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Stefano Maglia

Fresato d’asfalto: rifiuto o non rifiuto?

di Miriam Viviana Balossi, Stefano Maglia

Categoria: Rifiuti

Fresato d'asfalto in un cantiere stradale
 
Tante le domande in ambito ambientale e gestione rifiuti sul fresato d’asfalto.
È un rifiuto? Non è un rifiuto? È un sottoprodotto? Come gestirlo correttamente?
In questo Commento, aggiornato al 30.11.2017, cercheremo di fare chiarezza.
 

Che cos’è il fresato d’asfalto?

 
Con il termine “fresato d’asfalto” si intende generalmente “il conglomerato bituminoso recuperato mediante fresatura degli strati del rivestimento stradale, che può essere utilizzato come materiale costituente per miscele bituminose prodotte in impianto a caldo” (citazione tratta dalla norma tecnica UNI EN 13108-8).
A tal proposito, la stessa norma specifica i requisiti per la classificazione, stabilendo i controlli da effettuare per accertare eventuali impurità del fresato come materie plastiche, legno, metallo o altri materiali non pertinenti, la frequenza di esecuzione delle prove nonché il contenuto di legante e la determinazione della distribuzione granulometrica. [8]
 
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La corretta gestione del fresato d’asfalto

 
Per gestire correttamente il fresato d’asfalto occorre individuare ed esaminare, dal punto di vista operativo, le casistiche che si possono prospettare a seconda della qualifica che detto materiale può assumere.
 
Il fresato d’asfalto, in prima battuta, deve essere tendenzialmente qualificato come rifiuto speciale ai sensi dell’art. 184, c. 3, D.L.vo 152/2006, del quale è produttore il soggetto che materialmente effettua l’attività di scarifica del manto stradale.
Ai fini della corretta gestione del rifiuto costituito dal fresato d’asfalto occorre dunque procedere alla corretta classificazione del medesimo, mediante l’attribuzione del pertinente codice CER (v. Allegato D, Parte IV, D.L.vo 152/2006).
 
Data l’attività di provenienza dalla quale il fresato decade è ragionevole ritenere che si possa generare un rifiuto a cui competono due codici CER c.d. “a specchio”, uno pericoloso e uno non pericoloso, ossia:
– 17.03.01* – miscele bituminose contenenti catrame di carbone;
– 17.03.02 – miscele bituminose diverse da quelle di cui alla voce 17.03.01.
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Il fresato d’asfalto è un sottoprodotto?

 
La classificazione del fresato d’asfalto come sottoprodotto è da tempo oggetto di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale che risulta tuttora in corso.
In realtà basta leggere con un minimo di attenzione le condizioni di cui all’art 184 bis del DLvo 152/06 per escludere questa possibilità.
 
Infatti l’art. 2, c. 1, lett. b), definisce residuo di produzione “ogni materiale o sostanza che non è deliberatamente prodotto in un processo di produzione e che può essere o non essere un rifiuto”, con ciò confermando che il sottoprodotto deve scaturire da un processo produttivo (con conseguente esclusione dei residui di consumo o, per esempio, del fresato d’asfalto).
 
A conferma di tale posizione, si segnalano due provvedimenti ministeriali – al momento in cui si scrive, in attesa di pubblicazione – sul tema del fresato d’asfalto:
1) i Criteri Ambientali Minimi (CAM) da osservare per la realizzazione di opere e di interventi stradali, elaborati dal Ministero dell’Ambiente con il supporto dell’Associazione Nazionale Produttori Aggregati Riciclati;
2) il Regolamento del Ministero dell’Ambiente “Disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di conglomerato bituminoso ai sensi dell’articolo 184-ter, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”, il cui schema è stato sottoposto all’esame della Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato, in data 30 maggio 2017, e di cui si attende la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
 
A che risulti il Regolamento, composto da n. 6 articoli e n. 2 allegati, disciplinerà la fase di produzione e di successiva gestione del granulato di conglomerato bituminoso da parte di impianti debitamente autorizzati alla gestione dei rifiuti.
Una volta in vigore, esso detterà le norme per la cessazione della qualifica di rifiuto (End of waste) del granulato di conglomerato bituminoso, prevedendo i criteri specifici da rispettare affinché determinate tipologie di conglomerato bituminoso di recupero, derivanti dalla fresatura e dalla frantumazione delle pavimentazioni stradali, cessino di essere qualificate come rifiuto.
 
La Sezione Consultiva del Consiglio di Stato, con parere del 19 giugno 2017, n. 1445, si è espressa favorevolmente circa la sussistenza dei presupposti che legittimano l’adozione dello schema di regolamento ministeriale (giacché “non esiste una codificazione comunitaria del conglomerato bituminoso qualificato come rifiuto”), così come sui contenuti del testo regolamentare, seppur con alcune prescrizioni.
 
