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Obbligo sacchetti di plastica a pagamento: molto rumore per nulla?
di Stefano Maglia, Linda Maestri
Categoria: Rifiuti
È una vera e propria bufera quella che ha investito le nuove regole sulle borse di plastica, vigenti ed applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2018, e niente dà modo di pensare che la fine di questa querelle sia alle porte. Quello che è certo, però, è che la nuova normativa è in vigore, e con essa lo sono tanto i nuovi divieti quanto le sanzioni ad essi connesse. Alle tante lamentele sono corrisposti altrettanti interventi dall’intento chiarificatore, da parte sia delle istituzioni, primo tra tutti il Ministero dell’Ambiente (primo fan della nuova disciplina), sia delle varie associazioni di categoria. Cerchiamo, allora, di fare chiarezza, cominciando a parlare della questione in termini semplici per poi andare ad analizzarla nel dettaglio, soprattutto per quanto riguarda gli obblighi e le potenziali sanzioni e multe per le aziende coinvolte.
Dall’1 gennaio 2018 è entrata in vigore in Italia una legge che regolamenta l’uso dei sacchetti di plastica leggeri e ultraleggeri. Questi sacchetti – comunemente utilizzati nei supermercati per imbustare frutta, verdura e altri prodotti freschi come carne e salumi – devono essere biodegradabili e saranno pagati dai consumatori. La legge in questione, approvata lo scorso mese di agosto, è quella “di conversione” del decreto legge 2017 n. 91, conosciuto come “Mezzogiorno” (Disposizioni urgenti per la crescita economica del mezzogiorno). Tale decreto ha introdotto nuove misure sull’uso dei sacchetti leggeri, prodotti particolarmente nocivi per la salute dell’ambiente: impone che i sacchetti di plastica per la spesa (chiamati da molti “shopper”) con spessore della singola parete inferiore ai 15 micron (0,015 millimetri) debbano avere determinate caratteristiche. Devono essere sia biodegradabili che compostabili, e certificati come tali da appositi enti. Ricordiamo in sintesi che per biodegradabile si intende un prodotto o composto chimico inquinante che, disperso nell’ambiente, si decompone facilmente in composti meno o per nulla inquinanti. Per compostabile si intende invece un materiale che, in seguito alla sua degradazione, naturale o industriale, si trasforma in utile compost. In termini pratici ciò significa che le attività commerciali che usano questo tipo di sacchetti (supermercati, alimentari, fruttivendoli, macellai, pescivendoli…) dal primo gennaio 2018 non possono più usare i “normali” sacchetti leggeri, ma devono usarne di biodegradabili e compostabili. Inoltre dovranno farli pagare ai clienti, come già avviene per le “buste della spesa”, con tanto di riscontro scritto sullo scontrino fiscale. Se non si comportano così rischiano multe e sazioni anche pesanti. Questa la storia in breve, ora andiamo più a fondo…
Per normativa si intende, in questo caso, il Titolo II della Parte IV del D.L.vo 152/2006[1], anche conosciuto come Testo Unico Ambientale (TUA). Le nuove regole vi sono state introdotte per effetto del D.L. 91/2017[2], precisamente dal suo art. 9-bis, riguardante la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. Nuove definizioni, nuovi divieti di commercializzazione e distribuzione gratuita e nuove sanzioni connesse: queste le novità.
Quanto al divieto di commercializzazione, è utile premettere, innanzitutto, che per commercializzazione si intende la “fornitura di borse di plastica a pagamento o a titolo gratuito da parte dei produttori e dei distributori, nonché da parte dei commercianti nei punti vendita di merci o prodotti” (art. 218, comma 1, lett. dd-octies del D.L.vo 152/2006). È bene precisare, poi, che nella nuova disciplina resta consentita la fornitura delle borse biodegradabili e compostabili, certificate da enti accreditati e conformi ai requisiti stabiliti dalla norma UNI EN 13432:2002, a prescindere dal loro spessore (nuovo art. 226-bis). Al contrario, per le borse in materiale leggero, quelle, cioè, con uno spessore per singola parete inferiore a 50 micron, fornite per il trasporto di merci o prodotti, il divieto di commercializzazione è, invece, categorico, a prescindere dalla tipologia dei prodotti: vale, quindi, per tutti gli esercizi commerciali. È, allo stesso modo, fatto divieto di fornire anche determinati tipi di borse di plastica riutilizzabili. Precisamente, il discrimine è individuato nello spessore della parete e nella percentuale di plastica riciclata che compone la borsa. Ulteriore divieto viene dall’art. 226-ter, che introduce un sistema di riduzione progressiva della commercializzazione dei sacchetti ultraleggeri, quelli, cioè, il cui spessore è inferiore a 15 micron, e che sono richiesti a fini di igiene o forniti specificamente per imballare alimenti sfusi, come frutta, verdura ed altri alimenti che non siano già stati preincartati dal produttore [3]. L’obiettivo della riduzione progressiva del loro utilizzo verrà perseguito a tappe: dal 1° gennaio 2018 possono essere distribuiti solo i sacchetti ultraleggeri che siano biodegradabili e compostabili e costituiti, almeno, dal 40% di materia prima rinnovabile. Tale percentuale salirà a 50 per il 2020, e arriverà a 60 per il 2021.
