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Stefano Maglia

Produttore giuridico: sorprendente “revirement” della Cassazione

di Stefano Maglia, Elena Mussida

Categoria: Rifiuti

Dopo la recente pubblicazione sul nostro sito del commento “Rifiuti: facciamo il punto sul produttore giuridico!” torniamo a scrivere di questa delicata tematica per commentare quanto espresso nella pronuncia della Corte di Cassazione n. 42237 del 17 ottobre 2023.
 
Prima di addentrarci nel caso concreto che ha interessato questa sentenza, ripercorriamo brevemente le tappe salienti che hanno portato alla malaugurata nascita della nozione di “produttore giuridico del rifiuto”:
 
1) Nel 2015 la Terza Sezione Penale della Cassazione, con la condivisibilissima sentenza n. 11029 del 16 marzo 2015 stabiliva che: “L’appaltatore, in ragione della natura del rapporto contrattuale, che lo vincola al compimento di un’opera o alla prestazione di un servizio con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio è, di regola, il produttore del rifiuti; su di lui gravano i relativi oneri, pur potendosi verificare casi in cui, per la particolarità dell’obbligazione assunta o per la condotta del committente, concretatasi in ingerenza o controllo diretto sull’attività dell’appaltatore, detti oneri si estendono anche a tale ultimo soggetto”. In tale pronuncia, quindi, la Suprema Corte ha precisato che il produttore del rifiuto è di regola il produttore materiale dello stesso, ossia, nel caso di contratto d’appalto, il soggetto appaltatore. Gli obblighi quindi inerenti alla corretta gestione dei rifiuti ricadono unicamente su quest’ultimo; potrebbero, tuttavia, ricadere anche sulla committente ma solo qualora la stessa si ingerisca o controlli direttamente l’attività di gestione dei rifiuti prodotti dall’appaltatore;
 
2) Sempre nel 2015 entrava in vigore – il giorno di Ferragosto e nell’ambito di una particolare fattispecie, la legge n. 125 del 2015 che – inaspettatamente e contrariamente a quanto ritenuto a livello europeo – estendeva la nozione di «produttore di rifiuti» di cui all’art. 183, comma 1, lettera t), del D.L.vo 152/2006 anche al produttore «giuridico» e non solo materiale del residuo da destinare allo smaltimento o al recupero, senza fornirne alcuna definizione. Dall’analisi della relazione illustrativa alla Legge 6 agosto 2015, n. 125 emerge, tuttavia, che tale ampliamento della nozione di produttore veniva giustificato dal legislatore facendo esplicito riferimento alla sentenza della Terza Sezione Penale della Cassazione n. 11029 del 16 marzo 2015, citata nel punto precedente.
Peccato che in tale pronuncia non vi è traccia né di una simile definizione (che, lo ripetiamo, è estranea anche alla normativa europea) né si può ravvisare un’interpretazione giurisprudenziale volta ad ampliare la nozione di “produttore del rifiuto”. Non solo: l’inserimento di tale “figura” non come “nuovo produttore” ma come produttore “iniziale” produce da subito una serie di conseguenze che non si potevano ignorare.
 
3) Mentre la dottrina si interrogava ampiamente su questa nuova definizione di “produttore giuridico” a seguito dei primi problemi applicativi, giungendo praticamente all’unanimità a proporne l’immediata eliminazione, la giurisprudenza ha iniziato a mettere qualche punto fermo, riconoscendo come produttore del rifiuto nell’ambito del contratto d’appalto unicamente il soggetto che “materialmente produce il rifiuto” e facendo ricadere tuttalpiù anche sulla committente gli oneri inerenti alla gestione dei rifiuti limitatamente ai casi di “ingerenza e controllo”; nel 2018 alcune pronunce, sulla scia di quanto affermato in precedenza dalla Cassazione con la sentenza n. 11029 del 16 marzo 2015, hanno – difatti – ribadito che:
 