Assai significativa la seguente osservazione della Sezione, ovvero che l’art. 1, comma 2 dello schema “si limita a prevedere l’esclusione dall’ambito di applicazione del presente regolamento del conglomerato bituminoso qualificato come sottoprodotto ai sensi dell’art. 184 bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, senza tuttavia specificare i riferimenti normativi e le caratteristiche di detto materiale rispetto al conglomerato bituminoso di cui all’art. 184 ter, disciplinato dal presente regolamento”, quando lo schema di decreto è finalizzato a individuare ai sensi dell’art. 184-ter i criteri e le condizioni in base alle quali il conglomerato bituminoso, ricavato dalla fresatura o scarifica del manto stradale, non è più qualificato come rifiuto per essere reintrodotto.
 
Stante questa finalità, sorprende nondimeno la richiesta che “l’Amministrazione, prima della approvazione definitiva del regolamento, provveda a colmare la succitata lacuna quantomeno tramite un esplicito richiamo alle disposizioni di cui al decreto ministeriale 13 ottobre 2016, n. 264 (“Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti”)”, seppur garantisca una maggior completezza dei contenuti dell’art. 1 dello schema di decreto.
 

Novità 18 giugno 2018

 
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18 giugno 2018 il regolamento sulla cessazione della qualifica di rifiuto del fresato d’asfalto: si tratta del Decreto del Ministero dell’Ambiente 28 marzo 2018, n. 69, che sarà in vigore dal 3 luglio 2018.
 

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Fresato d’asfalto: il commento originale del 18.11.2013

 
Generalmente, le P.A. considerano il fresato d’asfalto un rifiuto per una serie di motivi:
a) di norma, è una sostanza di cui il detentore si disfa o ha l’intenzione o l’obbligo di disfarsi (art. 183 D.L.vo 152/06);
b) la sostanza è prevista e disciplinata come rifiuto dal D.M. 5 febbraio 1998 alle voci 7.1 e 7.6;
c) alcuni contratti d’appalto stabiliscono che quel materiale deve essere smaltito in discarica, salvo recupero come rifiuto;
d) è contemplato dal Codice Europeo Rifiuti (CER 17.03.02)[1].
 
L’unica ipotesi in cui le P.A. ritengono che il fresato d’asfalto possa essere considerato un non – rifiuto è nel caso del suo riutilizzo in situ.
 
In un passato precedente al D.L.vo 152/06, anche la giurisprudenza si era espressa in tal senso: secondo la sentenza Cass. III Pen., n. 16695 dell’8 aprile 2004, la qualificazione giuridica del fresato d’asfalto proveniente dal disfacimento del manto stradale lo identifica a tutti gli effetti come un rifiuto ed in quanto tale è sottoposto alla disciplina di cui al D.L.vo 22/97.
 
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Nel corso degli anni, a seguito dell’evoluzione normativa, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno pian piano cambiato orientamento[2], salvo qualche presa di posizione minoritaria, sicché, ad oggi, la qualifica aprioristica del fresato d’asfalto quale rifiuto non risulta sorretta da solide basi giuridiche[3].
 
In una fattispecie in cui l’asfalto veniva fresato al fine del rifacimento del manto stradale, il Tar Lombardia, con la sentenza n. 2182 del 10 agosto 2012 ha stabilito che:
le motivazioni per cui il fresato dovrebbe essere considerato un ‘sottoprodotto’ sono: a) che esso è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza … ma il suo impiego: lo scopo per cui si fresa l’asfalto è, infatti, il rifacimento del manto stradale e non la produzione del fresato in quanto tale;
b) che l’utilizzo è certo (ha i requisiti tecnici per l’uso cui è destinato), legale (non reca pregiudizi alla salute umana e all’ambiente), non necessita di ulteriori preventivi trattamenti rispetto alla normale pratica industriale (lo si lavora in un normale impianto d’asfalto senza alcuna particolare modifica …;
c) ha un valore economico di mercato notevole, che deriva proprio dall’interesse al reimpiego dello stesso materiale piuttosto che al suo smaltimento come rifiuto”.
 
Il Tar Lombardia conclude che, fermo restando che la qualifica del fresato d’asfalto rimane quella di rifiuto, lo stesso materiale possa essere nondimeno qualificato sottoprodotto anziché rifiuto se lo stesso è inserito in un ciclo produttivo, ossia se viene utilizzato senza nessun trattamento diverso dalla normale pratica industriale (di fatto vengono effettuate solo operazioni di cernita e di selezione, che non possono essere, tuttavia, considerate operazioni di trasformazione preliminare) in un impianto che ne preveda l’impiego nello stesso ciclo di produzione, e precisamente per il reimpiego del materiale come componente del prodotto finale trattato nell’ambito dello stesso impianto.
 