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Obbligo sacchetti di plastica a pagamento: molto rumore per nulla?
di Stefano Maglia, Linda Maestri
È una vera e propria bufera quella che ha investito le nuove regole sulle borse di plastica, vigenti ed applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2018, e niente dà modo di pensare che la fine di questa querelle sia alle porte.
Quello che è certo, però, è che la nuova normativa è in vigore, e con essa lo sono tanto i nuovi divieti quanto le sanzioni ad essi connesse.
Alle tante lamentele sono corrisposti altrettanti interventi dall’intento chiarificatore, da parte sia delle istituzioni, primo tra tutti il Ministero dell’Ambiente (primo fan della nuova disciplina), sia delle varie associazioni di categoria.
Cerchiamo, allora, di fare chiarezza, cominciando a parlare della questione in termini semplici per poi andare ad analizzarla nel dettaglio, soprattutto per quanto riguarda gli obblighi e le potenziali sanzioni e multe per le aziende coinvolte.
Dall’1 gennaio 2018 è entrata in vigore in Italia una legge che regolamenta l’uso dei sacchetti di plastica leggeri e ultraleggeri. Questi sacchetti – comunemente utilizzati nei supermercati per imbustare frutta, verdura e altri prodotti freschi come carne e salumi – devono essere biodegradabili e saranno pagati dai consumatori.
La legge in questione, approvata lo scorso mese di agosto, è quella “di conversione” del decreto legge 2017 n. 91, conosciuto come “Mezzogiorno” (Disposizioni urgenti per la crescita economica del mezzogiorno).
Tale decreto ha introdotto nuove misure sull’uso dei sacchetti leggeri, prodotti particolarmente nocivi per la salute dell’ambiente: impone che i sacchetti di plastica per la spesa (chiamati da molti “shopper”) con spessore della singola parete inferiore ai 15 micron (0,015 millimetri) debbano avere determinate caratteristiche.
Devono essere sia biodegradabili che compostabili, e certificati come tali da appositi enti.
Ricordiamo in sintesi che per biodegradabile si intende un prodotto o composto chimico inquinante che, disperso nell’ambiente, si decompone facilmente in composti meno o per nulla inquinanti. Per compostabile si intende invece un materiale che, in seguito alla sua degradazione, naturale o industriale, si trasforma in utile compost.
In termini pratici ciò significa che le attività commerciali che usano questo tipo di sacchetti (supermercati, alimentari, fruttivendoli, macellai, pescivendoli…) dal primo gennaio 2018 non possono più usare i “normali” sacchetti leggeri, ma devono usarne di biodegradabili e compostabili. Inoltre dovranno farli pagare ai clienti, come già avviene per le “buste della spesa”, con tanto di riscontro scritto sullo scontrino fiscale. Se non si comportano così rischiano multe e sazioni anche pesanti.
Questa la storia in breve, ora andiamo più a fondo…
Per normativa si intende, in questo caso, il Titolo II della Parte IV del D.L.vo 152/2006 [1], anche conosciuto come Testo Unico Ambientale (TUA). Le nuove regole vi sono state introdotte per effetto del D.L. 91/2017 [2], precisamente dal suo art. 9-bis, riguardante la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero.
Nuove definizioni, nuovi divieti di commercializzazione e distribuzione gratuita e nuove sanzioni connesse: queste le novità.
Quanto al divieto di commercializzazione, è utile premettere, innanzitutto, che per commercializzazione si intende la “fornitura di borse di plastica a pagamento o a titolo gratuito da parte dei produttori e dei distributori, nonché da parte dei commercianti nei punti vendita di merci o prodotti” (art. 218, comma 1, lett. dd-octies del D.L.vo 152/2006).
È bene precisare, poi, che nella nuova disciplina resta consentita la fornitura delle borse biodegradabili e compostabili, certificate da enti accreditati e conformi ai requisiti stabiliti dalla norma UNI EN 13432:2002, a prescindere dal loro spessore (nuovo art. 226-bis).
Al contrario, per le borse in materiale leggero, quelle, cioè, con uno spessore per singola parete inferiore a 50 micron, fornite per il trasporto di merci o prodotti, il divieto di commercializzazione è, invece, categorico, a prescindere dalla tipologia dei prodotti: vale, quindi, per tutti gli esercizi commerciali.
È, allo stesso modo, fatto divieto di fornire anche determinati tipi di borse di plastica riutilizzabili. Precisamente, il discrimine è individuato nello spessore della parete e nella percentuale di plastica riciclata che compone la borsa.
Ulteriore divieto viene dall’art. 226-ter, che introduce un sistema di riduzione progressiva della commercializzazione dei sacchetti ultraleggeri, quelli, cioè, il cui spessore è inferiore a 15 micron, e che sono richiesti a fini di igiene o forniti specificamente per imballare alimenti sfusi, come frutta, verdura ed altri alimenti che non siano già stati preincartati dal produttore [3].
L’obiettivo della riduzione progressiva del loro utilizzo verrà perseguito a tappe: dal 1° gennaio 2018 possono essere distribuiti solo i sacchetti ultraleggeri che siano biodegradabili e compostabili e costituiti, almeno, dal 40% di materia prima rinnovabile.
Tale percentuale salirà a 50 per il 2020, e arriverà a 60 per il 2021.
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