– “In ipotesi di esecuzione di lavori attraverso un contratto di appalto, è l’appaltatore che – per la natura del rapporto contrattuale da lui stipulato ed attraverso il quale egli è vincolato al compimento di un’opera o alla prestazione di un servizio, con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio dell’intera attività – riveste generalmente la qualità di produttore del rifiuto; da ciò ne deriva che gravano su di lui, ed in linea di principio esclusivamente su di lui, gli obblighi connessi al corretto smaltimento dei rifiuti rivenienti dallo svolgimento della sua prestazione contrattuale, salvo il caso in cui, per ingerenza o controllo diretto del committente sullo svolgimento dei lavori, i relativi obblighi si estendano anche a carico di tale soggetto” (Cass. Pen. Sez. III n. 223 del 9 gennaio 2018);
-“Nell’ipotesi di subappalto, l’appaltante non ha nessun obbligo giuridico di intervenire nella gestione dei rifiuti prodotti dalla ditta subappaltatrice, né di garantire che la stessa venga effettuata correttamente” (Cass. Pen. Sez. III n. 1581 del 16 gennaio 2018)
– “La responsabilità della stazione appaltante, in relazione alla eventuale produzione di rifiuti derivanti dalla esecuzione della prestazione dedotta in obbligazione contrattuale, e ciò deve valere tanto più ove il fatto concernente la eventuale gestione di rifiuti sia esulante rispetto alla immediata esecuzione di quanto dedotto in contratto, è limitata ai casi in cui sia stata dimostrata un’ingerenza nella esecuzione dell’opera ovvero un controllo diretto su quest’ultima da parte del committente, tale da comportare l’estensione anche a carico di questo dei doveri diversamente concernente il solo soggetto appaltatore ” (Cass. Pen. Sez. III n. 19152 del 4 maggio 2018).
 

 
4) Nel 2020 la Cassazione chiarisce una volta per tutte come debba essere interpretata la nozione di “produttore giuridico dei rifiuti” identificando, nel caso di contratto d’appalto, tre ipotesi: “Si constata, innanzitutto, l’assenza di una fonte legale o contrattuale che preveda espressamente un dovere del committente di garantire il rispetto della norma in materia rifiuti da parte di colui che materialmente li origina (appaltatore). Tuttavia, il committente è personalmente responsabile qualora abbia concorso, a vario titolo, nell’illecita gestione dei rifiuti. È possibile distinguere tre ipotesi:
 
1) I rifiuti prodotti dall’appaltatore vengono depositati temporaneamente all’interno di un’area messa a disposizione dal committente/proprietario, che ne cede la completa disponibilità e quindi la custodia ex art. 2051 c.c. all’appaltatore;
2) Il committente mantiene il controllo dei lavori, e dunque anche della gestione dei rifiuti prodotti (trasporto, recupero e smaltimento degli stessi);
3) Il committente non ha alcuna ingerenza della gestione dei rifiuti prodotti materialmente dall’appaltatore ed i rifiuti non vengono depositati in un’area nella sua disponibilità.

 
Nella prima ipotesi, il proprietario/committente dell’opera cede la completa disponibilità dell’area all’appaltatore, nonché la custodia della stessa, con conseguente assenza di un obbligo giuridico di verificare la corretta gestione dei rifiuti o verificare le modalità e la tempistica di deposito. Tuttavia, è possibile affermare che risponde del reato di discarica abusiva il proprietario dell’area ove i rifiuti sono posti da terzi previo accordo con il primo ed al fine di collocarli definitivamente sul posto (anche ove utilizzati per la realizzazione di opere sul terreno medesimo) configurando tale condotta una diretta partecipazione al reato.
 
Nella seconda ipotesi, l’appaltatore è mero esecutore dell’opera commissionata dal committente, sotto la cui supervisione gestirà anche i rifiuti materialmente prodotti. Il committente diviene pertanto “produttore giuridico” dei rifiuti, mantenendo così la posizione di garanzia ex art. 40 c.p. Tale gestione, ovviamente, potrà anche essere “condivisa”, con conseguente applicabilità dell’art. 110 c.p. Non applicabile è pertanto quella giurisprudenza che esclude la posizione di garanzia da parte del committente con riferimento all’attività di smaltimento di rifiuti realizzata dall’appaltatore, la quale, comunque, fa salva l’ipotesi di un diretto concorso nella commissione del reato.
Nella terza ipotesi, il committente dell’opera, dalla cui realizzazione derivano rifiuti prodotti all’appaltatore, non intervenendo in alcun modo nella gestione dei rifiuti, lascia autonomia organizzativa e gestionale all’appaltatore, sicché non può assumere una posizione di garanzia al riguardo.
”(Cass. Pen. Sez. III n. 847 del 13 gennaio 2020)
 