Peraltro, posto che il fresato d’asfalto può essere utilizzato in situ (sul posto) o in un impianto fisso (stabilimento di produzione di nuovo conglomerato bituminoso), non “appare necessario al Collegio … che ai fini della qualifica del fresato come sottoprodotto, il riutilizzo debba avvenire, per volontà della norma, nello stesso sito di produzione del rifiuto e sotto la direzione del medesimo imprenditore, posto che il fatto che il materiale fresato rimanga nel luogo di produzione, nelle vicinanze od in altro luogo non costituisce di per sé elemento univoco per qualificarlo come rifiuto dovendo ciò desumersi, invece, dalle modalità del deposito, dalla sua durata o da altre circostanze che evidenzino con certezza una situazione di abbandono (nella quale rientra lo stoccaggio del materiale in attesa di un futuro reimpiego)”.
 
Questi stessi principi sono stati riconfermati anche dal Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 4151 del 6 agosto 2013 ha nuovamente approfondito le condizioni affinché il fresato d’asfalto possa essere qualificato come sottoprodotto, concludendo che il fresato, pur essendo considerato oggettivamente un rifiuto vista l’attribuzione allo stesso del CER 17.02.02, nel momento in cui soddisfa le condizioni di cui all’art. 184 bis, può essere considerato – e quindi trattato – come sottoprodotto[4].
 
Secondo il Consiglio di Stato il metodo di verifica, nel concreto, deve tener conto “delle seguenti circostanze: che il bitume d’asfalto si inserisse nel processo produttivo dell’impianto; che venisse rimosso con la certezza di essere integralmente riutilizzato; che non venisse sottoposto ad un processo di trasformazione; che venisse riutilizzato in tempi ravvicinati … rispetto al prelievo, senza particolari operazioni di stoccaggio; che non si potesse porre a priori in senso assoluto il problema di doversene disfare, essendo esso sempre riutilizzabile e riutilizzato”.
 
La gestione del fresato come sottoprodotto può essere, quindi, giustificata dalle seguenti considerazioni:
l’impresa che ha prodotto il fresato non se ne disfa, ma lo accantona per riutilizzarlo in situ o commercializzarlo alle condizioni più favorevoli;
il fresato è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza. Lo scopo per cui si fresa l’asfalto non è la produzione del fresato stesso, ma il rifacimento del manto stradale (o la sua frantumazione per intervenire su reti sotterranee).
Il legislatore (comunitario e nazionale) si è, infatti, limitato a prescrivere che i sottoprodotti traggano origine “da un processo di produzione”, senza specificare alcunché in merito a quale debba essere l’oggetto dell’attività produttiva. Ne deriva, sul piano logico e giuridico, che essa potrà consistere tanto nella produzione di beni che nella “produzione di servizi”[5]. Pertanto, “a seguito delle operazioni di scarifica e/o fresatura delle strade, si origina una sostanza (appunto, il fresato) che non rientra nello scopo primario della produzione e, nondimeno, deriva necessariamente dalle operazioni del processo produttivo e dunque ne costituisce parte integrante[6].
il fresato sarà utilizzato con certezza, o in situ o in un impianto produttivo di conglomerato bituminoso da una ditta terza;
il fresato viene utilizzato direttamente e non necessita di ulteriori preventivi trattamenti rispetto alla normale pratica industriale (lo si impiega in situ o lo si lavora in un impianto per la produzione di conglomerato bituminoso senza modificarlo, ma solo previa sgrossatura e riselezionatura granulometrica – operazioni che non modificano le caratteristiche merceologiche ed ambientali che il fresato già possiede[7]);
l’ulteriore utilizzo è legale (soddisfa, per quell’utilizzo, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente, e non comporta impatti complessivi negativi sulle medesime);
Peraltro, si fa notare che il fresato ha un valore intrinseco (dal punto di vista chimico-fisico, perché idoneo ad essere miscelato con i costituenti originari e vergini, e anche dal punto di vista merceologico, perché è riutilizzabile tal quale) ed economico di mercato notevole (valutando la materia prima che lo compone e che si può riutilizzare, 1 tonnellata di fresato può valere anche € 20,00)[8].
 

 
Premesso che le preoccupazioni di taluni organi di controllo (circa la natura del fresato, sia per l’eventuale composizione del materiale che potrebbe contenere catrame, sia per eventuali rilasci di altri contaminanti presenti sul manto stradale) debbono comunque essere tenute nella dovuta considerazione, ed in considerazione della giurisprudenza non sempre univoca in materia (requisito nr. 1 del sottoprodotto), si suggerisce di operare con cautela nell’uso del fresato-sottoprodotto.
 
