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Condizioni e criteri per gestire un residuo di produzione come sottoprodotto

di Paolo Pipere

Categoria: Rifiuti


 
Un decreto ministeriale e due circolari interpretative forniscono indicazioni non vincolanti per dimostrare che alcuni scarti riutilizzabili rispondono alla definizione di sottoprodotto.
 
Il processo di progressiva transizione a un modello di economia circolare – un’economia che, invece di ricorrere alle materie prime convenzionali non rinnovabili o rinnovabili solo nel lungo periodo, si alimenta dei residui di produzione e di consumo – può essere realizzato solo se si considerano con attenzione le nozioni di sottoprodotto e di cessazione della qualifica di rifiuto. Quest’ultima si realizza quando un impianto autorizzato a trattare rifiuti riesce a trasformarli in veri e propri nuovi prodotti. Il sottoprodotto, invece, è un residuo di produzione che ha, fin dal momento in cui viene generato, caratteristiche tali da consentirne il reimpiego in un’attività economica senza alcun trattamento o con trattamenti analoghi a quelli ai quali si sottopongono le materie prime tradizionali.
 

Nozione giudica di sottoprodotto

 
Alcuni scarti di produzione, utilizzati in processi produttivi o in altre attività economiche senza dover essere preventivamente sottoposti a trattamenti diversi da quelli che costituiscono la “normale pratica industriale”, possono essere giuridicamente qualificati come sottoprodotti.
 
La nozione di sottoprodotto è stata elaborata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e, in seguito, codificata nella Direttiva quadro sui rifiuti (Direttiva 2008/98/CE).
 
Il D.Lgs. 152/2006 definisce come “sottoprodotto”:
 
«qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa le condizioni di cui all’articolo 184- bis, comma 1, o che rispetta i criteri stabiliti in base all’articolo 184-bis, comma 2». [Il D.M. 264/2016, come si preciserà in seguito, stabilisce alcuni di questi criteri].
 
L’articolo 184-bis, comma 1, definisce le “condizioni” che devono essere tutte al contempo soddisfatte affinché un determinato scarto di produzione possa essere qualificato come sottoprodotto:
 
«a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

  1. b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
  2. c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
  3. d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivinegativi sull’ambiente o la salute umana».

In altri termini, il sottoprodotto deve essere in tutto e per tutto un prodotto, pertanto deve rispettare tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente.
 
È necessario verificare, ed essere in grado di dimostrare con un’appropriata e completa documentazione, che lo scarto di produzione qualificato come sottoprodotto sia conforme a tutte le norme cogenti applicabili a quel genere di prodotti, non solo a quelle volte e proteggere l’ambiente e la salute.
 
La completezza della documentazione è essenziale, perché è l’impresa che decide di avvalersi di questo regime di favore a dovere dimostrare di non avere gestito come prodotto ciò che invece rispondeva alla definizione di rifiuto.
 
La documentazione deve comprendere un’adeguata valutazione della corrispondenza del sottoprodotto alle norme tecniche nazionali o internazionali, alle norme di settore, alle caratteristiche merceologiche dei prodotti usualmente commercializzati o alle specifiche merceologiche dei prodotti dei quali vengono ufficialmente rilevati i prezzi all’ingrosso.
 
Sottoprodotti gestione sicura
 
È necessario, inoltre, dimostrare che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi, pertanto è necessario poter esibire:
 
– contratti che dimostrano che il sottoprodotto viene ceduto ad un utilizzatore, naturalmente non come rifiuto o materia secondaria, ma come vero e proprio prodotto;

– fatture di vendita;

– documentazione relativa alla funzione che il sottoprodotto svolgerà nel processo produttivo o di utilizzo al quale è destinato (ad esempio, sostituzione di materie prime “tradizionali”).
 
