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Stefano Maglia

Qual è l’attuale disciplina di riferimento per i centri di raccolta dei rifiuti urbani?

di Stefano Maglia

Categoria: Rifiuti


 
Il 18 luglio 2009 è stato pubblicato in G.U. il D.M. 13 maggio 2009, recante la nuova disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti.
Il D.M. ripropone – solo con alcune variazioni – i medesimi obblighi per i gestori dei centri previsti dal D.M. 8 aprile 2008 e descrive le caratteristiche tecnico-funzionali delle strutture.
Le aree ecologiche esistenti e già corrispondenti ai requisiti del nuovo D.M. potranno continuare ad operare senza soluzione di continuità, per le altre, invece, gli adeguamenti dovranno esser condotti entro il 18 gennaio 2008. Si ricorda che il termine da ultimo richiamato è stato prorogato al 30 giugno 2010 solo dall’art. 8 co. 4 ter, D.L. 30 dicembre 2009 n. 194 convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2010 n. 25.
 
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Grazie anche alla (quasi) contestuale pubblicazione della Deliberazione 20 luglio 2009 dell’Albo Gestori Ambientali contenente i criteri e requisiti per l’iscrizione alla Categoria 1 in qualità di gestore dei centri di raccolta l’operatività del sistema è stata assicurata.
Le vicissitudini del riconoscimento e classificazione dei centri di raccolta sono legate all’evoluzione del percorso giurisprudenziale e dottrinale che aveva portato, prima dell’entrata in vigore del D.L.vo 152/06, al convincimento che le piazzole ( o isole ecologiche o centri di raccolta che dir si voglia) dovessero essere considerate un vero e proprio centro di stoccaggio, ovvero qualificandosi quali attività direttamente preparatorie di una delle successive operazioni finali di smaltimento o di recupero.
In realtà già la definizione di centro di raccolta contenuta all’art. 183 lett. cc) del D.L.vo 152/06, come modificato dal D.L.vo 4/08, che lo descriveva quale: “area presidiata ed allestita, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, per l’attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento. …”, aveva messo in crisi la definizione dottrinale sopra riportata che poi è stata completamente rivista dal primo D.M. sui centri di raccolta, in attuazione dell’art. 183. Il D.L.vo 205/10 ha poi modificato l’art. 183, puntualizzando, tra l’altro e finalmente, che il raggruppamento riguarda i soli rifiuti urbani.
 
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Il D.M. 8 aprile 2008, pubblicato sulla G.U. n. 99 del 28 aprile 2008, descriveva infatti i centri di raccolta comunali o intercomunali quali “… aree presidiate ed allestite ove si svolge unicamente attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e assimilati elencati in allegato I, paragrafo 4.2” (art. 1) nelle quali i rifiuti sono conferiti in maniera differenziata sia dalle utenze domestiche che non domestiche, “… nonché dagli altri soggetti tenuti in base alle vigenti normative settoriali al ritiro di specifiche tipologie di rifiuti dalle utenze domestiche” (leggi “distributori di RAEE”).
Tra le tipologie di rifiuti conferibili, pericolosi e non, si ritrovavano infatti, oltre agli imballaggi, la frazione organica umida, i farmaci e le batterie al piombo esauste, i rifiuti delle potature, le cartucce ed i toner esausti, i tubi al neon ed i RAEE, nonché i rifiuti assimilati ai rifiuti urbani sulla base dei vigenti regolamenti comunali.
La novità assoluta era rappresentata dal fatto che il centro non doveva disporre di alcun tipo di autorizzazione alla gestione rifiuti, ma la sua realizzazione doveva essere semplicemente “… approvata dal Comune territorialmente competente”, si suppone sotto un profilo strettamente urbanistico, poiché i comuni non hanno alcuna competenza di carattere autorizzatorio in materia di gestione rifiuti, tutt’al più solo se espressamente delegati dalle Regioni.
Tra le variazioni apportate al D.M. 8 aprile 2008 anzitutto all’art. 1 – campo di applicazione – il nuovo D.M. prevede che i rifiuti urbani e assimilati siano conferiti ai centri in maniera differenziata dalle utenze domestiche e non domestiche, anche attraverso il gestore del servizio pubblico.
 