In buona sostanza è necessario che l’utilizzatore, sia che intenda il fresato in situ sia che lo commercializzi a una ditta terza (opzioni entrambe potenzialmente corrette), garantisca una gestione del sottoprodotto pienamente conforme all’art. 184-bis (valorizzando soprattutto il primo requisito – processo di produzione) e che assicuri la sua tracciabilità, nonché la conformità delle sue caratteristiche alle norme tecniche UNI EN 13108.
 
In conclusione, si rammenta che “in Italia la questione della classificazione del fresato d’asfalto come rifiuto o sottoprodotto costituisce tuttora una problematica irrisolta e che sul piano pratico il persistente conflitto giurisprudenziale ha concorso, generando incertezza, a produrre una serie di conseguenze negative assai rilevanti sull’impiego e sul trattamento di quel materiale” (Tar Lombardia, sentenza n. 2183 del 10 agosto 2012).


[1] Secondo Cons. Stato, sez. IV, n. 1230 del 28 febbraio 2013 “nessun valore qualificatorio può avere il CER, a fronte di successive previsioni legislative che definiscono in generale il rifiuto, ed in particolare il sottoprodotto”.

[2] In giurisprudenza si veda Cass. III Pen., n. 9503 del 15 marzo 2005, secondo la quale non può essere qualificato rifiuto il conglomerato bituminoso (consistente in asfalto triturato proveniente da lavori di asportazione e rifacimento di manti stradali), in quanto viene interamente utilizzato con l’aggiunta di altri elementi quali inerti, bitume ed acqua, per la produzione di nuovi manti stradali.
In dottrina si veda P. FICCO, Recupero agevolato, il sito dove il fresato d’asfalto forma rilevati e sottofondi va autorizzato dalla Provincia, in Rifiuti – Bollettino di informazione normativa, n. 190 – 12/11, in cui si legge che “il fresato d’asfalto è un rifiuto speciale ai sensi dell’articolo 184, DLgs 152/2006 … Poiché il sottoprodotto … integra gli estremi di una disciplina di favore rispetto a quella di rifiuto, ove l’interessato decida di perseguire la strada del sottoprodotto tracciata dall’articolo 184bis, Dlgs 152/2006, dovrà precostituirsi la prova certa e rigorosa in ordine alla dimostrazione della sussistenza di tutte le condizioni previste dal comma 1 di tale articolo 184bis, Dlgs 152/2006. Lo “status” di sottoprodotto, infatti … non opera automaticamente”.

[3] P. GIAMPIETRO, Il fresato d’asfalto come sottoprodotto, in www.lexambiente.it

[4] Cfr. anche C. SCARDACI, Il fresato d’asfalto nella sentenza del Consiglio di Stato 4151/2013, in www.giuristiambientali.it

[5] P. GIAMPIETRO, Il fresato d’asfalto come sottoprodotto, in www.lexambiente.itIl fresato scaturisce direttamente dal ciclo di produzione / rifacimento del manto stradale”.

[6] Si segnala, per completezza, che questo requisito non è pacifico, perché alcune pronunce sono di avviso contrario: secondo Cass. III Pen., n. 7374 del 24 febbraio 2012, in quanto sostanza non originata da un processo di produzione, la scarifica del manto stradale non può essere riutilizzata ex art. 184-bis D.L.vo 152/06.
Nello stesso senso, ma partendo da una fattispecie diversa (materiali da demolizione), Cass. III Pen., con la sentenza n. 42342 del 15 ottobre 2013 ha concluso che i materiali da demolizione non derivano da un processo di produzione, bensì da una demolizione di un edificio, che non può qualificarsi processo di produzione perché in seguito sarà costruito un edifico nuovo, non essendo una demolizione il prodromo di una costruzione, giacché questa può essere effettuata anche indipendentemente da precedenti demolizioni.

[7] P. GIAMPIETRO, Il fresato d’asfalto come sottoprodotto, op. cit.: “Il riutilizzo del fresato fuori sito, comporta le operazioni di sgrossatura (frantumazione), per la riduzione in pezzature adatte all’inserimento del materiale nell’impianto, con un diametro massimo di 25mm; la successiva riselezionatura ne garantisce una sua migliore e corretta distribuzione granulometrica oltre a una maggiore qualità del prodotto finito; la miscelazione con le materie prime (inerti e bitume).
Orbene, dopo quanto detto, non può dubitarsi che le descritte operazioni risultano di natura meccanica (frantumazione, selezione) e pertanto – per la giurisprudenza richiamata, sia ordinaria che amministrativa (v. retro) in casi identici di frantumazione, come in forza dei principi di diritto enucleati dalla sopravvenuta normativa positiva vigente – sono riconducibili ai trattamenti ammessi in quanto non incidono sull’identità del fresato e sulle sue caratteristiche fisico-chimiche e merceologiche che esso possiede fin dalla sua origine, da fresatura/scarifica”.

[8] S. RAVAIOLI, Fresato d’asfalto: rifiuto o sottoprodotto?, in www.siteb.it

 

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