Infine, si deve essere in grado di dimostrare che la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale, pertanto:
 
– è necessario acquisire documentazione sui processi produttivi o di utilizzo che impiegheranno i sottoprodotti ed essere certi che questi ultimi possano essere impiegati come input di questi processi senza che sia necessario sottoporli a trattamenti diversi da quelli previsti per le materie prime “tradizionali”;

– è opportuno verificare se esistono norme tecniche o di settore che possano essere utilizzate per dimostrare qual è la “normale pratica industriale” in quel settore di attività;
 

“Criteri” da rispettare per dimostrare la sussistenza delle “condizioni”

 
Sulla base delle condizioni previste al comma 1 dell’articolo 184-bis, il decreto legislativo citato precisa che:
 
«possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente […]».
 
Con il Decreto ministeriale 13 ottobre 2016, n. 264 Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti. (GU n.38 del 15-2-2017) – sono stati forniti criteri generali, indicativi e non vincolanti, per dimostrare il rispetto delle condizioni che consentono la gestione di uno scarto di produzione come sottoprodotto e criteri specifici per le biomasse residuali destinate all’impiego per la produzione di biogas e le biomasse residuali destinate all’impiego per la produzione di energia mediante combustione.
 
L’articolo 1, comma 1, del decreto citato specifica che:
 
«[…] il presente decreto definisce alcune modalità con le quali il detentore può dimostrare che sono soddisfatte le condizioni generali di cui all’articolo 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».
 
In merito ai criteri, erroneamente indicati come “Condizioni generali”, l’articolo 4 precisa che:
 
«Negli articoli seguenti sono indicate alcune modalità con cui provare la sussistenza delle circostanze di cui al comma 1 [sottoprodotto], fatta salva la possibilità di dimostrare, con ogni mezzo ed anche con modalità e con riferimento a sostanze ed oggetti diversi da quelli precisati nel presente decreto, o che soddisfano criteri differenti, che una sostanza o un oggetto derivante da un ciclo di produzione non è un rifiuto, ma un sottoprodotto. Resta fermo l’obbligo di rispettare i requisiti di impiego e di qualità previsti dalle pertinenti normative di settore».
 
Il medesimo articolo prevede anche la possibilità, e non l’obbligo, che il produttore e l’utilizzatore del sottoprodotto si iscrivano «senza alcun onere economico, in apposito elenco pubblico istituito presso le Camere di commercio territorialmente competenti».

 

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Certezza dell’utilizzo

 
Come anticipato, la condizione essenziale affinché un residuo di produzione possa essere qualificato come sottoprodotto è la certezza dell’utilizzo dello scarto nel medesimo ciclo di produzione che lo ha generato o in altri processi produttivi o attività economiche: per esempio, uno scarto di produzione di in processo di produzione di prodotti chimici deve essere impiegato o come materia prima in un altro ciclo produttivo oppure come sostanza utile per effettuare un trattamento di depurazione delle acque reflue.
 
Il decreto ministeriale dispone che il requisito della certezza dell’utilizzo debba essere: «dimostrato dal momento della produzione del residuo fino al momento dell’impiego dello stesso. A tali fini il produttore e il detentore assicurano, ciascuno per quanto di propria competenza, l’organizzazione e la continuità di un sistema di gestione, ivi incluse le fasi di deposito e trasporto, che, per tempi e per modalità, consente l’identificazione e l’utilizzazione effettiva del sottoprodotto».
 
Inoltre, la certezza dell’utilizzo di un residuo in un ciclo di produzione diverso da quello da cui è originato presuppone che l’attività o l’impianto in cui il residuo deve essere utilizzato sia individuato o individuabile già al momento della produzione dello stesso.
 
La prova della certezza dell’riutilizzo può essere costituita dall’esistenza di rapporti o impegni contrattuali tra il produttore del residuo, eventuali intermediari e gli utilizzatori, dai quali si evincano le informazioni relative alle caratteristiche tecniche dei sottoprodotti, alle relative modalità di utilizzo e alle condizioni della cessione che devono risultare vantaggiose e assicurare la produzione di una utilità economica o di altro tipo.
 
