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Sversamento di reflui: quando uno scarico si classifica rifiuto liquido?

di Linda Maestri

Categoria: Acqua

Quando uno scarico si classifica rifiuto liquido?
 
Si parla molto spesso di casi di sversamento di reflui, e il costante interrogativo che vi fa seguito è sempre lo stesso: si tratta di scarichi o di rifiuti liquidi? Il rilievo della questione, effettivamente, ha carattere tanto tecnico quanto pratico, tant’è che altrettanto spesso la giurisprudenza si ritrova a dover stabilire se al caso concreto, di volta in volta sottopostole, sia applicabile la disciplina prevista in materia di acque oppure quella in tema di rifiuti, e, pertanto, se esso ricada nell’ambito del regime autorizzatorio, e sanzionatorio, sotteso all’una o all’altra.
 
Da questo interrogativo discende un’ulteriore, dirimente, questione: quando si ha a che fare con uno sversamento di reflui, qual è, allora, il discrimine tra le due fattispecie?
Per poter rispondere occorre, come sempre, avere un quadro chiaro di cosa ci dice la legge.
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Sversamento di reflui: quadro normativo

 
Le disposizioni di legge attualmente di riferimento sono contenute nel D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152[1], come modificato dal D.L.vo 16 gennaio 2008, n. 4[2].
Si tratta, innanzitutto, di inquadrare la fattispecie di scarico, al fine di individuare gli elementi che la contraddistinguono ed alla cui sussistenza consegue l’applicabilità della disciplina delle acque, di cui alla Parte III, Sezione II del D.L.vo 152/2006.
 
Nell’ambito di detta Parte III, l’art. 74, comma 1, lett. ff) definisce lo scarico quale “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’articolo 114[3].
 
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Dal dettato della norma è possibile concludere, in sostanza, che lo scarico è tale per l’esistenza di un sistema stabile di collettamento e per la continuità tra il ciclo di produzione che genera il refluo ed il corpo recettore[4]. Ne consegue, allora, che l’applicabilità della disciplina delle acque è subordinata alla sussistenza di tali elementi, intendendosi, quanto al primo, l’esistenza di un sistema deputato al convogliamento delle acque, e, quanto al secondo, il mero fatto che il deflusso avvenga senza interruzione di continuità.
L’importanza di tale definizione balza, sicuramente, all’occhio alla luce dell’espressa esclusione operata dall’art. 185, comma 2, lett. a) del citato D.L.vo 152/2006.
 
La norma stabilisce, infatti, che “Sono esclusi dall’ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto, in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento: a) le acque di scarico […]”, il che significa che lo sversamento che presenti le caratteristiche che la legge prescrive affinché lo si possa qualificare, e gestire, come scarico, è escluso, ex lege, dalla disciplina sui rifiuti.
 
In sostanza, mentre lo scarico avviene senza soluzione di continuità tra il momento della produzione del refluo ed il suo sversamento, i rifiuti allo stato liquido sono le acque reflue di cui il detentore si disfa, senza versamento diretto nei corpi ricettori, ma avviandole allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque, senza canalizzazione.
È chiaro, quindi, che è proprio il concetto di scarico a fungere da spartiacque tra le due discipline!
Da ciò discende, per logica, un’ulteriore considerazione: sul versante dell’illiceità, lo sversamento di reflui può potenzialmente integrare gli estremi sia del reato di inosservanza dei divieti di scarico, e quindi di scarico non autorizzato, che di quello di abbandono di rifiuti allo stato liquido.
 
Quando, infatti, si è in presenza di uno sversamento, posto che di scarico si tratti, occorre verificare, secondariamente, che esso sia stato causato da un’operazione autorizzata, pena le sanzioni previste dall’art. 137 del D.L.vo 152/2006[5].
 
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Tale norma specifica, inoltre, al comma 11, che va incontro alla pena dell’arresto fino a tre anni “chi non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 e 104”, facendo espresso riferimento, quindi, alle ipotesi di scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo (art. 103), e di scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo (art. 104).
 
