, i gessi di desolforazione, i trucioli , la segatura, i cascami di legno, solo per citarne alcuni.
 
Come già indicato l’attuale art. 184 bis del Dlgs n. 152/2006 prevede che sia un sottoprodotto e non un rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfi tutte le seguenti condizioni:
 
a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
 
b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
 
c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
 
d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
 
Ciò premesso, da quanto emerge dal nuovo regime dettato dall’art. 184-bis (e prima ancora dalla Dir. 2008/98/CE) si può affermare che il legislatore abbia voluto prendere definitivamente atto che fra “i residui del processo produttivo”, possono, talvolta, presentarsi come dei materiali o sostanze da considerare veri e propri “prodotti” perché, di fatto, non necessitano di interventi di recupero, se non quelli della normale pratica industriale.
Sotto questo profilo è evidente che per il sottoprodotto assume un particolare rilievo sotto il profilo genetico il costituire parte integrante del processo, mentre sotto quello teleologico quello di non essere lo scopo primario della produzione.
 
Il “superamento” dello scrutinio imposto dalle quattro condizioni previste dalle norme comporterà l’aggiungersi di altri casi, oltre a quelli sopra citati.
E’ normale che sia così ed è per questo che è stata introdotta una nozione generale di sottoprodotto.
A ben vedere, è proprio questa la “forza” della definizione di sottoprodotto, elaborata per tener conto di una serie (non finita..) di fattispecie.
Magari con l’ausilio di buone linee guida settoriali elaborate con la collaborazione delle parti interessate.

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