Appare qui ancora più chiaro, quindi, come la nozione di “produttore giuridico” ai sensi dell’art. 183 comma 1, lettera t), del D.L.vo 152/2006 possa rilevare unicamente nel caso in cui vi sia un’effettiva ingerenza e controllo diretto da parte della committente tale da farle assumere una “posizione di garanzia” in ordine alla corretta gestione dei rifiuti materialmente prodotti dall’appaltatore.
 
Fatto questa breve premessa in ordine all’iter interpretativo della nozione di “produttore giuridico” veniamo ora al caso che ha interessato la pronuncia della Corte di Cassazione n. 42237 del 17 ottobre 2023. Il Tribunale di Rimini ha condannato in ordine al reato di cui all’art. 256, comma1), lett. a) del D.L.vo 152/2006 i legali rappresentanti della società committente e della società appaltatrice, nonché entrambe le società in ordine all’illecito amministrativo di cui all’art. 25-undecies, comma 2, lett. b) n.1 del D.L.vo 231/2001, che, come noto, disciplina la responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato.
In particolare, la condotta incriminata ha riguardato la scorretta gestione dei rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo presenti nel cantiere. Il ricorso del legale rappresentate della società appaltante, oltre a motivare circa l’errata qualificazione da parte del Tribunale delle terre e rocce da scavo quali rifiuti, ha escluso ogni qualsivoglia responsabilità della committente che aveva conferito la totale gestione delle terre e rocce del cantiere ad una società terza, tramite contratto d’appalto. Per il ricorrente, dunque, l’unico soggetto responsabile della “mala gestio” dei rifiuti doveva essere l’appaltatore, ossia colui che nel caso in oggetto aveva materialmente prodotto e gestito il rifiuto costituito dalle terre e rocce da scavo. Su tale punto la Cassazione – inaspettatamente e contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente – ha precisato che la nozione di produttore di rifiuti debba comprendere anche «il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione», ossia il c.d. «produttore in senso giuridico» di rifiuti.
La suprema Corte – difatti – ricorda che l’art. 1 della legge n. 125 del 2015 ha esteso la nozione di «produttore di rifiuti» di cui all’art. 183, comma 1, lettera t), del D.L.vo 152/2006 anche al produttore «giuridico» e non solo materiale del residuo da destinare allo smaltimento o al recupero; “ne consegue – afferma la Cassazione – che per «produttore» di rifiuti deve intendersi non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione ed a carico del quale sia quindi configurabile, quale titolare di una posizione di garanzia, l’obbligo di provvedere allo smaltimento dei detti rifiuti nei modi prescritti, sicché la responsabilità in ordine al complessivo iter di smaltimento o recupero, secondo quanto previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 183, comma 1, lettera f), e 188, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, rimane congiuntamente in capo al produttore giuridico, al produttore materiale, al detentore dei rifiuti e a chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (c.d. «nuovo produttore»).
 
A ben vedere, secondo la Suprema Corte, la nozione di produttore del rifiuto dovrebbe estendersi al punto da ricomprendere non solo il produttore materiale dello stesso ma anche a tutta una serie di soggetti (produttore giuridico, detentore, nuovo produttore) che, in quanto titolari di una posizione di garanzia, restano sempre responsabili del complessivo iter di smaltimento o di recupero del rifiuto. Si assisterebbe – dunque – ad un’ingiustificata moltiplicazione dei soggetti aderenti alla nozione di “produttore del rifiuto”, con conseguente ricaduta sugli stessi di tutti gli obblighi relativi alla corretta gestione dei rifiuti (obblighi documentali, corretta classificazione etc.).
La Cassazione, pertanto, si discosta evidentemente dalle pronunce sopra ripotate, ove un simile coinvolgimento della società committente, quale “produttore giuridico” del rifiuto, è stata riservata alle ipotesi in cui si è verificata un’attività di ingerenza o controllo nella gestione dei rifiuti materialmente prodotti dall’appaltatore.
Sul punto, pare necessario ricordare che vi è una precisa distinzione tra il principio di “responsabilità condivisa” in tema di gestione rifiuti di cui all’art. 178 del D.L.vo 152/2006, che responsabilizza e promuove una cooperazione tra tutti i soggetti coinvolti a qualunque titolo nella gestione dei rifiuti, e la definizione di “produttore di rifiuto” che senza dubbio non può sempre estendersi ad una pluralità di soggetti ma deve basarsi in prima battuta sul “criterio materialistico”, identificando – di regola – come produttore del rifiuto il soggetto che materialmente lo produce, e, successivamente, solo in caso di ingerenza e controllo, verificare un’eventuale estensione di tale nozione (e conseguenti obblighi e responsabilità) anche in capo al produttore giuridico (che, nel caso di contratto d’appalto, potrebbe essere identificato nella società committente).
 