In mancanza della documentazione contrattuale, secondo le indicazioni non vincolanti del decreto, il requisito della certezza dell’utilizzo e l’intenzione di non disfarsi del residuo sono dimostrati mediante la predisposizione di una scheda tecnica contenente le informazioni indicate all’allegato 2. Informazioni necessarie a: «consentire l’identificazione dei sottoprodotti dei quali è previsto l’impiego e l’individuazione delle caratteristiche tecniche degli stessi, nonché del settore di attività o della tipologia di impianti idonei ad utilizzarli. Nella scheda tecnica sono, altresì, indicate tempistiche e modalità congrue per il deposito e per la movimentazione dei sottoprodotti, dalla produzione del residuo, fino all’utilizzo nel processo di destinazione».
 
Allo scopo, probabilmente, di attribuire data certa alla redazione della scheda tecnica il decreto prevede, sempre come possibilità e non come obbligo, che:
 
«Le schede tecniche sono numerate, vidimate e gestite con le procedure e le modalità fissate dalla normativa sui registri IVA. Gli oneri connessi alla tenuta delle schede si intendono correttamente adempiuti anche qualora sia utilizzata carta formato A4, regolarmente vidimata e numerata. Le schede sono vidimate, senza oneri economici, dalle Camere di commercio territorialmente competenti».
 
Tali adempimenti, direttamente mutuati dalla disciplina dei rifiuti, sembrano essere del tutto fuori luogo se si considera che, come anticipato, il residuo di produzione può essere qualificato e gestito come sottoprodotto esclusivamente nel caso in cui risponda a tutti i requisiti minimi previsti dalle norme cogenti che disciplinano l’immissione sul mercato dei prodotti.
 
Allo scopo di garantire i requisiti di impiego e di qualità ambientale, la scheda tecnica di cui all’allegato 2 del decreto, contiene, tra l’altro, le informazioni necessarie a consentire la verifica delle caratteristiche del residuo e la conformità dello stesso rispetto al processo di destinazione e all’impiego previsto. Infine, in caso di cessione del sottoprodotto, la conformità dello stesso rispetto a quanto indicato nella scheda tecnica è oggetto di una dichiarazione, sottoscritta in base al modello riportato nel citato allegato 2.

 

Riprogettare i processi produttivi per non generare rifiuti

 
Una delle novità più rilevanti introdotte dal Decreto 13 ottobre 2016, n. 264, articolo 6, è costituita dalla possibilità dell’utilizzo diretto senza trattamenti diversi dalla normale pratica industriale:
 
«1. […] non costituiscono normale pratica industriale i processi e le operazioni necessari per rendere le caratteristiche ambientali della sostanza o dell’oggetto idonee a soddisfare, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e a non portare a impatti complessivi negativi sull’ambiente, salvo il caso in cui siano effettuate nel medesimo ciclo produttivo, secondo quanto disposto al comma 2.

  1. Rientrano, in ogni caso, nella normale pratica industriale le attività e le operazioni che costituiscono parte integrante del ciclo di produzione del residuo, anche se progettate e realizzate allo specifico fine di rendere le caratteristiche ambientali o sanitarie della sostanza o dell’oggetto idonee a consentire e favorire, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e a non portare ad impatti complessivi negativi sull’ambiente».

Questo significa che è possibile, senza necessità di alcuna preventiva autorizzazione, riprogettare il layout dell’impianto di produzione industriale o artigianale affinché includa le attività e le operazioni necessarie a far sì che il residuo abbia, fin dal momento in cui viene generato, le caratteristiche atte a consentire di qualificarlo come sottoprodotto.

 

Responsabilità dell’impresa che genera i sottoprodotti

 
Il decreto ministeriale introduce, inoltre, un regime della responsabilità dell’impresa che genera il sottoprodotto particolarmente favorevole, ma che sembra in diretto e ineliminabile contrasto con la condizione secondo la quale tale impresa è tenuta ad assicurarsi che in fase di impiego del sottoprodotto l’utilizzatore non debba sottoporre il residuo a trattamenti diversi da quelli che costituiscono la “normale pratica industriale” dell’attività che lo reimpiega.
 
