Da Il Sole 24 Ore si legge un interessante articolo in cui il Consiglio di Stato con sentenza n.6266/2023 ribadisce che anche l’industria può produrre rifiuti urbani.

L’art. 184, comma 3, lett. c), d.lgs. n. 152 del 2006 considera infatti rifiuti speciali «i rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali se diversi da quelli di cui al comma 2», e cioè se diversi dai rifiuti urbani, come definiti dal precedente art. 183, comma 1, lettera b-ter; quest’ultimo elenca a sua volta varie categorie di rifiuti, cui sono estranei quelli formati nell’ambito delle attività di lavorazione industriale, anche rispetto alla categoria generale di cui al n. 2 (i.e., «i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies»), considerato che, in radice, le attività di cui al richiamato allegato L-quinquies) non includono quelle relative alla lavorazione industriale.

Può dunque ritenersi pacifico che le aree e locali destinate ad attività di lavorazione industriale sfuggono ex se al prelievo TARI, in quanto produttive di rifiuti speciali.

Il che non toglie che le parti di aree o locali, pur riconducibili a sede di un’industria, che siano destinate ad attività diverse dalle «lavorazioni industriali» ex art. 184, comma 3, lett. c), cit. (quali, ad esempio, mense, uffici, spogliatoi, o locali a questi connessi), in quanto produttive di rifiuti urbani ben soggiacciono al prelievo TARI, integrando il presupposto di cui all’art. 1, comma 641, l. n. 147 del 2013 (e art. 238, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006), e non già quello dell’esclusione di cui al successivo comma n. 649, primo periodo (rileva, a tal fine, l’art. 184, comma 3, lett. c).

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