È evidente che si tratta di norme specifiche ed espressamente riferite agli scarichi, sicché, in assenza dei presupposti di legge, in virtù dei quali si possa qualificare uno sversamento come tale, non si tratterà tanto di acque quanto, piuttosto di rifiuti liquidi, il cui abbandono è vietato ai sensi dell’art. 192[6] del predetto decreto, e trova sanzione agli articoli 255[7] e 256[8] del D.L.vo 152/2006.
 
È chiaro, allora, il rilievo che la configurabilità, o meno, dell’operazione di scarico assume anche a livello sostanziale.
Una volta premesso il quadro normativo di riferimento, è opportuno analizzarne l’interpretazione giurisprudenziale[9], che risulta, ormai, consolidata e costante.
 
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Sversamento di reflui: giurisprudenza

 
Il presente contributo nasce principalmente in conseguenza di una recente pronuncia della Cassazione penale. Nella sentenza n. 50629 del 7 novembre 2017 la Suprema Corte ha, infatti, premesso una serie di considerazioni prima di ribadire, in conclusione, il costante orientamento consolidatosi in materia.
 
Orientamento che, proprio in considerazione della possibile sovrapposizione tra la nozione di acque di scarico e di rifiuti allo stato liquido, da tempo ritiene rilevante, quale discrimine tra le due discipline di riferimento, proprio la diversa fase del processo di trattamento dei reflui, riservando alla disciplina della tutela delle acque solo l’immissione diretta nel corpo ricettore.
 
Volendo elaborare un quadro d’insieme delle varie pronunce in tal senso emesse, emerge chiaramente che “le violazioni in materia di scarico trovano applicazione soltanto se il recapito dei reflui nel corpo ricettore sia diretto[10].
 
Inoltre, sempre per consolidata giurisprudenza, si osserva che “sebbene tale nozione [scarico] non richieda la presenza di una «condotta» nel senso proprio del termine, costituita da tubazioni o altre specifiche attrezzature, vi è comunque la necessità di un sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza, senza soluzione di continuità, in modo artificiale o meno, i reflui fino al corpo ricettore. […] Il concetto giuridico di scarico presuppone comunque che il collegamento tra insediamento e recapito finale sia stabile e predisposto proprio allo scopo di condurre i reflui dal luogo in cui vengono prodotti fino alla loro destinazione finale, senza interruzioni, ancorché determinate da casuali evenienze quali, ad esempio, la tracimazione da vasche di raccolta, che abbiano consentito ai reflui un ulteriore percorso.[11].
 
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Si è, pertanto, consolidato l’orientamento secondo il quale se il collegamento tra ciclo di produzione e recapito finale presenta momenti di soluzione di continuità, di qualsiasi genere, anziché essere diretto ed attuato mediante un sistema stabile di collettamento, si è in presenza di un rifiuto liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato. Di conseguenza, “l’interruzione funzionale del nesso di collegamento diretto fra la fonte di produzione del liquame ed il corpo ricettore determina la trasformazione del liquame di scarico in un ordinario rifiuto liquido[12].
 
Ciò posto, la pronuncia che ha dato l’input al presente contributo è intervenuta a chiarire, in maniera puntuale ed esaustiva, tutte le considerazioni giurisprudenziali di cui sopra.
Nella specie, si trattava di un caso di sversamento di reflui provenienti da un depuratore comunale nell’area ad esso circostante e da cui “ruscellavano” invadendo e ristagnando sul fondo confinante. Specificando che “il deflusso in questione, invero, dalle emergenze processuali risulterebbe essere stato causato dalla “tracimazione diretta“, senza dunque il requisito del convogliamento del liquido tramite condotta, in conformità al disposto dell’art. 74, lett. ff), d. Igs. n. 152 del 2006”, la Corte ha poi proseguito la trattazione riprendendo, e ribadendo, l’orientamento giurisprudenziale di cui sopra[13], aggiungendo un’importante considerazione.
 
Una volta precisato, infatti, che il fatto che “gli effluenti non defluivano direttamente in condotte di scarico e raggiungevano per “ruscellamento” il terreno, sul quale ristagnavano, indica chiaramente l’insussistenza dei presupposti per qualificare la condotta come scarico”, i giudici hanno affermato che tale mancanza di continuità esclude, di per sé, la possibilità di qualificare uno scarico ai sensi di legge.
 