Formazione Ambientale
 
Come se non bastasse, si rammenta che nelle motivazioni della sentenza viene citata – a sostegno dell’ampliamento della definizione di produttore – la pronuncia n. 39952, Sez. III, del 16 aprile 2019 che, tuttavia, non pare comunque giustificare una simile interpretazione. La sentenza del 2019, difatti, ha precisato che “a prescindere dagli accordi relativi agli oneri di smaltimentoche nella prassi spesso trasferiscono all’appaltatore mere attività operative e mantengono sull’appaltante, per ragioni di politica aziendale, gli oneri materiali ed economici dello smaltimento dei rifiuti – la responsabilità in ordine al complessivo iter di smaltimento, secondo quanto previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 183, comma 1, lettera f), e 188, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, rimane congiuntamente in capo al produttore giuridico, al produttore materiale e al detentore dei rifiuti. In sintesi, il mancato trasferimento degli oneri di smaltimento nell’ambito del contratto di appalto non comporta il venir meno della responsabilità del produttore materiale dei rifiuti per le attività poste in essere dai soggetti deputati, a qualsiasi titolo, allo smaltimento medesimo”; in realtà confermando, in quest’ultimo punto, la centralità della responsabilità del produttore materiale, che non essere eliminata nemmeno in caso di accordo tra le parti. In sintesi, qualora l’appaltatore, produttore materiale del rifiuto, si accordi per demandare gli obblighi inerenti alla corretta gestione dei rifiuti che ha prodotto alla committente, ciò non sarebbe – secondo la Cassazione – sufficiente ad esoneralo da responsabilità in quanto la responsabilità in ordine alla gestione del rifiuto ricade in prima battuta su tale soggetto. Una simile responsabilità, tuttavia, potrebbe estendersi anche al produttore giuridico, ma solo nel caso in cui si verifichi un’attività di ingerenza o controllo sull’operato del produttore materiale, così come più volte ribadito dall’orientamento giurisprudenziale sopra già menzionato.
 
In ultimo, vale la pena precisare anche che la gestione non autorizzata, nella pronuncia in esame, riguardava i rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo disciplinati dalla normativa speciale contenuta nel D.P.R. 120/2017, norma che, come noto, contiene all’art. 2 una precisa definizione di produttore del rifiuto: “«produttore»: il soggetto la cui attività materiale produce le terre e rocce da scavo e che predispone e trasmette la dichiarazione di cui all’articolo 21”. Tale descrizione non lascia dubbi sul fatto che in ambito di TRS il produttore del rifiuto sia solo colui che materialmente effettua lo scavo e quindi produce il rifiuto costituito da terre e rocce.
 
Concludendo, qualora dovesse affermarsi il principio secondo cui la nozione di produttore e i conseguenti oneri dovessero sempre essere estesi anche al “produttore giuridico”, appare evidente il grado di incertezza che si verrebbe a creare nella prassi: chi sarà obbligato in concreto ad effettuare la corretta classificazione del rifiuto? Chi dovrà compilare il relativo formulario? E il MUD? Tutti?
Insomma, non confondiamo la “responsabilità estesa” con la “co-produzione”, concetto sconosciuto in tutta Europa! Non sarebbe ora di metterci finalmente alla pari con tutti gli altri Paesi europei eliminando questo obbrobrio giuridico?
 

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