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Stefano Maglia

Gestione ambientale corretta: è obbligatorio dimostrare di aver fatto tutto il possibile

di Stefano Maglia

Categoria: Responsabilità ambientali

Gestione ambientale: dovere di informazione e scusabilità dell'ignoranza
 

Esiste un onere di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere correttamente alla complessa legislazione ambientale per non cadere nelle sanzioni ivi previste, sulla base del principio della “buona fede”.
Forse pochi sanno che questo non è un mero “consiglio”, ma un vero e proprio obbligo sancito da numerose sentenze della Cassazione.
 

Qualche tempo fa ho già avuto modo di scrivere un contributo su “Quando si può invocare l’ignoranza della legge in campo ambientale”, in cui – prendendo spunto da una sentenza della S.C. Penale (n. 2246/17) – ricostruivo il “cammino”di questo vero e proprio onore che incombe su tutti coloro che svolgono un’attività nel settore ambientale.
 

La prima pronuncia da segnalare è addirittura una sentenza di quasi vent’anni fa (n. 28126/04) la quale si era già espressa in questi termini:
“La sempre maggiore complessità dell’attività produttiva dell’impresa moderna e delle congerie di norme da osservare, spesso richiedono il possesso di conoscere tecniche specialistiche non comuni tali da imporre il ricorso ad esperti”.
 

Sicuramente molto più esplicita la già citata sentenza n. 2246/17 che per la prima volta parla addirittura di un vero e proprio dovere (obbligo) di dimostrare di aver fatto tutto il possibile.
 

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Nella motivazione si legge infatti che “il soggetto che svolga professionalmente una specifica attività nel settore ambientale può invocare l’ignoranza incolpevole della legge penale facendo venir meno l’elemento soggettivo del reato, solo qualora dimostri “di aver fatto tutto il possibile per richiedere alle autorità competenti i chiarimenti necessari e per informarsi in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici”.
 

Per cogliere appieno il “valore”di una tale posizione si pensi che nel caso di specie un privato che aveva raccolto, trasportato e successivamente rivenduto a una società circa 300 kg di rifiuti metallici, in assenza della necessaria iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, era stato assolto dal reato di cui all’ art. 256 co. 1 d.lgs. 152/06 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata) ritenendo, tra l’altro, che il soggetto fosse incorso in un errore scusabile, dovuto alla complessità della normativa in materia di gestione dei rifiuti.
 

Pochi mesi dopo la Cassazione ribadì il principio – che possiamo ormai considerare “pacifico”– osservando che “va ribadito il principio che la scusabilità dell’ignoranza della legge penale, può essere invocata dall’operatore professionale di un determinato settore solo ove dimostri, da un lato, di aver fatto tutto il possibile per richiedere alle autorità competenti i chiarimenti necessari e, dall’altro, di essersi informato in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici, così adempiendo il dovere di informazione, in quanto i limiti della inevitabilità, e quindi della non colpevolezza, dell’ignoranza della legge penale, che scusa l’autore dell’illecito, debbono essere in ogni caso individuati in relazione allo specifico soggetto agente: mentre per il cittadino comune è sufficiente l’ordinaria diligenza nell’assolvimento di un dovere di informazione di tipo generico, attraverso la corretta utilizzazione dei normali mezzi di informazione, di indagine e di ricerca dei quali disponga, tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis”nello svolgimento dell’indagine giuridica.
Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto”.

 

Mentre sul tema della buona fede in ambito di illeciti ambientali si registrano altre numerose sentenze (tra le altre Cass. Pen. 34526/17; 38688/17; 41528/17; 53684/17; 34145/18; 28850/18; 38851/18; 12874/20; 30045/21; 516/22; 47685/22; 17917/17; 34526/17; 9762/22; 24942/23), sullo specifico obbligo di dimostrare di aver compiuto tutto quanto possibile per osservare la norma violata rivolgendosi alle autorità componenti o ricorrendo a (veri!) esperti giuridici, si segnalano altre pronunce, tutte dello stesso tenore.
 