Nel caso di specie, considerato che ”i ripetuti fenomeni di tracimazione e ristagnamento dei reflui prodotti dal depuratore si erano verificati a causa del cattivo funzionamento delle trincee drenanti; dal flusso costante del liquido proveniente dal depuratore attraverso le trincee drenanti seguiva, per quanto è dato comprendere, la tracimazione, il ristagno ed il successivo ruscellamento sui terreni adiacenti al depuratore”, la Corte ha statuito l’impossibilità di qualificare tale situazione come scarico, in ragione dell’assenza di “un sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza, senza soluzione di continuità, in modo artificiale o meno, i reflui fino al corpo ricettore”.
 

Conclusioni

 
Alla luce di quanto sopra, pertanto, si può ritenere ormai consolidato l’orientamento secondo il quale eventi quali la tracimazione, il ruscellamento, il deflusso, lo sversamento di reflui rientreranno nell’ambito della disciplina sugli scarichi, di cui alla Parte III, Sezione II del D.L.vo 152/2006, laddove sia avvenuto tramite un sistema di collegamento tra il ciclo di produzione ed il corpo recettore che sia diretto e che non abbia incontrato alcuna interruzione: al venir meno di tali caratteristiche consegue la classificazione del liquame di scarico in un ordinario rifiuto liquido.
 
Piacenza, 13.11.2017

[1] Norme in materia ambientale, pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006, in vigore dal 29 aprile 2006, ad eccezione delle disposizioni della Parte seconda che sono entrate in vigore il 12 agosto 2006.
[2] Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, pubblicato sul Supplemento ordinario n. 24 alla Gazzetta Ufficiale n.24 del 29 gennaio 2008, in vigore dal 13 febbraio 2008.
[3] Quanto all’evoluzione normativa del concetto di scarico si rinvia a A. Montagna, Scarichi occasionali: reverment della corte di cassazione, pubblicato il 22 marzo 2012 in www.tuttoambiente.it.
[4] Si veda anche S. Maglia – P. Pipere – L. Prati – L. Benedusi, in Gestione Ambientale, manuale operativo, edizioni TuttoAmbiente, 2017, p. 159.
[5] Art. 137 del D.L.vo 152/2006 – sanzioni penali:
1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l’arresto da due mesi a due anni o con l’ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro.” […].
[6] Art. 192 del D.L.vo 152/2006 – divieto di abbandono:
1. L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati.

  1. E’ altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee” […].

 

[7] Art. 255 del D.L.vo 152/2006 – abbandono di rifiuti:

1. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2, chiunque, in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da trecento euro a tremila euro. Se l’abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la sanzione amministrativa è aumentata fino al doppio” […].
[8] Art. 256 del D.L.vo 152/2006 – attività di gestione di rifiuti non autorizzata:

2. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2” […].
[9] Per un’ulteriore disamina della giurisprudenza formatasi in materia si segnala, inoltre, il contributo di M.V.Balossi in La tracimazione: acque reflue o rifiuti liquidi?, pubblicato il 3 aprile 2013 in www.tuttoambiente.it.
[10] Cass. Pen., sez. III, n. 6417 dell’11 febbraio 2008; Cass. Pen., sez. III, n. 19214 del 13 maggio 2005 (si veda anche D. Dall’Igna, La definizione di scarico e l’immissione occasionale di reflui: brevi cenni sull’evoluzione normativa, con particolare riguardo alla centralità del concetto di accesso diretto al corpo recettore. Nota a Cass. Pen. sez. III, 13 maggio 2008, n. 19205, in www.dirttoambiente.com.
[11] Cass. Pen., Sez. III, n. 16623 del 21 aprile 2015, che richiama Cass. Pen., Sez. III, n. 35888 del 3 ottobre 2006; Cass. Pen., Sez. IV., n. 9497 del 3 marzo 2008.
[12] Cass. Pen., Sez. 3 n. 22036/2010.
[13] Si veda anche Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 38946 del 7 agosto 2017.

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