In proposito il decreto statuisce che: «La responsabilità del produttore o del cessionario in relazione alla gestione del sottoprodotto è limitata alle fasi precedenti alla consegna dello stesso all’utilizzatore o a un intermediario».

 

Elenco dei produttori e degli utilizzatori

Per favorire lo scambio e la cessione dei sottoprodotti, le Camere di commercio territorialmente competenti istituiscono un elenco in cui si iscrivono, senza alcun onere, i produttori e gli utilizzatori di sottoprodotti. Nell’elenco è indicata, all’atto dell’iscrizione la tipologia dei sottoprodotti oggetto di attività. L’elenco è pubblico ed è consultabile su una sezione dedicata del sito internet della Camera di commercio o di un sito internet dalla stessa indicato.

L’iscrizione all’elenco costituisce una mera facoltà e non un obbligo, come precisato sia dal Decreto sia da una circolare del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

 
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Criteri specifici per le biomasse

 
L’allegato 1 del D.M. 13 ottobre 2016, n. 264 definisce, infine, criteri specifici per i sottoprodotti costituiti da biomasse residuali destinate all’impiego per la produzione di biogas e da biomasse residuali destinate all’impiego per la produzione di energia mediante combustione. L’allegato contiene un elenco delle principali norme che ne regolamento l’impiego e di una serie di operazioni ed attività che possono costituire normali pratiche industriali.

 

Chiarimenti ministeriali

 
A seguito dell’emanazione del decreto sono state predisposte due circolari ministeriali di chiarimento.
 
La prima, del 3 marzo 2017, precisa che l’iscrizione all’elenco dei produttori e degli utilizzatori di sottoprodotti non costituisce un requisito per la qualificazione dei residui come sottoprodotti: «la qualifica del materiale quale sottoprodotto è di carattere oggettivo e legata alla dimostrazione della sussistenza dei requisiti ex art. 184-bis del D.Lgs. n. 152/06 e – pertanto – prescinde dall’iscrizione del produttore o dell’utilizzatore nell’elenco».
 
La seconda circolare, del 30 aprile 2017, ribadisce che: «Il Regolamento n. 264 del 2016 non innova in alcun modo la disciplina sostanziale generale del settore. Se un residuo andrà considerato sottoprodotto o meno dipenderà, dunque, esclusivamente dalla sussistenza delle condizioni di legge […]. Allo stesso modo, il Decreto non contiene né un “elenco” di materiali senz’altro qualificabili alla stregua di sottoprodotti, né un elenco di trattamenti ammessi sui medesimi in quanto senz’altro costituenti “normale pratica industriale», dovendo comunque essere rimessa la valutazione del rispetto dei criteri indicati ad un’analisi caso per caso, come precisato nell’articolo 1, comma 2 del Regolamento, ai sensi del quale «i requisiti e le condizioni richiesti per escludere un residuo di produzione dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti sono valutati ed accertati alla luce del complesso delle circostanze».
 
La medesima circolare chiarisce che:
 
«il Regolamento non ha compiuto la scelta di prevedere strumenti probatori “necessari” per dimostrare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per la qualifica di “sottoprodotto”. Le disposizioni del Decreto sono infatti esplicite nell’escludere l’effetto vincolante del sistema ivi disciplinato, precisando che le modalità di prova nello stesso indicate non vanno in alcun modo intese come esclusive. E’ lasciata all’operatore la possibilità di scegliere mezzi di prova individuati in autonomia, e diversi da quelli previsti dal Regolamento. Rimane, quindi, ferma la libertà di dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti con ogni mezzo e con riferimento a materiali o sostanze diversi da quelli espressamente disciplinati negli allegati, anche mantenendo i sistemi e le procedure aziendali adottati prima dell’entrata in vigore del Decreto o scegliendone di diversi, ferma restando la vincolante applicazione delle pertinenti norme di settore».

 

 

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