Tra le più significative sicuramente Cass. 14131/18:
“La buona fede acquista rilevanza giuridica soltanto se si traduce, per effetto o una condotta altrui ed estranei al soggetto agente, in uno stato soggettivo tale da escludere la colpa di quest’ultimo, oppure se egli prova di aver fatto quanto poteva per asservare la legge, per cui nessun rimprovero può essergli mosso, neppure per negligenza i imprudenza.
Nel caso di specie, ai trattava del rappresentane legale dell’azienda, che aveva smaltito materiale ancora contaminato da amianto confidando sulle presunte rassicurazioni circa l’avvenuta bonifica, rimozione e smaltimento dei rifiuti pericolosi)”

 

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E anche Cass. 31831/18: “L’errore sulla legge penale non può dirsi inevitabile quanto l’agente svolge un’attività in uno specifico settore rispetto alla quale ha il dovere di informarsi, con diligenza, sulla normativa esistente. Mentre per il comune cittadino l’ignoranza della legge penale è scusabile ogni qualvolta egli abbia assolto, con ordinaria diligenza, al dovere di informazione, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività tale obbligo è particolarmente rigoroso.
In tema di rifiuti, in particolare chi opera nel settore è obbligato ad acquisire informazioni circa la specifica normativa applicabile: di conseguenza, qualora deduca la propria buona fede deve dimostrare di aver compiuto tutto quanto poteva per osservare la disposizione violata.
Infatti, l’ignoranza sulla normativa di settore e sull’illiceità della propria condotta può escludere la colpa solo se causata da un fattore positivo esterni ricollegabile ad un comportamento della pubblica amministrazione o ad un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, dai i quali l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto”
.
 

Di estrema importanza anche Cass. 33102/22 che, in modo ancor più esplicito, afferma che “esiste sempre un obbligo incombente su chi svolge attività in un determinato settore di informarsi con molta diligenza sulla normativa esistente e, nel caso di dubbio, di astenersi dal porre in essere la condotta.
In particolare in tema di rifiuti, chi opera nel settore è gravato dell’obbligo di acquisire informazioni circa la specifica normativa applicabile, sicché qualora deduca la propria buona fede, non può limitarsi ad affermare di ignorare le previsioni di detta normativa, ma deve dimostrare di aver compiuto tutto quanto poteva per osservare la disposizione violata.”

 

Per finire non può non segnalarsi la recentissima sentenza Cass. 27148/23, di cui si riporta uno stralcio della motivazione:
“Le Sezioni Unite della Corte, hanno precisato altresì che il dovere di informazione non va valutato “in astratto”, bensì in relazione all’attività svolta dal soggetto che allega la scusabilità dell’ignoranza, sussistendo in relazione all’attività svolta il preciso dovere giuridico di conoscere le disposizioni di legge e della (tecnica che la regolano articolo 43 c.p.).
Per l’effetto, mentre per il comune cittadino l’inevitabilità dell’errore va riconosciuta ogniqualvolta l’agente abbia assolto, con il criterio dell’ordinanza diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione” attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia, per coloro che svolgano professionalmente una determinata attività tale obbligo di informazione è particolarmente rigoroso, tanto che essi rispondono dell’illecito anche in virtù della cupa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica.
Con riferimento alla gestione di rifiuti, la corte ha inoltre precisato che “in tema di illecita gestione di rifiuti si deve escludere l’ipotesi della buona fede quando la fallace interpretazione del contenuto della autorizzazione e la erronea convinzione di possedere un titolo legittimante è dovuta ad un comportamento colposo poiché in tal caso l’imputato è venuto meno al dovere, che grava sui privati che svolgono in modo professionale attività normativamente regolate, di accertare con diligenza quale sia la disciplinata del settore”.

 

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In conclusione, è ormai da considerarsi come orientamento giurisprudenziale più che consolidato quello per cui per riuscire a non subire le sanzioni previste dalla normativa ambientale, sempre più complessa e dai mille rivoli interpretativi, è indispensabile dimostrare di aver fatto tutto il possibile, creando per esempio un sistema solido prevenzionale di Governance Ambientale Aziendale.
 

O per lo meno chiedendo lumi alla autorità competenti o affidandosi ai veri esperti ambientali, per riuscire a dimostrare realmente la propria buona fede e la effettiva compliance ambientale della propria azienda, attraverso obblighi di informazione sempre più stringenti a seconda del livello di competenza professionale necessario per svolgere correttamente la propria attività.
 

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