In una recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 48 del 7 gennaio 2022) è stato affrontata una particolare questione relativa alla gestione delle terre e rocce da scavo quali sottoprodotti.

In particolare è stato puntualizzato che l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 120 del 2017 consente a che le terre e rocce da scavo siano qualificate come sottoprodotti – e dunque reimpiegate anche nell’attività edilizia – e non come rifiuti, ma a determinate condizioni, tra cui alla lett. c) è previsto che ciò possa avvenire qualora la stesse: “sono idonee ad essere utilizzate direttamente, ossia senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale”

Quali siano le “normali pratiche industriali” è poi specificato dall’allegato 3 al regolamento ma tra queste non è compresa la stabilizzazione a calce o cemento, a differenza di quanto era previsto dall’abrogato d.m. n. 161 del 2012, all’allegato 3, che tra le “normali pratiche industriali” vi faceva rientrare proprio “la stabilizzazione a calce, a cemento o altra forma idoneamente sperimentata per conferire ai materiali da scavo le caratteristiche geotermiche necessarie per il loro utilizzo, anche in termini di umidità, concordando preventivamente le modalità di utilizzo con l’ARPA o APPA competente in fase di redazione del Piano di Utilizzo”. In definitiva, allora, la normativa tuttora vigente non consente il reimpiego dei terreni a seguito di processi di stabilizzazione a calce o cemento.

 

Sottoprodotti gestione sicura

 

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