 
Quanto alle formalità amministrativo-burocratiche l’art. 2 sostituisce il termine “autorizzazione” con quello più appropriato di “approvazione”, che non ingenera più alcun dubbio in riferimento alla non necessità di autorizzazione alla gestione rifiuti per i centri di raccolta.
Anche la Corte di Cassazione Penale (Sez. III) ha confermato, nella sentenza n. 17864 del 9 maggio 2011 tale orientamento, affermando che “l’attività dei centri di raccolta non è assoggettabile ad autorizzazione regionale in quanto la realizzazione di essi è soggetta unicamente all’approvazione del Comune territorialmente competente.
 
Il centro di raccolta come tale non richiede, quindi, alcuna autorizzazione regionale non potendo essere di per sé classificato alla stregua degli impianti di smaltimento e/o recupero dei rifiuti per i quali è necessaria, invece, l’autorizzazione regionale. Ed a riprova di ciò si deve rilevare che nei centri di raccolta viene fatto espresso divieto in linea di principio di effettuare trattamenti di qualsiasi tipo, fatte salve alcune eccezioni come accade per le riduzioni volumetriche delle frazioni solide per agevolarne il successivo trasporto. Solo nel caso in cui si verifichi la non rispondenza alle previsioni indicate o si accerti l’effettuazione presso il centro di raccolta di attività che esulano dalla funzione propria di essi, si potrà valutare la necessità dell’autorizzazione regionale traendo le necessarie conseguenze sul piano penale dalla sua mancanza”.
Ancora una volta però mancano le informazioni di base circa i riferimenti urbanistici essenziali ai quali il progetto deve essere conforme.
 
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Anche agli Allegati sono state apportate alcune variazioni. Anzitutto in riferimento tipologie di rifiuti ammesse nei centri: oltre alle 32 tipologie di rifiuti conferibili ne sono state aggiunte 13, tra cui, per le sole utenze domestiche, toner esauriti, mattoni e mattonelle provenienti da piccole ristrutturazioni ad opera del conduttore della civile abitazione e pneumatici fuori uso; potranno invece essere conferiti da utenze anche non domestiche le terre e rocce, i tubi fluorescenti ed altri rifiuti contenenti mercurio (codice CER 20 01 21) nonché i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (codice CER 20 01 23*, 20 01 35* e 20 01 36).
Risultano poi introdotte alcune novità sul sistema di contabilizzazione dei rifiuti in ingesso e in uscita al fine della formazione di bilanci di gestione che si fondino anche su stime in assenza di pesatura, attraverso la compilazione del già previsto schedario.
 
È previsto poi l’obbligo di comunicazione al centro di raccolta da parte del gestore dell’impianto di destinazione dei rifiuti circa l’effettiva e ultima destinazione degli stessi rifiuti o delle MPS, infine il termine di durata del deposito di ciascuna frazione merceologica presso il centro di raccolta è modificato in 3 mesi (rispetto al precedente “2 mesi”).
La nuova disciplina ha dunque accolto le istanze di proroga dei termini per l’adeguamento delle piazzole ecologiche in Italia, tenuto conto che ogni regione sul tema aveva predisposto una disciplina autonoma e quindi differenziata e che in ogni caso non era certo possibile sospendere il servizio di conferimento dei rifiuti, per lo meno da parte dei cittadini.
 
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Si deve leggere in senso positivo anche la semplificazione amministrativa (assenza di qualsivoglia provvedimento autorizzatorio) che faciliterà il compito dei nuovi (o vecchi) gestori.
 
*Tratto da “La gestione dei rifiuti dalla A alla Z, III ed – 350 problemi, 350 soluzioni“, Stefano Maglia, 2012.

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